di Ilaria Myr
In principio era l’idea: originale, creativa, utile e, in molti casi, proprio quello che mancava sul mercato. Le start-up per lo più nascono così: dall’iniziativa individuale di un singolo, o di un gruppo di persone ambiziose, che della propria ispirazione ed esperienza in un determinato campo decidono di fare un business. Biotecnologie, farmaceutica, e-commerce, finanza, comunicazione: sono solo alcuni dei settori in cui ormai da qualche anno in tutto il mondo vengono lanciati nuovi servizi e prodotti da nuove realtà aziendali, diverse fra loro per obiettivi, ma accomunate dall’uso dei mezzi digitali. Casi clamorosi come Google e Facebook certo non nascono tutti i giorni, ma molte sono le iniziative di successo che in questi anni si sono affermate sul mercato: Foursquare, Viber, Yoox e Whatsapp sono solo alcune di queste.
«Il tema delle start-up ha acquisito rilevanza e una grande accelerazione negli ultimi 10-12 anni, con l’ingresso della società nell’economia digitale – spiega Gionata Tedeschi, esperto del mondo digitale e fondatore di diverse start up di successo (Buongiorno.it, Saldi privati, Cendant) -. Gli strumenti digitali, infatti, hanno favorito lo sviluppo di iniziative indipendenti, che possono acquisire volumi importanti a fronte di risorse contenute. Ciò significa che una start-up può essere inizialmente sostenuta con pochi investimenti, che devono però essere poi più sostanziosi nella successiva fase di sviluppo di marketing e comunicazione, necessaria per farne crescere i volumi». Fondamentale, però, è che a monte ci sia sempre una strategia solida e una grande attenzione all’evoluzione del business, sostenuta dagli investimenti necessari e da una grande capacità di seguire i rapidissimi cambiamenti di questo mondo: altrimenti l’idea, seppure vincente e forte, è destinata a fallire.
«Il tasso di mortalità fra le start-up è molto alto, pari a circa l’80% di quelle che vengono lanciate – spiega Roberto Liscia, presidente NetComm e altro esperto del mondo digitale -. Resistono solo quelle che riescono a dimostrare di avere un business-model solido, che è passato attraverso tre round di finanziamento e che ha raggiunto un livello in cui i finanziamenti di cui ha bisogno servono per la crescita, e non più per stabilizzare il business, come nella prima fase. Di solito questo processo dura circa tre anni, dopo i quali la start-up smette di essere tale e diventa un’azienda vera e propria».
Israele: start-up nation
Se fino a pochi anni fa protagonista indiscusso dell’innovazione erano gli Stati Uniti, con un posto in prima linea della Silicon Valley, oggi un altro attore di primo piano nella business innovation è senza dubbio Israele, definita, com’è ormai noto, “start-up nation”, nel celebre libro di Dan Senor e Saul Singer. Con il risultato che, nella classifica degli ecosistemi più sviluppati per le start-up, secondo gli analisti di Startup Genome, al secondo posto, dietro alla californiana Silicon Valley, c’è proprio l’israeliano Silicon Wadi, che copre di fatto quasi tutto il Paese, con una grande concentrazione nella zona intorno a Tel Aviv (Ra’anana, Petah Tikva, Rishon Le’Zion, Rehovot, Herzliya, Netanya), Haifa (grazie al Technion) e Gerusalemme.
«Com’è possibile che Israele – un Paese di 7,1 milioni di abitanti, che ha solo 60 anni ed è circondato da nemici, in costante stato di guerra da quando è stato creato, privo di risorse naturali – produca più start-up che grandi Paesi, stabili e in stato di pace, come Cina, India, Corea, Canada e Regno Unito?». Questa è la domanda di fondo che si pose qualche anno fa Start-up Nation: The Story of Israel’s Economic Miracle, libro diventato un punto di riferimento per chi voglia capire il segreto di questo miracolo. «Il segreto del modello israeliano sono le mamme ebree – aveva dichiarato Shlomo Maital, direttore del Technion Institute, nel 2012 -. Se torni a casa da scuola e hai preso 10 su 10, una mamma ebrea ti chiede: ‘Non potevi fare meglio?’».
Ma se questo continuo sprone a dare il massimo può essere, in parte, una causa dello spirito ambizioso di molti israeliani, certo non è l’unica. «Una delle possibili ragioni di questo sviluppo va ricercata nell’impegno che da sempre Israele dedica alla ricerca, prima di tutto in ambito bellico-militare, ma che ha poi riflessi anche sul mondo civile – spiega Gionata Tedeschi -. Determinante, poi, è anche l’influenza del modello di istruzione militare sul sistema educativo dei giovani, che li porta a sviluppare la capacità imprenditoriale di prendere decisioni in modo autonomo». Tutto ciò si inserisce in un sistema economico nazionale che negli anni ha favorito fiscalmente la nascita e la crescita delle start-up. Il risultato è che oggi il numero delle società israeliane quotate al Nasdaq è superiore alla somma di tutte le società europee quotate alla stessa Borsa. «Fra i settori maggiormente popolati di nuove iniziative, vi sono quelli legati alla geo-localizzazione, con realtà di successo come il navigatore social Waze e l’App per il trasporto pubblico Moovit (di cui abbiamo parlato sul Bollettino aprile 2014, ndr) – continua Tedeschi -. Inoltre c’è il mondo farmaceutico e della ricerca scientifica. E poi ovviamente quello delle nanotecnologie e dell’Hi Tech». Insomma, è un mondo variegato e popolatissimo quello delle start-up in Israele, che attira sempre più giovani: e in un sistema economico in grado di assorbire la forza-lavoro, si crea un circolo virtuoso, in cui la start-up è un vero generatore di benessere per la società.
Italia, si può fare di più
Venendo al nostro Paese, sebbene la situazione sia ben diversa da quella israeliana, non mancano gli aspetti positivi . «Negli ultimi anni, infatti, il mondo politico ha cercato di definire un quadro normativo che facilitasse lo sviluppo delle start-up, con il risultato che oggi se ne contano circa 1.200 nel nostro Paese – spiega Roberto Liscia -. Parallelamente, sono nati e cresciuti i fondi di investimento individuali a sostegno di queste nuove realtà imprenditoriali. Gli ambiti più popolati sono quello delle biotecnologie, del web (e-commerce in primis) e della bioingegneria. E, ovviamente, il mobile: gli smartphone sono diventati l’emblema di una cross-funzionalità che ha permesso di sviluppare diverse iniziative».
Dall’altro lato però, la difficile situazione dell’economia italiana, con le banche sempre più reticenti a dare credito, rende molto complicato per le start-up riuscire a crescere e a spiccare il volo. «Molte realtà nascono in Italia senza avere ragionato attentamente sul modello di business – continua Liscia -, e faticano quindi a trovare poi i finanziamenti per la crescita. Inoltre, il fatto che la Borsa italiana sia più piccola di altre straniere, rende la messa in quotazione ancora più difficile. Per questo è necessario guardare fuori dai confini, con un approccio internazionale, e non più solo nazionale».
Start-up della comunità
Lo spirito imprenditoriale ha contagiato anche alcuni membri della nostra Comunità, che hanno dato vita a diverse start-up. Un comportamento, questo, molto ebraico, secondo Gionata Tedeschi. «Nell’ebraismo c’è insita una voglia di rompere gli schemi ed esplorare nuovi territori, di creare insomma qualcosa che possa evolvere e fare crescere la società – spiega -. Per uno “start-upper seriale” come me, che ha iniziato ormai anni fa, vedere tanti amici della Comunità ebraica che continuano su questa strada è motivo di orgoglio e soddisfazione». C’è, ad esempio, un giovane imprenditore che ha creato con due soci la CityGuru Card. Ci sono professionisti più navigati, come Davide Reis, i fratelli Saban, Daniela Frassineti e lo stesso Gionata Tedeschi, che hanno unito le proprie competenze per dare vita a CheSpesa.it. Mentre esperti di web e digitale come Massimo Montagnana e Ariel Klein hanno creato Homply, uno strumento per facilitare la ricerca online di immobili. E, infine, c’è chi, come Imanuel Baharier, ha lasciato un lavoro sicuro per lanciare il sistema di pagamento Sparkling18. Oppure, ancora, l’agente letterario Marco Vigevani, che ha creato BookaBook, una piattaforma di crowdfunding per libri (l’approfondimento nel prossimo numero del Bollettino). Ovviamente queste sono solo alcune delle start-up fondate da membri della Comunità: per cui, se non abbiamo citato la vostra, segnalatecela, ne parleremo nei prossimi numeri del Bollettino.
Chespesa.it, la spesa
al prezzo di costo
(www.chespesa.it)
Online da metà aprile, è un sito di e-commerce che offre al prezzo di costo prodotti di largo consumo non alimentari: quindi, cura e igiene della persona e della casa e, in un prossimo futuro, anche pet food e piccoli casalinghi. I fondatori, tutti amici, hanno un mix di competenze ad altissimo livello che si incastrano perfettamente per le necessità di questa start-up: Davide Reis e Claudio Gabbai, proprietari di Forma Italiana, storica azienda all’ingrosso di prodotti di largo consumo, Gionata Tedeschi, esperto di digitale e fondatore di numerose start-up online, Daniela Frassineti, esperta di comunicazione online, i fratelli Loni e Max Saban, esperti di e-commerce e profondi conoscitori di marketing B2C (business to consumer). «Come spesso accade, l’idea è nata intorno a un caffè – spiega Davide Reis, amministratore CheSpesa.it -, ragionando su come cavalcare il trend del sottocosto, oggi imperante. Abbiamo quindi pensato di proporre direttamente online i prodotti (Che Forma Italiana già vende ai grossisti ormai dal 1973, ndr), a un costo privo dell’intermediazione del distributore. L’utente paga solo 1 euro al mese per essere socio, e poter così accedere a tutte le offerte. Stiamo anche valutando la possibilità di creare una fascia di prezzo – ovviamente un po’ più alta – per i non membri: decideremo il da farsi nei prossimi mesi. Dal canto loro, le aziende di cui vendiamo i prodotti possono avere accesso ai dati di consumo degli acquirenti – ovviamente anonimi, trattati nel totale rispetto della privacy – e quindi avere informazioni di marketing molto importanti. Il nostro margine? Deriva dalla quota di membership e dai budget promozionali che ci danno i produttori».
CityGuru, la card per vivere Milano al meglio
(www.cityguru.it)
Offrire un prodotto per vivere la propria città a prezzi convenienti, ma diverso dai sempre più diffusi coupon presenti sul mercato: con questo obiettivo è nata Cityguru, la card che permette di usufruire di sconti fino al 50% sui servizi dei numerosi partner aderenti all’iniziativa, come ristoranti, centri beauty, teatri, musei, cinema, centri sportivi e negozi di abbigliamento a Milano. A lanciarla sono tre giovani imprenditori milanesi, F.T., Andrea La Loggia e Jacopo Lupi: va a loro il merito di avere individuato la mancanza sul mercato italiano di un prodotto diverso dal couponing che permette di vivere il meglio della propria città usufruendo di sconti importanti su numerosi servizi. La Card è acquistabile al costo di 79 euro sul sito internet www.cityguru.it; ha validità 12 mesi ed è utilizzabile tutti i giorni della settimana in cui è presente lo sconto del partner, come specificato sul sito istituzionale. «Abbiamo selezionato con capillare attenzione i collaboratori più audaci, che ci hanno aiutato a concepire la nostra prima Card e a individuare una strategia di comunicazione diversa e innovativa – spiegano gli ideatori di Cityguru -. Intorno a Cityguru è cresciuto velocemente un circuito di esercizi esclusivi attentissimi al servizio e consapevoli del cambiamento sempre più repentino che internet oggi impone. Ogni giorno riceviamo nuove richieste che personalmente testiamo e verifichiamo. Perché i primi ad utilizzare i servizi Cityguru siamo noi!».
Homply, lo strumento utile per chi cerca casa
(www.homply.com/it-IT/)
Fino a oggi, chi cercava casa doveva salvare nei siti dei portali immobiliari gli annunci che più gli interessavano, oppure salvarli in excel o, peggio ancora, scriverli su un foglio. Per rendere tutto più facile, è nato Homply, il bloc notes personale ed automatico per chi cerca casa sul web e su mobile, in grado di salvare in un unico sito web gli annunci visti sui vari portali immobiliari, attraverso uno strumento creato ad hoc, la “barra di Homply”. A lanciarlo sono Massimo Montagnana, responsabile marketing e comunicazione, Ariel Klein, responsabile business development e Pietro Montelatici, ceo e fondatore. «Homply è stato pensato per diventare uno strumento utile per chi cerca casa e un tool di lavoro per le agenzie immobiliari che, a fronte di 2,50 euro a suggerimento inviato, hanno la possibilità di pubblicare il proprio annuncio nel pannello di controllo della persona che ricerca un immobile con quelle caratteristiche (di prezzo, di zona, di dimensione, ecc…) – spiega Massimo Montagnana -. Quindi, chi beneficia del servizio sono sia le persone che cercano casa, che hanno un unico luogo dove salvare tutti gli annunci trovati in rete, sia le agenzie immobiliari, che in questo modo fanno una comunicazione molto mirata». Disponibile sul web (www.homply.com) e su mobile (Android e iOS), Homply conta già oltre 50.000 utenti e più di 15 siti partner, come Trovocasa.it (del Corriere della Sera) e Trovacasa.net (4° portale italiano), sui quali l’utente può trovare la “barra di Homply” e salvare le sue ricerche con un semplice click.
Sparkling 18,
il pagamento è più facile con lo smartphone
(www.sparkling18.com)
È un mix di inglese e Qabbala, dove Sparkling significa “frizzante” e 18 sta per il valore numerico della parola ebraica “chay”, vita: questo il nome che Imanuel Baharier e il socio Giuseppe Virgone hanno scelto per la loro start-up, che commercializza un sistema di pagamento elettronico multicanale (utilizzabile su web, smartphone, call-center e negozi tradizionali) che semplifica la procedura di pagamento. Il sistema, denominato 1APP8 (uanappe’it), riduce l’operazione di acquisto alla semplice digitazione di un unico Pincode sul proprio smartphone, indipendentemente dal fatto che si paghi via carta di credito, buono elettronico, carte punti… In questo modo, lo smartphone diventa un vero e proprio dispositivo di pagamento che elimina il bisogno di hardware aggiuntivo. «Il vantaggio per l’acquirente è evidente: poter pagare con lo stesso strumento, il suo telefono cellulare, in diversi esercizi, senza doversi ricordare password diverse – spiega Imanuel Baharier, Amministratore Delegato di Sparkling18 -. Dal canto suo, il retailer ha la possibilità di inviare sullo smartphone di clienti e prospect delle proposte di acquisto e di servizio contestuali: se, ad esempio, un utente acquista il biglietto del cinema con il nostro strumento, gli arriveranno proposte di ristoranti nella zona». Il servizio, scaricabile tramite un’App (per ora disponibile per iOs e Android) è gratuito per l’acquirente, mentre il retailer paga per ogni transazione effettuata, con fee ridotte e zero costi di setup e gestione. Dalla partenza, circa quattro mesi fa, ad oggi, Sparkling18 è riuscita a coinvolgere 100 merchant importanti, il cui aggregato raggiunge quota 5 miliardi. Fondamentale per il raggiungimento di questi primi traguardi è il sostegno di due fondi di investimento (AVM associati e Tan Holdings), della società di advisory strategico Sinergetica, oltre che, ovviamente, del lavoro dei due soci fondatori, coadiuvati da Daniele Gabbai in qualità di Business Developer, e da Massimiliano e Alessandro Ermolli, anch’essi soci e partner nell’impresa.