Rifugiati, ebrei e HIAS in Europa

Mondo

di Ilan Cohn, Direttore HIAS Europa

All’apertura della nuova sede di HIAS, la Hebrew Immigrant Aid Society, nella capitale belga l’anno scorso pensavo di conoscere le difficoltà da affrontare: stabilire delle relazioni con le istituzioni dell’UE e offrire alle comunità ebraiche in Europa un’opportunità di essere coinvolti nell’assistenza umanitaria ai rifugiati e richiedenti asilo tramite un’organizzazione ebraica. Fondata nel 1881, originariamente HIAS aiutava gli ebrei che fuggivano dalle persecuzioni nei paesi dell’Europa dell’est, reinsediandoli in paesi sicuri per iniziare una nuova vita. Negli anni settanta, i rifugiati provenienti dai paesi dell’Urss passavano per l’Italia dove aspettavano i loro visti per gli Stati Uniti. L’ospitalità calorosa degli italiani è rimasta impressa a numerosi rifugiati che ora vivono in America.

Oggi HIAS aiuta tutti i rifugiati di tutte le religioni in tutto il mondo. Ora, come in quasi ogni parte del mondo, Covid-19 ha trasformato il significato del nostro lavoro e ha creato nuovi ostacoli, particolarmente in Italia, il paese più colpito dal virus. HIAS aveva pianificato un seder per rifugiati, un seder alternativo che avrebbe riunito ebrei e rifugiati a Bruxelles per raccontarci le nostre storie su cosa significhi essere stranieri in un paese straniero. Purtroppo questo evento è stato cancellato e anche il Refugee Aid Service Corps, un programma di volontariato rivolto a giovani ebrei per permettere loro di fornire assistenza ai rifugiati nei field office di HIAS in Africa e in America Latina, è stato messo in pausa per quest’anno.

Nonostante questi ostacoli, noi continuiamo il nostro lavoro dedicato alla prevenzione, mitigazione e riduzione della diffusione di Covid-19 nelle comunità dei rifugiati. HIAS fornisce informazioni in varie lingue sul virus, su come proteggersi e sui diritti per l’assistenza sanitaria. Grazie alla possibilità di connettersi online, HIAS continua a garantire i suoi servizi a rifugiati e richiedenti asilo, volti soprattutto a valutare le loro esigenze e a fornire loro consulenze individuali.

Infatti le persone che rischiano di più sono proprio i rifugiati. Sono costretti a vivere in campi affollati in condizioni igieniche precarie, spesso senza accesso all’acqua pulita. Loro non possono permettersi il lusso dell’isolamento sociale. In Grecia, HIAS lavora con i rifugiati e richiedenti asilo sull’isola di Lesbo. A inizio marzo, il governo greco ha sospeso tutte le nuove richieste d’asilo e ha inviato delle truppe al confine con la Turchia per impedire ai rifugiati di entrare in Grecia. Con i movimenti migratori bloccati, i rifugiati sono esposti alle malattie nei campi affollati e sporchi. Finora solo un caso di Covid-19 è stato registrato sulle isole che danno rifugio a 42’000 migranti, ma secondo gli esperti, il virus si diffonderà incontrollatamente una volta arrivato nei campi. Insieme ad altre Ong del settore umanitario, HIAS chiede al governo greco di spostare i rifugiati in alloggi più sicuri.

Noi ebrei conosciamo i pericoli che i rifugiati incontrano nel loro viaggio e durante questa pandemia. A maggior ragione noi dovremmo essere attenti a non addossare agli stranieri colpe per malattie come questo virus. Durante la nostra storia, gli ebrei sono stati accusati di diffondere la peste, la morta nera, che devastò l’Europa nel Trecento.

Pesach è uno delle rappresentanze simboliche più antiche degli ebrei rifugiati. Per la maggior parte della nostra storia, anche noi siamo stati migranti, siamo fuggiti dalle persecuzioni, dai conflitti e dalle carestie. Ed è proprio la comunità ebraica italiana di oggi che è stata d’esempio in quanto una delle poche comunità ebraiche in Europa ad aiutare i rifugiati nei corridoi umanitari.
Oggi, come mai prima nella storia, c’è un grandissimo numero di rifugiati e sfollati che fuggono da violenze e persecuzioni. In questo contesto, i simboli di Pesach che rappresentano la sofferenza, ma anche la resilienza e la speranza dei rifugiati, sono più struggenti che mai.

Quest’anno non potremo celebrare Pesach con i nostri cari intorno alla tavola. Con le famiglie sparse in città e paesi diversi, questo seder è un’opportunità per riflettere sui limiti della nostra libertà e sui pericoli che altri devono affrontare, come i rifugiati nei campi. In occasione di questo Pesach, HIAS offre una sua Haggadah. Il libretto approfondisce il collegamento tra l’antica storia di Pesach e i rifugiati d’oggi. Probabilmente, per questo Pesach saremo tutti costretti a rimanere a casa. La mia famiglia è in Israele e nei Paesi Bassi mentre io sarò a Bruxelles. Ma insieme canteremo alla fine del nostro seder virtuale “l’anno prossimo a Gerusalemme” – sperando senza una quarantena di quattordici giorni.
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Crediti fotografici:

  • Lesbo : HIAS Greece translator Jalal Barezkai (R) works  with a Syrian refugee in an encampment just outside the Moria refugee camp on the Greek island of Lesvos, May 9, 2018. Barezkai is a former refugee from Afghanistan. MANDATORY CREDIT: Bill Swersey
  • Ciad: Photo by Glenna Gordon