Dalla ripresa dei lanci dei missili da parte di Hamas nel sud e nel centro del paese, che ha portato alla rottura del cessate del fuoco e alla ripresa delle ostilità, venerdì si è avuta la prima vittima civile israeliana: un bambino di 4 anni; Daniel Turgerman, di un kbbutz vicino a Sha’ar ha-Negev, al confine con la Striscia di Gaza, è stato ucciso da colpi di mortaio lanciati dalla Striscia verso località israeliane nel Negev occidentale sfuggiti allo scudo Iron Dome. Sembra infatti che il colpo di mortaio che ha ucciso il bambino fosse di dimensioni troppo piccole per essere intercettato, che oggi non è riuscito a distruggere neanche un razzo che ha centrato una sinagoga ad Ahsdod, nel sud di Israele, che ha ferito leggermente tre persone.
Solo oggi Hamas e gli altri hanno lanciato circa 80 razzi verso il paese confinante. E altri due razzi lanciati dalla Striscia di Gaza sono tornati a minacciare nel pomeriggio Tel Aviv.
Salgono dunque a 68 le vittime israeliane dall’inizio dell’offensiva “Protective Edge”, di cui 64 soldati. “Hamas pagherà un duro prezzo per questo grave atto di terrorismo”, è stata l’immediata risposta del premier israeliano Benjamin Netanyahu. “L’esercito e i nostri servizi di sicurezza rafforzeranno ulteriormente le attività contro le organizzazioni terroristiche di Gaza”.
Hamas giustizia i traditori
Cominciano intanto a fare notizia – ed era l’ora – le esecuzioni da parte di Hamas delle cosiddette ‘spie’, persone accusate di “collaborare con Israele”. Solo venerdì ne sarebbero state giustiziate 18, uomini e donne.
Come spiega La Stampa, si tratta dell’inizio di quella che i media legati a Hamas chiamano l’«Operazione Strangolamento», lanciata dopo gli attacchi aerei israeliani che hanno preso di mira il comandante militare di Hamas Mohammed Deif (che secondo l’organizzazione è ancora vivo) e i suoi sottoposti – Mohammed Abu Shamalah, Raed al-Attar and Mohammed Barhum – che invece sono rimasti uccisi ieri a Rafah.
Hamas ritiene che gli attacchi siano avvenuti sulla base di informazioni fornite da qualcuno a Gaza, e ha lanciato la caccia all’uomo. Negli ultimi giorni è stata allestita almeno una Corte marziale che è incaricata di esaminare i casi dei presunti collaborazionisti di Israele. A quanto pare – spiega La Stampa – i servizi di sicurezza palestinesi dispongono di una rete di squadre di pronto intervento capaci di raggiungere in tempo reale i luoghi dove siano avvenuti attentati alla vita di esponenti di primo piano di Hamas. I presenti vengono subito registrati e schedati. Chi fra questi desta sospetti, viene deferito alla Corte marziale dove si trovano esperti di questioni militari e anche del sistema giudiziario.
“Questa è la semplice verità: Hamas è come l’Isis, l’Isis è come Hamas. Entrambe compiono esecuzioni di massa a sangue freddo”, ha risposto oggi, per la terza volta negli ultimi giorni, il premier israeliano Benyamin Netanyahu su Twitter.
La lettera anonima che denuncia Hamas
Merita, infine, di essere letta la notizia pubblicata da israele.net sulla lettera di un palestinese, che denuncia il regime di Hamas.
Nella lettera, un trentenne di Gaza chiamato Ahmed racconta la propria vicenda come scavatore di tunnel per conto di Hamas. Ahmed racconta di quando, avendo accettato un’offerta di lavoro, venne trasportato in un camion senza finestrini insieme con altri cinque scavatori costretti come lui a lavorare sottoterra su turni estenuanti. “Viaggiammo per un’ora – dice la lettera – Alla fine ci fermammo e ci portarono in un edificio chiuso. Non sapevamo dove eravamo. Ci mostrarono un buco nel terreno e ci dissero di andare dentro. Camminammo per qualche centinaio di metri e quando arrivammo in fondo, c’erano due membri di Hamas che ci stavano aspettando. Ci diedero degli attrezzi di lavoro e ci dissero cosa dovevamo fare per allungare il tunnel”.
Ahmed spiega nella lettera che aveva accettato di lavorare per Hamas per un disperato bisogno di denaro a seguito alla morte del padre Musa e dopo che Hamas, una volta salita al potere nella striscia di Gaza nel 2006, aveva preso possesso dell’officina meccanica di proprietà della sua famiglia: “Facevano loro gli ordini e stabilivano loro i prezzi”.
“Da quel giorno – racconta – ogni mattina un membro armato di Hamas veniva al negozio e ci ordinava di fabbricare tubi metallici con alette. Avevo subito capito che venivano usati per lanciare razzi. Un giorno arrivò un camioncino e dei membri di Hamas prelevarono mio padre dal negozio. Non l’abbiamo più rivisto. Successivamente ho saputo che l’hanno ucciso e che hanno gettato il corpo in una fossa”.
La lettera prosegue descrivendo il durissimo lavoro nelle gallerie non ventilate, sotto la stretta supervisione degli uomini di Hamas che urlavano ordini. Diversi lavoratori venivano picchiati, perché accusati di non lavorare abbastanza in fretta.
Dopo dieci giorni i sei lavoratori, incluso l’autore della lettera, vennero riportati alle loro case dopo aver ricevuto un magro salario rispetto alle sofferenze sopportate. “Non sapevamo dove eravamo stati – dice la lettera – né cosa avevamo scavato”.
Ahmed afferma d’aver capito che aveva aiutato lo sforzo militare di Hamas solo dopo aver sentito le notizie sui tunnel fatti scavare dappertutto dall’organizzazione terroristica.
La lettera si conclude con un appello: “Preghiamo che il mondo ci aiuti a liberarci dal dominio spaventoso e crudele di Hamas nella striscia di Gaza. Io prego ogni giorno per la morte di tutti i membri di Hamas, e per ottenere la libertà, e perché ci sia una possibilità di vivere una vita normale per i nostri figli a Gaza. Inshallah”.
Secondo il reportage di Fox News, la lettera è stata portata di nascosto a Itzik Azar, un israeliano che vive in una località nel centro del paese e che nei primi anni ’70 lavorava in un’officina metallurgica nel sud di Tel Aviv. A quei tempi molti lavoratori palestinesi erano impiegati in laboratori, cantieri e officine in tutto Israele. Uno dei colleghi di Azar era Musa, il padre di Ahmed, e faceva il pendolare ogni giorno da Gaza a Tel Aviv. “Dal momento che Musa e io eravamo quasi della stessa età, diventammo buoni amici – racconta Itzik Azar a YnetNews – Con il passare degli anni, siccome lui viveva a Gaza ci perdemmo un po’ di vista. Quando ci incontrammo di nuovo, lui aveva avuto un figlio di nome Ahmed, che oggi ha circa 30 anni. Ultimamente il nostro rapporto si era riallacciato a causa dei combattimenti nella striscia di Gaza”.
Azar preferisce non rivelare dettagli su come esattamente ha ricevuto la lettera, che è stata scritta a mano su un pezzo di carta. “Senza fare nomi, posso solo dire che ho ricevuto la lettera da qualcuno che è uscito dalla striscia di Gaza per ricevere cure mediche in Israele – si limita a dire – Ho distrutto l’originale in arabo perché conteneva troppe informazioni che avrebbero permesso di identificare Musa, Ahmed e la loro famiglia. Non ho alcuna intenzione di metterli in pericolo”.
Azar aggiunge che, quando il dominio di Hamas su Gaza sarà finito e la sicurezza dei suoi amici sarà garantita, allora racconterà le loro vicende per intero.