di Nathan Greppi
Dopo i fatti del 7 ottobre e il successivo scoppio della guerra contro Hamas, il governo spagnolo si è rivelato uno dei più ostili in Europa nei confronti d’Israele: basti ricordare che a fine maggio, la Spagna ha scelto di riconoscere lo Stato di Palestina assieme a Irlanda e Norvegia. Sempre a maggio, il Primo Ministro Pedro Sánchez ha deciso di rifiutare l’attracco nei porti spagnoli alle navi che trasportavano armi destinate a Israele. E proprio il 7 ottobre, nello stesso giorno in cui Hamas massacrava e rapiva numerosi israeliani, la vicepremier Yolanda Diaz ha arringato una folla a Cadice esprimendo il proprio sostegno ai “fratelli e sorelle del popolo palestinese”.
Nello stesso paese che più di cinquecento anni fa decise di cacciare via tutti i suoi ebrei, oggi il governo strizza l’occhio a chi vorrebbe cacciare via gli israeliani “dal fiume al mare”. Per capire come si è arrivati a questa involuzione nelle relazioni tra Madrid e Gerusalemme, Mosaico ha interpellato l’economista e commentatore politico spagnolo Daniel Lacalle: docente presso la IE Business School di Madrid, è un membro del consiglio del MEMRI (Middle East Media Research Institute). Collabora come opinionista su temi politici ed economici con diversi giornali e programmi televisivi spagnoli e internazionali, e i suoi libri sono stati pubblicati in inglese, spagnolo, portoghese e cinese. Alle elezioni spagnole dell’aprile 2019, è stato candidato per il parlamento con il Partito Popolare.
In un suo recente editoriale apparso sul quotidiano “La Razón”, ha accusato il governo spagnolo di aver sdoganato posizioni antisemite. La situazione è davvero così grave?
È molto preoccupante. Purtroppo, in un paese che era sempre stato molto amico d’Israele, e che ha sempre difeso la libertà e la democrazia, l’attuale governo ha fatto da megafono a tutte le falsità propagandate da Hamas. Ciò è alquanto grave specialmente per un paese che ha vissuto sulla propria pelle gli effetti della propaganda di un gruppo terroristico: è come se 30-40 anni fa, avessimo visto in Spagna un qualsiasi governo straniero veicolare la narrativa dell’ETA. Sarebbe stato insensato. Eppure, è ciò che ha fatto il governo spagnolo, prendendo per veritieri i dati sui morti palestinesi forniti da Hamas, compresi quelli di donne e bambini.
A proposito dell’ETA, per decenni la Spagna ha dovuto fronteggiare il terrorismo nazionalista basco. Quindi, perché tanto astio nei confronti d’Israele, che combatte contro il terrorismo di Hamas?
Ciò è dovuto ad un miscuglio di disinformazione, scarsa conoscenza e propaganda. Innanzitutto, ci sentiamo continuamente ripetere che Hamas non è un’organizzazione terroristica, bensì un “movimento di resistenza”. Poi, dicono sempre che non spara “missili” ma “razzi”, come se fossero fuochi d’artificio ad una festa. E per quanto si riconosca che sia stato orribile ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre, si dice sempre che questa fosse una “risposta all’oppressione”.
I socialisti del PSOE hanno smesso di essere un partito socialdemocratico e filoccidentale; si sono radicalizzati, avvicinandosi sempre di più come posizioni all’estrema sinistra, che in tutta Europa presenta forti legami con il radicalismo islamista. Questo perché entrambi sono contro i valori occidentali, la liberaldemocrazia e il libero mercato.
Quale copertura offrono i media spagnoli del conflitto in corso?
Il posizionamento del governo ha sdoganato nei media e nelle manifestazioni una narrativa che presta il fianco all’antisemitismo; quasi ogni settimana sentiamo esternazioni sulla lobby ebraica, o accuse di genocidio rivolte al sionismo. Tutto questo viene sfruttato dal governo secondo una precisa manovra politica, che mira ad intercettare i voti degli elettori di sinistra più radicali ed estremisti. Tutta questa retorica, onnipresente sulla stampa e nel dibattito pubblico spagnolo, si traduce in attacchi contro le sinagoghe e molestie nei confronti degli studenti ebrei nelle università.
Molti media sorvolano sul fatto che Hamas ha instaurato una dittatura a Gaza, e utilizza scuole e ospedali per immagazzinare armi. A mio parere, l’antisemitismo diventa evidente nel momento in cui, quando viene attaccato, Israele deve dimostrare tutto ciò che dice, perché si presume che non ci siano prove. Eppure, quando invece Israele si difende, tutta la propaganda che viene dall’altra parte viene presa per vera. I numeri dei morti forniti da Hamas vengono presi per veri, nonostante persino le Nazioni Unite li abbiano ridimensionati.
All’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest, la Spagna è stata tra i paesi dove il televoto del pubblico ha premiato la cantante israeliana Eden Golan con il punteggio massimo. Come è schierata l’opinione pubblica spagnola nel suo complesso?
Il cittadino spagnolo medio non è antisemita, e non si beve la propaganda secondo la quale Israele uccide i civili intenzionalmente. Tutti capiscono che quelli di Hamas sono terroristi, osteggiati dagli stessi paesi arabi. Nessuno crede davvero che gli israeliani intendano commettere un genocidio, anche perché la popolazione palestinese non ha fatto che aumentare nel corso dei decenni, sia in Israele che in Cisgiordania.
Nel caso dell’Eurovision, la coalizione di governo ha cercato di sfruttare il concorso per diffondere ulteriori messaggi contro Israele. E in questo caso, la risposta da parte della gente è stata incredibile: molte persone, in Spagna, si sono mobilitate per votare una canzone che era stata osteggiata da tutti i media filogovernativi, pagando di tasca propria per votare.
In tutto il mondo, uno dei principali fulcri dell’odio antisraeliano è stato il mondo accademico, con numerosi appelli al boicottaggio d’Israele. Quanto è diffuso questo fenomeno nelle università spagnole?
Nel momento in cui una piccola minoranza di studenti ha cercato di imporre politiche antisemite o antisraeliane nelle università, la stragrande maggioranza degli stessi studenti ha reagito nella direzione opposta. Purtroppo, il fenomeno si sta comunque diffondendo, perché vi è uno sparuto gruppo di accademici, i quali però occupano posizioni rilevanti, che difendono l’idea di boicottare Israele e di interrompere gli accordi di cooperazione tra gli atenei spagnoli e israeliani. Per decenni, questi accordi hanno riscosso un considerevole successo, soprattutto per i risultati ottenuti nella ricerca e nella creazione di start-up.
A fronte di tutto ciò, c’è da dire che ci sono diversi contesti in cui questo fenomeno non presenta alcun impatto significativo: innanzitutto le business school spagnole, che sono tra le più prestigiose al mondo; e poi le università private, dove vige una tolleranza zero nei confronti dell’antisemitismo e di chi difende il terrorismo.
Sul piano economico, invece, quale impatto sta avendo la guerra in corso sugli scambi commerciali tra la Spagna e Israele?
Gli scambi hanno subito un impatto significativo. Questo perché il governo spagnolo ha interrotto una parte degli accordi che regolavano le relazioni commerciali con Israele. Sebbene il governo non abbia preso misure dirette, i partiti che sostengono la coalizione hanno minacciato di prendere misure contro le aziende spagnole che fanno affari in Israele, per sabotare gli scambi in maniera indiretta.
È ancora troppo presto per dire quanto sarà grande l’impatto sugli scambi commerciali, anche perché ci vorrà molto tempo prima che vengano pubblicati i dati. Ma è chiaro che un impatto c’è. Quello che invece in molti non tengono in considerazione, è che Israele è un paese chiave per l’innovazione, la tecnologia e le proprietà intellettuali. Purtroppo, se il governo spagnolo continuerà a mantenere questa linea, ciò danneggerà la posizione della Spagna nei campi dell’innovazione, della ricerca e dello sviluppo.
Qualche previsione su come potrebbero mutare i rapporti tra i due paesi sul lungo periodo?
Perché possano migliorare, dovrebbero accadere due cose: innanzitutto, ovviamente questo governo dovrebbe perdere le elezioni. Inoltre, l’attuale leader socialista Pedro Sánchez andrebbe espulso dal suo stesso partito. Questo perché il PSOE non è più un partito eterogeneo, poiché lui l’ha riplasmato a sua immagine. Pochi giorni dopo il 7 ottobre, Sánchez in persona si è recato vicino a Gaza per andare a dire a Israele come doveva comportarsi secondo lui, con un atteggiamento paternalistico.
Per ragioni tattiche, Sánchez ha portato avanti un conflitto diplomatico non necessario contro Israele, nonostante sia un paese amico della Spagna. Ma soprattutto, ha deciso unilateralmente di riconoscere una nazione palestinese pur non avendo la maggioranza assoluta in parlamento. Inoltre, l’ha fatto senza che prima Hamas avesse accettato di cessare il ricorso al terrorismo e di riconoscere l’esistenza d’Israele. Se poi si va a vedere il documento con il quale il governo spagnolo ha deciso di riconoscere la Palestina, ci si accorge che è aperto a qualsiasi interpretazione; potrebbe benissimo essere utilizzato dai leader di Hamas per dire che la Palestina è qualunque cosa loro vogliono che sia. Per questo, il riconoscimento è una delle decisioni più assurde a cui abbiamo mai assistito in Spagna.