Qualcuno riesce ad immaginare 50 porporati riuniti nella stessa sinagoga, un sabato mattina a recitare l’Avinu Shebashamaim? Qualcuno riesce ad immaginare che quella preghiera per lo Stato di Israele, venga letta prima in ebraico da un rabbino, e poi in italiano da un arcivivescovo? Difficile crederci, eppure è proprio quanto è accaduto sabato 10 settembre nella sinagoga di Ancona.
Sono passati ormai quasi dieci giorni – un’eternità, è vero, rispetto ai tempi rapidissimi della cronaca di tutti giorni, specie quella dei giornali online. Eppure, anche a distanza di cosi “tanto” tempo, la notizia merita attenzione e spazio, perchè è una di quelle che tra qualche anno potrebbe finire sui libri di scuola – forse non proprio accanto alla notizia della visita del papa nella Sinagoga di Roma, ma quasi.
Lo scorso 10 settembre, infatti una delegazione di 50 ecclesiastici fra vescovi, arcivescovi e cardinali, tra cui il Presidente della CEI, Card. Angelo Bagnasco, il legato apostolico, Card. Gian Battista Re, e l’arcivescovo titolare di Ancona, Mons. Edoardo Menichelli, si sono ritrovati a pregare assieme ad ampie rappresentanze del mondo riformato-evangelico e ad alcuni vescovi ortodossi, nella sinagoga levantina di Ancona – la più antica d’Italia dopo quella di Roma. A fare gli onori di casa, oltre alle autorità della comunità ebraica e al rabbino di Ancona, anche il presidente dell’assemblea dei rabbini d’Italia, rav. Giuseppe Laras.
Quest’incontro, ha detto mons. Menichelli è stato espressamente voluto dall’arcivescovado di Ancona, subito dopo aver saputo che che proprio il capoluogo marchigiano avrebbe ospitato il Congresso Eucaristico Nazionale.
Il rabbino Laras, durante l’incontro con le autorità ecclesiastiche cattoliche, ha ricordato che “tra ebrei e cristiani i rapporti non sono sempre stati facili”. Ciononostante, ha aggiunto, “è passato molto tempo, e la Shoah ci ha lasciato un insegnamento fondamentale: mai più”. Oggi, ha osservato ancora Laras, tra “i discendenti di Abramo devono scorrere sentimenti di vita di amore, di bontà, di accoglienza” e il compito che li attende è di impegnarsi nelle “opere oneste e nella giustizia” e testimoniare l’importanza dell’ “aspetto spirituale”, indispensabile per una società “più sana, altruista e più giusta”. “Non dobbiamo fare tutto ora, ma qualche cosa, qualche piccolo granello. gli uomini di fede guardano al futuro. E se avremo seminato bene, raccoglieremo i frutti”.
E forse proprio ad Ancona, chissà, è stato gettato qualche altro buon seme per le generazioni che verranno.