di Redazione
Come rimodellerà la vittoria di Donald Trump gli Stati Uniti e i loro rapporti con Israele? Le cronache di questi giorni, alle prese con le previsioni e le toto nomine, riferiscono di come l’influenza di ex ministri, collaboratori e amici dell’amministrazione Trump a favore di Israele rimanga forte nell’attuale contesto geopolitico, segnato dal conflitto Israele-Hamas e dalle tensioni con Hezbollah.
Uno fra tutti è Marco Rubio, senatore della Florida, dato come possibile Segretario di Stato di Trump. Oggi si muove verso un ruolo chiave nel Dipartimento di Stato, dove sarà chiamato a incarnare una versione più intransigente dell’eredità diplomatica USA. Fervente sostenitore di Israele, di recente ha avvertito del «rischio reale» di una guerra totale tra Israele e Hezbollah, che considera una minaccia sottovalutata. Il senatore, vicepresidente della Commissione Intelligence del Senato, sostiene che gli Stati Uniti debbano appoggiare Israele anche con un lavoro diplomatico più ampio per evitare accuse globali contro le sue azioni, soprattutto nel caso di escalation militari contro Hezbollah e Hamas. Rubio ha anche difeso l’approccio di Israele a Gaza, spiegando che il Paese sta aiutando con gli aiuti umanitari, nonostante Hamas spesso li usi a proprio vantaggio. In primis comunque le urgenze: i continui attacchi e le minacce di Hezbollah, che hanno lasciato migliaia di israeliani sfollati, non stanno «ricevendo abbastanza attenzione» negli Stati Uniti e nel mondo, ha affermato Rubio in un’intervista. La sua nomina rappresenta in breve non solo un cambio netto rispetto alla diplomazia di Antony Blinken, ma anche un ritorno a un approccio maggiormente interventista nei confronti di Paesi come l’Iran, il Venezuela e Cuba. Infine, tra i suoi obiettivi principali figura la Cina. «Rubio è stato tra i senatori più schietti sulla necessità per gli Stati Uniti di diventare più aggressivi nei confronti della Cina», si legge sul New York Times.
Un altro nome in pole position della politica estera e della sicurezza americana per i prossimi quattro è quello di Michael Waltz. Lo riferisce, tra gli altri, la Cnn, citando fonti informate. Anch’egli della Florida e veterano dei corpi speciali, Waltz porterà alla Casa Bianca un’impostazione marcatamente difensiva nei confronti della Cina, che considera il principale rivale geopolitico e il motore della «guerra culturale» contro i valori tradizionali americani. Noto per le sue posizioni anti-Nato, anti-woke e per la volontà di ridurre la dipendenza americana dalla Cina, è già stato fautore di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022 e sostiene una linea dura nei confronti della Cina anche in ambito militare, promuovendo, ad esempio, il rafforzamento dell’alleanza con Taiwan. Nel suo libro recente, Hard Truths, Waltz presenta un piano in cinque punti per limitare l’influenza cinese e preparare gli Stati Uniti a un eventuale conflitto, un approccio che potrebbe segnare profondamente la politica estera americana nella regione Asia-Pacifico.
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In breve, con le nomine di Marco Rubio a Segretario di Stato e di Michael Waltz a Consigliere per la Sicurezza Nazionale, la politica estera americana potrebbe subire un’impronta radicale e aggressiva nei prossimi quattro anni, allineandosi con le posizioni anti-cinesi e filo-israeliane sostenute dalla loro esperienza e dal loro credo trumpiano. La scelta di questi due figure – un “golden boy” repubblicano e un veterano pluridecorato – è un chiaro segnale dell’orientamento di Trump verso una politica estera dai toni duri e intransigenti, soprattutto come ripetuto nei confronti della Cina, vista ormai dai due come una minaccia non solo economica ma anche culturale e ideologica.
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La tensione verso la Cina, viene bilanciata da una posizione meno interventista in Ucraina, con entrambi i futuri alti funzionari che hanno ridotto il sostegno a Kiev, sposando la retorica di Trump sulla chiusura immediata del conflitto, benché senza chiari piani concreti.
Da non dimenticare infine Mike Pompeo, ex segretario di Stato di Trump nonché uno dei suoi consiglieri più fidati. Nome che circola in questi giorni, è uno che potrebbe trovare un altro lavoro in una seconda amministrazione, potrebbe tornare a ricoprire un ruolo di rilievo nella sicurezza nazionale, una posizione da cui probabilmente manterrebbe la linea dura su Iran e Palestina. Pompeo, noto per il suo sostegno deciso a Israele e il contrasto a Teheran, si è distinto per le sanzioni severe contro l’Iran e per il suo impegno a limitare l’influenza iraniana nella regione. La sua potenziale inclusione in un futuro gabinetto di Trump potrebbe significare un sostegno ancora più incisivo alle politiche israeliane, soprattutto riguardo all’Iran e alla questione dei territori contesi. Sebbene non siano riusciti a impedire la sua conferma, è probabile che i democratici del Senato si opporranno a gran voce alla sua nomina.
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Nell’attuale panorama politico, anche Benjamin Netanyahu e la sua coalizione guardano all’amministrazione Trump come a un alleato cruciale, pur con qualche riserva. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe ridurre le pressioni sui piani israeliani per l’annessione dei territori, mentre Netanyahu deve bilanciare la sua politica con le opinioni di altri esponenti dell’estrema destra che vorrebbero spingere sull’annessione del West Bank. L’incontro tra Trump e Netanyahu preannunciato per le prossime settimane potrebbe delineare un nuovo approccio nelle relazioni USA-Israele, forse meno incline a interventi militari diretti e più mirato al supporto strategico, secondo alcuni analisti.
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