Teatro/ Moni Ovadia e il registro dei peccati

Mondo

di Rossella De Pas

Moni Ovadia è tornato al Teatro Libero per tre serate, dal 20 al 22 aprile, con uno spettacolo divertente e godibile dal titolo “Il registro dei peccati”. Con esso ha condotto il pubblico, numerosissimo, in un viaggio all’interno di quel mondo khassidico a lui tanto caro.

Il mondo khassidico rievocato, composto da uomini dalle lunghe barbe che vestivano di bianco e nero, era in realtà un mondo coloratissimo, ricco di spiritualità e di valori, perfettamente rappresentato nei dipinti di Marc Chagall.

Tre le caratteristiche peculiari di questo mondo: la capacità di raccontare storie, il saper cantare e l’umorismo. Moni Ovadia approfondisce ognuna di queste attraverso midrashim, storielle, canzoni (fra tutte un Bezet Israel da brividi), barzellette, a volte rievocando personaggi esterni al mondo ebraico.

Davvero esilarante la parte inerente l’umorismo, tradizionalmente radicato nel DNA ebraico.

Il ridere ebraico affonda le sue radici lontano, nelle origini della Sacra Scrittura, in quell’Annunciazione biblica tenuta generalmente in minor conto di quella cristiana e che pure svolge un ruolo fondamentale nella formazione dell’identita’ ebraica. L’arcangelo annuncia ad Abramo ultracentenario che avra’ un figlio da sua moglie Sara ultranovantenne e gia’ sterile nei suoi anni fecondi. Abramo ride, e Sara, che ha udito da lontano, ride anche lei. L’arcangelo le fa notare la sua impertinenza. Sara nega di aver riso, ma l’arcangelo ribadisce: “No! Tu hai riso!”. Ho sempre immaginato con malizioso piacere il riso dell’Eterno quando vede l’espressione di Sara e di Abramo di fronte a questa impossibile gravidanza. Comunque l’Eterno chiedera’ che questo figlio del miracolo abbia nome Izhak (Isacco), che significa “colui che ride”. Il figlio del grande “traghettatore” il quale dara’ discendenza alla stirpe di Israele ha il riso nel nome e, considerando che il nome salda l’anima al corpo dell’essere umano, non e’ difficile capire la centralita’ del ridere nel pensiero ebraico. L’umorismo degli ebrei che dalla Torah e dal Talmud, attraverso i maestri del Khassidismo, scende nel letz e nel badkhen, mitici giullari e buffoni del mondo ebraico creatori del witz, arriva fino a noi con i grandi comedians della Mitteleuropa e d’oltreoceano. Questo umorismo e’ un bagliore filosofico che illumina le insolubili contraddizioni dell’esistenza attraverso un vertiginoso meccanismo autodelatorio, e’ la critica della ragion paradossale che spiazza la violenza e sfibra il pregiudizio.
(“Divertiti Roberto, da oggi sei ebreo honoris causa”, di Moni Ovadia, Il Corriere della sera, 19/12/2007)

Uno spettacolo estremamente divertente che speriamo di poter rivedere, magari per qualche giorno in più rispetto alle due date concesse dal Teatro Libero.