Stati Uniti ed ebraismo americano: la visione di Elliott Abrams

Mondo

di Marina Gersony

Identità ebraica americana in crisi?  Elliott Abrams svela come rafforzare  il legame con le radici, contrastare l’assimilazione  e riaffermare la connessione con Israele

Le comunità ebraiche negli Stati Uniti sono al centro di un profondo mutamento, influenzato da dinamiche sociali, geopolitiche e generazionali complesse, nonché dai conflitti e dalle situazioni economiche che riflettono, a vari livelli, le tensioni del nostro tempo. In concomitanza con le elezioni presidenziali americane, che ridefiniranno non solo gli assetti politici interni ma anche le relazioni globali, emergono nuove domande cruciali sull’identità ebraica contemporanea che, secondo lo studioso Elliott Abrams, oggi è lacerata tra orgoglio di appartenenza, distacco dalle proprie radici, tra assimilazione e autenticità.

In che modo il feroce attacco terroristico del 7 ottobre 2023 e la successiva guerra in Israele stanno influenzando in particolare la leadership e la vita della comunità ebraica americana? La recente ondata di antisemitismo nelle città e nei campus universitari ha riaperto ferite e paure mai del tutto sopite, che si riflettono anche nella diaspora, a cominciare dall’Europa ebraica, pur con toni e modalità diverse. Eppure, tra i giovani ebrei americani, il legame con le radici appare sempre più fragile: cresce il numero di coloro che si identificano come ebrei solo in senso generico, distanti dalla cultura, dalla religione e, spesso, da Israele.

Questa tendenza segna un cambiamento generazionale: diminuisce il sostegno attivo a Israele, la partecipazione alla vita comunitaria e il desiderio di tramandare l’identità ebraica alle generazioni future. Come si può arginare questo fenomeno? Quali strategie possono contrastare la crescente disaffezione e l’indifferenza che minano il senso di appartenenza? È possibile superare la paura e il distacco che rischiano di frammentare l’identità ebraica negli USA?

L’analisi di Abrams, politico e saggista, getta luce su queste trasformazioni con toni preoccupati: l’identità ebraica americana, avverte, rischia di dissolversi lentamente. Tuttavia, la chiave per salvaguardare il futuro ebraico, secondo lo studioso, sta nel creare esperienze autentiche e profonde che riaccendano nei giovani un sentimento di appartenenza e di orgoglio per le proprie radici e che possono essere riaccese. Bisogna insomma risvegliare quel senso di appartenenza con azioni mirate, sostiene, partendo da un’educazione ebraica strutturata e da legami reali con Israele. L’appello che lancia è forte e chiaro: di fronte ai rischi di una crescente dispersione culturale, è tempo di investire consapevolmente nella costruzione di una nuova coscienza ebraica che sia fonte di orgoglio e stabilità per le generazioni future.

I numeri raccontano la storia

Circa un terzo di coloro che sono stati cresciuti come ebrei, o che hanno almeno un genitore ebreo, non si identificano più come tali.

In un evento presso l’American Enterprise Institute, Abrams discute queste idee con Danielle Pletka, analista e commentatrice esperta di politica estera, parlando del suo ultimo libro If You Will It: Rebuilding Jewish Peoplehood for the 21st Century (Editore Wicked Son; pp. 288), raccontando la sua visione di un futuro per la cultura ebraica americana in cui la gioventù riscopre le proprie radici attraverso l’educazione ebraica, i campi estivi e, ancor più, il contatto diretto con Israele.

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6Mye6LV8oCA

Nel suo libro, l’autore analizza tra l’altro nel dettaglio la storia della comunità ebraica americana e il suo legame complesso e mutevole con Israele. Parte dai giorni intensi della fondazione dello Stato ebraico nel 1948 e della Guerra dei Sei Giorni nel 1967, fino a tornare agli anni della Seconda guerra mondiale. Ma, guardando al presente, il quadro è molto diverso: oggi per molti ebrei americani il rapporto con Israele è più distaccato e pare essersi indebolito. Di fronte a questo scenario, Abrams invita genitori, donatori e organizzazioni a impegnarsi per mantenere viva l’identità ebraica soprattutto nelle nuove generazioni, suggerendo azioni concrete: dare ai giovani una formazione ebraica solida, mandarli ai campi estivi e, se possibile, far vivere loro esperienze in Israele, anche per periodi prolungati. Secondo lui, queste esperienze rappresentano una base essenziale per rafforzare un’identità che rischia di sfaldarsi, soprattutto tra chi non appartiene alla corrente ortodossa.

 

Un’identità a rischio di erosione

I numeri, d’altra parte, non mentono e raccontano una realtà in movimento. Secondo il Pew Research Center – un centro studi con sede a Washington che fornisce informazioni su problemi sociali, opinione pubblica e andamenti demografici negli Stati Uniti e nel mondo – i dati rivelano che tra i 2,4 milioni di bambini che vivono in famiglie con almeno un genitore ebreo, circa la metà viene allevata esclusivamente come ebrei. E tra gli ebrei non ortodossi, il tasso di matrimoni misti supera il 70%.  Solo il 45% di coloro che praticano la loro fede ebraica afferma che è «molto importante» per loro che i loro nipoti siano ebrei, mentre solo il 4% degli ebrei che non praticano più la loro fede sostiene lo stesso. Circa il 45% degli ebrei americani ha visitato Israele almeno una volta, e il 48% di coloro che hanno meno di 30 anni si sente «molto» o «in qualche modo» legato a Israele.

Ma Abrams vede con preoccupazione una realtà diversa: l’identità ebraica è a rischio, e solo la metà dei bambini nati da almeno un genitore ebreo mantiene una forte identità ebraica. La ragione, secondo lui, è la frammentazione della vita comunitaria che un tempo definiva la diaspora ebraica in America. Senza la vicinanza e il senso di appartenenza che caratterizzavano i quartieri ebraici di New York e di altre città, il legame identitario si è indebolito. Abrams avverte: «Non si può più contare su un’identità che si trasmetta per osmosi, come nelle generazioni passate».

Esperienze che trasformano

Per Abrams, la risposta non è tanto nel rafforzamento dell’identità religiosa, quanto nella creazione di esperienze che siano significative e profonde. «Educazione ebraica, campi estivi e viaggi in Israele» sono, secondo lui, l’unica strada per offrire un’identità viva. Dieci giorni con il progetto Birthright, dice, possono essere sufficienti a risvegliare un senso di appartenenza, ma «un anno sabbatico o un semestre all’estero» potrebbero fare una differenza ancora maggiore. La sua visione, dunque, è chiara: per mantenere vivo l’ebraismo negli Stati Uniti, bisogna che le nuove generazioni abbiano la possibilità di vivere da vicino la cultura e la realtà israeliana.

Identità di vittima o identità di forza?

Abrams è critico verso la memoria dell’Olocausto come pilastro principale dell’identità ebraica americana. Dopo cinquant’anni di educazione sulla Shoah, molti giovani ebrei si identificano ancora come vittime piuttosto che come parte di una comunità forte e resiliente. Anche Ruth Weiss, autrice e commentatrice di cultura ebraica, condivide la critica di Abrams. La memoria dell’Olocausto è fondamentale, ma il politologo di lungo corso sostiene che abbia prodotto un senso di identità debole e introspettivo. Se il ricordo della sofferenza non ha impedito la crescita dell’antisemitismo, forse – suggerisce – bisogna lavorare su un’identità ebraica orientata al futuro, più consapevole e orgogliosa delle proprie radici culturali.

L’impatto della formazione ebraica

La ricerca supporta le idee di Abrams. Uno studio del sociologo Eitan Hersh mostra che i giovani ebrei americani più impegnati nella difesa di Israele o nel contrasto all’antisemitismo provengono da famiglie che frequentano la sinagoga, che hanno celebrato bar o bat mitzvah e che, in molti casi, hanno visitato Israele. Al contrario, chi ha ricevuto una formazione ebraica più superficiale tende a vivere con distacco, se non con scetticismo, la propria identità ebraica. Secondo Abrams, questo è il cuore del problema: senza un’educazione solida e un senso di appartenenza costruito su esperienze reali, l’identità ebraica non può resistere alle sfide dell’assimilazione.

Israele e la questione dei matrimoni misti

Abrams tocca poi un tema delicato: i matrimoni misti. Nella comunità ebraica americana, soprattutto tra i non ortodossi, quasi il 70% degli ebrei sposa un partner non ebreo, e in molti casi i figli non vengono cresciuti nella tradizione ebraica. Questo fenomeno, più che una minaccia, è per Abrams una sfida da affrontare con apertura: l’intermarriage non va condannato, ma è necessario che chi si avvicina al mondo ebraico venga accolto e sostenuto. «Includere, non escludere» sembra il motto di Abrams. In un’epoca di alto tasso di matrimoni misti, la comunità ebraica americana non può più permettersi posizioni rigide: ogni giovane che mostra interesse verso le proprie radici dovrebbe essere accolto e sostenuto.

Il legame con Israele e la politica

Nonostante oltre l’80% degli ebrei americani si dichiari sionista, pochi votano in base a questioni legate direttamente a Israele. Tra i più giovani, sotto i trent’anni, più della metà dichiara di sentirsi solo moderatamente legata a Israele, un dato che Abrams ritiene allarmante. Questo distacco è alimentato da una politica sempre più polarizzata e da un Partito Democratico che, in alcune frange, si sta allontanando da Israele. Abrams prevede che il voto degli ebrei americani potrebbe subire un mutamento in futuro, se la questione di Israele diventerà centrale anche nelle politiche interne.

La comunità ebraica americana e l’educazione verso Israele

Per finire, Abrams affronta e ribadisce un’ultima riflessione sull’importanza del contatto diretto con Israele per rafforzare il legame culturale degli ebrei americani con la propria identità. L’esperienza in Israele, che sia un anno sabbatico o un programma universitario, offre ai giovani l’opportunità di confrontarsi con una realtà intensa e difficile, come quella che vivono i loro coetanei israeliani nel servizio militare. Confrontarsi con la vita quotidiana e le difficoltà degli israeliani, afferma Abrams, permette ai giovani ebrei americani di rivalutare il proprio senso di appartenenza.

Abrams chiude il discorso con una riflessione ispirata. Racconta la storia di George Shultz, ex Segretario di Stato, che rimase profondamente colpito dalla scelta di uno studente israeliano di lasciare tutto per tornare a combattere in patria. Questo gesto fece riflettere Shultz su cosa potesse ispirare una tale dedizione alla propria terra e lo portò a mantenere un legame per anni con la famiglia di quel giovane. Un esempio, conclude Abrams, del legame eccezionale che molti ebrei e israeliani nel mondo sentono per le proprie radici, e di ciò che potrebbe fare la differenza per le future generazioni di ebrei americani.

 

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