di Paolo Castellano
Poco dopo aver preso il potere 22 anni fa, il presidente russo Vladimir Putin aveva bandito le manifestazioni di aperto antisemitismo. Una scelta in controtendenza rispetto agli atteggiamenti dei suoi predecessori che lo avevano pressoché incoraggiato, tollerato o ignorato.
Ora, dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina, si assiste al riemersione di una retorica apertamente anti-ebraica nei principali media del paese.
Come nel caso di un conduttore di un popolare talk show, che in diretta ha accusato gli ebrei di essere insufficientemente patriottici oppure di un’associazione russa che ha incolpato un importante filosofo ebreo di stare con l’Ucraina per avidità.
Il cambiamento nella retorica sugli ebrei nei media russi è incominciato circa due mesi fa, ha affermato Roman Bronfman, un ex-parlamentare israeliano che sta scrivendo un libro sugli ebrei post-sovietici. È stato circa allora, quando si è saputo che le truppe ucraine avevano fermato con successo l’avanzata delle forze russe che sono venuti a galla contenuti che hanno preso di mira gli ebrei.
«Nel momento in cui la stabilità del regime è stata minacciata, si è deciso di insistere su un bersaglio ebraico», Bronfman ha aggiunto. «In molti aspetti questo fatto è una ripetizione di numerosi episodi (antisemiti) nella storia russa, incluso l’ultimo periodo in cui Josef Stalin rimase al potere».
Come riporta Times of Israel, in un paese dove la persecuzione degli ebrei è durata molti decenni prima della caduta nel 1990 dell’Unione Sovietica, gli antisemiti hanno affrontato severe sentenze sotto Putin. Nel 2019 un uomo è stato punito con due anni e mezzo di carcere per aver disegnato dei graffiti antisemiti.
Questa dura presa di posizione, che si è allontanata dall’approccio più permissivo del suo predecessore Boris Eltsin, è stata molto utile politicamente a Putin, che a febbraio ha citato l’antisemitismo degli ucraini come una delle ragioni della sua invasione dell’Ucraina.
Ma l’invasione di Putin dell’Ucraina ha isolato il presidente russo sulla scena mondiale: le sue accuse di nazismo sono state considerate una montatura ideologica. Ciò ha indebolito la linea putiniana contro l’antisemitismo. Tuttavia, appena la macchina da guerra russa si è bloccata in Ucraina – la scorsa settimana Putin ha annunciato l’intenzione di mobilitare 300mila soldati riservisti – sono emerse condotte che infrangono i severi tabù dell’era Putin sull’antisemitismo.
Nelle recenti settimane, la retorica anti-ebraica ha subito un’accelerazione. In un articolo apparso il 18 settembre nel Moskovskij Komsomolets (un quotidiano russo per intellettuali) il noto giornalista Dmitry Popov ha stilato una lista di famosi ebrei che ha definito “agenti stranieri” – un’espressione che il governo russo ha frequentemente impiegato verso i suoi presunti nemici. Popov ha aggiunto sarcasticamente che un domani gli ebrei potrebbero formare un governo nella “bellissima Russia del futuro” – chiaramente dopo aver deposto Putin.
L’articolo ha indignato molti lettori, inclusa Yulia Kalinina, una ex-giornalista di lunga data del giornale ed ex-collega di Popov. In seguito, si è scoperto che l’articolo è stato modificato con la cancellazione dei passaggi chiaramente antisemiti.
«L’antisemitismo è ritornato: gli ebrei sono sotto accusa per “la bellissima Russia del futuro”», Kalinina, che ha origini ebraiche, ha scritto in un articolo pubblicato la scorsa settimana sul sito Web Novi Izvestiya.
Parlando in forma anonima, un altro ex o attuale impiegato del quotidiano Moskovskij Komsomolets ha detto a Novi Izvestiya: «L’antisemitismo russo è più antico dell’Unione Sovietica. Tra le parole russe più conosciute a livello internazionale, dopo “vodka”, c’è anche “pogrom”».
Altri segnali di una deriva antisemita nell’informazione russa sono emersi circa due settimane fa quando il filosofo e giornalista francese Bernard-Henri Lévy ha visitato i luoghi ucraini devastati dalla guerra.
Un’associazione conservatrice russa chiamata Fondazione Cultura Strategica, citata molto spesso nei media di Mosca, ha rilasciato un’ampollosa critica a Lévy usando un linguaggio che richiama i classici stereotipi antisemiti del XIX e XX secolo.
«Questo cittadino francese di 74 anni, nato in una famiglia di ebrei algerini, sente odore di sangue con il suo naso e senza indugio si precipita a leccarlo per una buona cifra di soldi», si legge nell’articolo firmato da Agnia Krengel per la Fondazione Cultura Strategica.
«La retorica antisemita a cui stiamo assistendo ora rappresenta l’allentamento dei tabù. Non è guidata direttamente dal governo di Putin ma fa parte di un’atmosfera generale», ha sottolineato Bronfman. «Tendenzialmente i funzionari e la popolazione russa stanno percependo indirettamente come dovrebbero trattare gli ebrei. Il messaggio sta cambiando».