In questi giorni la questione del nucleare iraniano sta tenendo banco su tutte le pagine dei giornali, nazionali e stranieri. E in effetti, dalla scorsa settimana, dopo la pubblicazione del rapporto dell’Agenzia dell’ONU per l’energia atomica, in cui si conferma che Teheran sta pianificando sperimentazioni per test nucleari militari, la tensione internazionale è decisamente salita. Nei giorni successivi il tempo è stato scandito anche dalle dichiarazioni più o meno allarmate, dei principali capi di stato e di governo, sulle misure da prendere per fronteggiare una situazione che si profila sempre più carica di incognite.
Teheran ha smentito categoricamente il rapporto dell’IAEA; allo stesso tempo però ha rivolto un monito all’intero Occidente: “Gli Stati Uniti non potranno colpirci senza avere in risposta delle pesanti ritorsioni”. Un monito che uno degli attuali e più convinti avversari politici di Ahmadinejad, Mohammad Khatami, ha confermato ancora ieri: l’Iran di fronte ad un attacco militare unirà le sue forze, “riformisti e non riformisti, lo affronteranno uniti”. Fonti iraniane riportano anche l’intenzione degli studenti dell’università di Teheran di formare un cordone umano attorno alla centrale di conversione dell’uranio di Isfahan. I giovani iraniani cioè sarebbero pronti a sacrificare le loro stesse vite per difendere il paese da un attacco militare.
In risposta a queste dichiarazioni, il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha fato sapere ieri che la Gran Bretagna non esclude alcuna opzione contro il nucleare iraniano, compresa quella militare.
Più cauta ma comunque ferma anche la reazione degli Stati Uniti. Barak Obama ha chiesto come prima cosa l’applicazione di ulteriori e più severe sanzioni.
Alcuni esperti israeliani ritengono che le sanzioni unite alla minaccia di un’azione militare, costituiscano un deterrente sufficiente a fermare l’Iran. Ciò sarebbe confermato dal fatto che le voci di un possibile attacco militare israeliano stanno provocando la reazione di Teheran. L’ayatollah Khamenei, non ha esitato a dire che che qualsiasi iniziativa di tipo militare verrebbe presa da Teheran come uno “schiaffo forte al quale reagire con il pugno di ferro”.
Secondo Ephraim Asculai, un esperto nucleare israeliano che ha lavorato per 40 anni nella Commissione israeliana per l’energia atomica e nell’agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna, sostiene che sanzioni efficaci contro l’Iran dovrebbero includere restrizioni alla libertà di movimento per tutti i cittadini iraniani e per tutto il traffico aereo civile iraniano; come anche si dovrebbero includere restrizioni alla vendita di petrolio raffinato; si dovrebbe prevedere inoltre l’embargo completo sulla vendita di beni (non umanitari) e attrezzature da parte dei paesi occidentali, nonchè la sospensione di qualsiasi affare con con la banca centrale iraniana.
La linea delle sanzioni viene sposata oltre che dagli Stati Uniti, da Germania, Francia e Turchia, i quali, riporta Haaretz di questa mattina, non sono disposti a sostenere alcun attacco militare israeliano contro l’Iran. Il ministro degli esteri francese Alain Juppè, d’altra parte, nei giorni scorsi aveva dichiarato: “Dobbiamo prepararci a rafforzare le sanzioni per evitare ogni intervento irreparabile”. Al termine dell’incontro dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea, ieri sera, ancora Juppè ha aggiunto che una soluzione di tipo militare “ci porterebbe dentro una spirale difficilmente gestibile”; sarebbe, ha detto, “un rimedio peggiore del male” .
Quanto a Russia e Cina, sono le due potenze che all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu potrebbero opporre il loro veto ad una risoluzione per l’inasprimento delle sanzioni contro l’Iran. Mosca e Pechino non solo hanno legami economici molti forti con l’Iran, ma sono convinte che quella del nucleare iraniano sia una campagna orchestrata per alimentare la tensione. “Minacciare sanzioni e attacchi aerei significa solo allontare e non avvicinare la possibilità di una soluzione negoziabile” con Teheran, ha dichiarato il ministro degli esteri russo, Lavorv, il quale ha anche aggiunto che dietro tutta questa campagna sembra esserci un unico obiettivo, rovesciare il regime di Teheran.
Washington e Mosca si trovano in questi giorni su posizioni contrastanti come forse non accadeva da molto tempo. Dalla campagna contro il nucleare iraniano alla questione siriana e palestinese, le due ex super-potenze sembrano fronteggiarsi sul terreno del Medio Oriente quasi fossimo tornati indietro di cinquant’anni.
Rispetto a cinquant’anni fa però, come sottolineava ieri Roger Cohen sul New York Times, gli Stati Uniti (e con essi Israele) in questo momento hanno dalla loro parte diversi fattori, non ultimo quello del tempo. L’Iran, o meglio la Repubblica Islamica, sostiene Cohen, è oggi un regime in difficoltà, diviso al proprio interno, fortunatamente lento nel mettere a punto quel piano nucleare che tutti temiamo – visto che è dal 2003 che ci stanno lavorando. Proprio per questo oggi gli Stati Uniti, l’Occidente, possono riuscire nell’impresa di “contenere” l’Iran – come nel 1946 in Europa o nel 1962 a Cuba fu contenuta l’Unione Sovietica – senza ricorrere alle armi. L’unica arma dovrebbe essere, oggi come allora, quella della “fermezza”. La crisi, scrive Cohen, si può superare con sanzioni economiche severe, incluso il blocco alla valute forti; e poi il rafforzamento delle difese dell’intera area del Golfo, e l’adozione di un sistema di quarantena simile a quello utilizzato da Kennedy durante la crisi di Cuba.
In tutto questo avvicendarsi di opinioni, dichiarazioni, voci che vogliono il Mossad coinvolto in strani incidenti avvenuti in una base militare iraniana, risalta, per certi aspetti, il “basso profilo” del governo di Israele. L’unica cosa su cui sia sia il primo ministro Netanyahu sia il ministro degli Esteri Liebermann hanno insistito in questi giorni è che la minaccia nucleare iraniana non riguarda soltanto Israele, ma l’intera comunità internazionale. E su questo, non c’è che dire, hanno ragione.