Se ne è andato Shlomo Venezia, uno degli ultimi testimoni del Sonderkommando

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Shlomo Venezia se ne è andato due giorni fa, alla soglia dei 90 anni. Ancora una volta si assiste impotenti allo sgretolamento della memoria. Con Shlomo Venezia, come con tutti gli altri testimoni che in questi anni ci hanno lasciati, se ne è andato un altro frammento della storia del nostro Novecento; se ne è andato un testimone della Shoah, e un testimone di quella che fu la vita degli ebrei in Europa prima e dopo la catastrofe nazista.
Shlomo Venezia fu uno dei pochissimi reduci del «Sonderkommando», ovvero del sistema congegnato dai nazisti per il  trasporto dei cadaveri dalle camere a gas alla fossa comune. E di quel sistema trovò il coraggio di parlare solo 40 anni dopo la liberazione. Da allora la sua testimonianza su Auschwitz e sul sistema di sterminio nazista, è stata pressocchè ininterrotta. Solo negli ultimissimi anni, aveva limitato al massimo i suoi incontri con gli studenti, le interviste, le conferenze, perchè, aveva rilvelato ad Antonio Ferrari del Corriere della Sera, “non ce la faccio più. Ogni volta è uno strazio atroce”.

D’ora in avanti tutto ciò a cui gli storici futuro potranno appellarsi, saranno le parole, la voce, le espressioni impresse sul nastro di una videocamera, in questa o quella occasione. E quei nastri rimarranno per le future generazioni le uniche fonti a cui attingere per sapere, da chi lo visse in prima persona, cosa fu il Sonderkommando. Per le generazioni a venire, quei nastri, quei filmati, saranno l’unica testimonianza “diretta” della Shoah, l’unica fonte di conoscenza non mediata dallo storico.

Per questo motivo la conservazione di quei nastri, della registrazione di quei racconti assume oggi un valore non soltanto storico, ma anche civico.