di Ilaria Myr
Una campagna di demonizzazione contro il banchiere ebreo George Soros. Monumenti che celebrano generali fascisti del tempo che fu. Gruppi musicali nazi-rock, intellettuali e giornalisti antisemiti premiati pubblicamente. Tra un presente xenofobo e razzista, e un passato tragico, nel cuore d’Europa c’è ancora chi plaude all’odio etnico. Eppure, a Budapest, la Comunità ebraica rifiorisce e arriva a circa 120 mila persone
Passeggiare nel centro di Budapest è fare un tuffo nella storia di una delle più grandi Comunità ebraiche d’Europa: qui nacquero scrittori e pensatori ebrei di fama mondiale – Theodor Herzl, fondatore del sionismo, nonché il premio Nobel per la letteratura Imre Kertész, scomparso l’anno scorso – e prosperò, prima della Seconda guerra mondiale, una comunità di più di 200.000 individui, profondamente integrata nella società ungherese poi duramente sterminata durante la Shoah.
Ma nelle stesse strade oggi si respira anche il presente di una vita ebraica vivace e fervida: con una cifra che, secondo il World Jewish Congress, oscilla fra i 50 e 120.000 individui – molti non sono iscritti a nessuna congregazione – la Comunità ebraica ungherese è oggi la più grande dell’Europa centrale, con una vita culturale molto attiva (ad esempio con l’annuale Jewish Arts Festival) e vanta ristoranti kasher, musei, più di 20 sinagoghe, scuole, ospizi, un ospedale, movimenti giovanili. Circa 50.000 ebrei vivono nella capitale, a cui si affiancano altre piccole comunità, come Debrecen, Miskolc e Szeged.
Un’identità quasi sommersa
Prima della Seconda guerra mondiale vivevano nei territori della “Grande Ungheria” (che comprendeva quelli annessi dopo il 1938), 800.000 ebrei: di questi più di 600.000 furono sterminati durante la Shoah (in particolare dall’aprile del 1944, sotto l’occupazione nazista). Solo 200.000 sopravvissero alla tragedia, e molti di questi vollero “dimenticare” la propria identità ebraica.
«Fino all’età di 14 anni non sapevo di essere ebrea, mia madre non mi aveva mai detto nulla – racconta Anna Sikos, presidente AMATA (Amici del Museo di Arte di Tel Aviv) -. Un giorno le raccontai un episodio accaduto durante la guerra, su cui dovevo scrivere un articolo per un giornale: aveva come protagonista una bambina ebrea, che aveva difeso sua madre dalle violenze delle SS ungheresi. Mia madre svenne di colpo, ed è rimasta in coma per tre mesi: quella bambina era lei. Dopo la guerra aveva rifiutato il suo ebraismo per paura di ulteriori persecuzioni, e si era sposata con un non ebreo, nascondendo la sua identità fino a quel momento. Il giorno dopo sono andata a iscrivermi alla Comunità ebraica di Budapest».
Un altro caso analogo e clamoroso, di cui hanno parlato tutti i giornali, è stato quello del politico Csanad Szeged del partito xenofobo e di estrema destra Jobbik, che avendo fortunosamente scoperto le sue radici ebraiche, riavutosi dallo choc si è convertito all’ebraismo e trasferito in Israele.
Sotto i sovietici poi non sono mancate le persecuzioni – molti furono gli ebrei che dopo la repressione sovietica a Budapest nel 1956 fecero l’aliyà in Israele – ma dalla fine degli anni ‘50 la situazione è andata migliorando. «Se eri ebreo certamente non potevi fare carriera pubblica, ma comunque potevi vivere tranquillo – continua Anna Sikos -. Anzi, negare la Shoah era reato, si poteva andare in galera, mentre oggi non succede più nulla».
Fidesz e Jobbik: una minaccia?
È innegabile che l’Ungheria di oggi sia uno dei Paesi più citati in fatto di antisemitismo nei sondaggi degli istituti che si occupano di questi temi. Una linea spartiacque è il 2010, anno in cui sale al potere il partito nazionalista di destra Fidesz e in cui entra in Parlamento lo xenofobo e apertamente razzista e antisemita Jobbik, con il 17% dei voti.
Non dichiaratamente antisemita, il premier Viktor Orbán ha messo in atto fino a oggi una politica di destra e nazionalista, che da un lato strizza l’occhio alla Comunità ebraica, ma dall’altro accontenta la parte più estremista dei suoi elettori. Il caso più eclatante riguarda le celebrazioni per i 70 anni dalla Shoah, nel 2014, per le quali il governo aveva organizzato un programma imponente (facendo proclami altrettanto altisonanti), salvo poi decidere di costruire nella centrale piazza della Libertà (Szabadság téri) una statua celebrativa in ricordo dell’invasione nazista dell’Ungheria, che secondo la Comunità ebraica locale vorrebbe riscrivere la storia cancellando le responsabilità oggettive del Paese durante quel periodo. “Eventi di facciata che urtano gravemente le sensibilità dei sopravvissuti”, li aveva definiti l’Associazione delle Comunità Ebraiche Ungheresi (Mazsihisz), la quale aveva deciso di boicottare le celebrazioni governative.
Come spiega chiaramente a Bet Magazine Gábor Sólyom, ex console ungherese a Milano: «La Comunità ebraica ungherese oggi ha una vita molto attiva, sovvenzionata anche dallo Stato, che così mostra di essere “amico degli ebrei”. Ciò è evidente anche nell’importanza data dal governo alle celebrazioni per i 70 anni dalla Shoah. Ma al contempo prende delle decisioni che suscitano profonda indignazione nella comunità ebraica. Nonostante ciò, non si può dire che il governo sia filonazista. Sicuramente agisce con un doppio gioco, un doppio linguaggio, con gli ebrei e con la parte più estremista del suo elettorato».
Insomma, come li definisce il Report 2016 sull’antisemitismo del Moshe Kantor Database for the Study of Contemporary European Jewry, un sostanzioso tentativo di “whitewashing” (letteralmente “sbiancatura”) del proprio passato antisemita, per relativizzare il ruolo attivo che ebbe l’Ungheria nella distruzione dei suoi ebrei. A monte vi è la volontà del partito Fidesz di riabilitare la figura di Miklós Horthy, che come reggente di Ungheria governò con un regime autoritario e apertamente antisemita dal 1920 al 1944 e che fu il fautore della collaborazione con i fascisti italiani e con i nazisti. A lui il partito di Viktor Orbán ha voluto dedicare nel novembre del 2013 una statua a poca distanza dalla sede del Parlamento, scatenando le proteste di centinaia di manifestanti indignati. Ma a inaugurare la statua c’erano anche rappresentanti dello Jobbik, nonchè suoi manifestanti, che sventolavano bandiere con la svastica in un corteo contrapposto a quello con le Stelle di David.
Del resto, in questi anni diversi episodi hanno acceso l’allarme antisemitismo nel Paese. Nel 2013, ad esempio, il premio al miglior giornalista ungherese (premio Tancics) era andato a Ferenc Szaniszlo, che non ha mai nascosto i suoi pregiudizi verso Israele e gli ebrei. E pochi giorni dopo il conferimento del premio, alcuni docenti ebrei dell’Università di Budapest – fra cui la filosofa Agnes Heller -, sulle porte dei loro uffici hanno trovato slogan come “Ebrei! Quest’università è nostra, non vostra. Attenti!”. Due anni dopo lo Jobbik annunciava un’assemblea politica nella città di Esztergom nei locali di quella che un tempo era la sinagoga di una vibrante comunità ebraica, e che dal 2006 è un centro culturale. Tuttavia va detto che, dal 2014, l’iniziale retorica pesantemente antisemita dello Jobbik si è attenuata – per un genuino cambiamento di rotta o puro calcolo politico? -, lasciando il posto ad azioni di apertura nei confronti della Comunità ebraica, che hanno però creato un grande dibattito nel mondo ebraico. Un esempio? Gli auguri per Chanukkà del leader Gábor Vona, respinti dalla Mazsihisz perché “10 anni di incitamento razzista non possono essere cancellati dagli auguri di Chanukkà”.
Un antisemitismo mai sopito
Quello che preoccupa, però, è il profondo sentimento antiebraico nella popolazione ungherese. Secondo la ricerca Global 100 condotta dall’Anti Defamation League e presentata nel 2015, il 41% degli ungheresi (circa 3,4 milioni di individui) nutriva sentimenti antisemiti: ad esempio, il 69% degli intervistati sosteneva che gli ebrei hanno troppo potere nel mondo del business e il 61% che si lamentano troppo per quello che è successo loro durante la Shoah. In particolare, come sottolinea la ricerca dell’Auction and protection Foundation (Tett es Vadelem Alapitvany) “Antisemitic Prejudice in Today’s Hungarian Society”, dal 2015 al 2016 i pregiudizi antisemiti sono saliti a una quota compresa fra il 21 e il 26%. Inoltre, durante l’emergenza profughi iniziata nel 2015 non sono mancati siti web che accusavano gli ebrei di aiutare i profughi e di volere così “destabilizzare l’Ungheria”, di sabotarne gli interessi e addirittura di aiutare i musulmani a invadere il Paese magiaro.Tuttavia, l’ostilità nei confronti degli ebrei è molto bassa se paragonata a quella rivolta ad altre minoranze e gruppi etnici – Rom in prima linea -, e soprattutto non si traduce in attacchi fisici numerosi, molto minori rispetto ad altri Paesi europei occidentali (Francia e Belgio).
Come emerge dal Report sull’antisemitismo dell’agenzia europea FRA (European Agency for Fundamental Rights), eseguito nel territorio dell’Unione Europea, nel periodo fra il 2013 e il 2015 gli attacchi antisemiti sono diminuiti: si è passati da 95 a 47 aggressioni (dati dell’Unione delle comunità ebraiche ungheresi), e da 61 a 52 (secondo le stime della Tev).
Parlano gli ebrei ungheresi
Ma in questo contesto sociale e politico, come vivono davvero gli ebrei ungheresi? «La situazione è molto critica sia per l’antisemitismo che per l’atmosfera che vi si respira – spiega a Bet Magazine Judit, 60 anni -. Oggi la gente si sente legittimata dal fare dichiarazioni antisemite per la presenza in Parlamento dello Jobbik. Ma l’Ungheria è sempre stata antisemita: si pensi che fu il primo Stato in Europa a varare, negli anni ’20, sotto la dittatura di Horthy, una legislazione antiebraica, ben prima di Hitler. E oggi i sopravvissuti alla Shoah sono costretti ad ascoltare frasi antisemite che venivano pronunciate negli anni ’30!».
Ma è soprattutto l’approccio nazionalista e totalitario del partito al governo e del suo leader ad amareggiare profondamente Judit e molti ebrei (e anche non ebrei) che con lei scendono in piazza per protestare periodicamente contro la sua politica. «Questo governo è manipolatorio, censorio e contro ogni informazione libera e indipendente: guardate la feroce campagna che stanno facendo contro il banchiere George Soros, un filantropo che aiuta con molte donazioni la società ungherese, ad esempio finanziando la sua università, che il governo vuole chiudere. Di fatto, la politica qui mette in atto molto più che un doppio gioco: quello che fa Orban è una “danza del pavone” con l’Unione europea e con gli ebrei, per potere in realtà fare, internamente al Paese, tutto quello che vuole».
E il futuro? «Sono molto pessimista: fino a quando saremo nell’Unione Europea siamo al sicuro, ma chi può davvero dire cosa succederà?», conclude Judit.
Meno negativo è invece Gábor Solyom, che definisce la situazione per gli ebrei «non ideale, ma neppure insopportabile». «Fra i governanti ci sono anche alcuni politici ragionevoli, che fino ad adesso non hanno mai voluto limitare la nostra attività. La maggior parte degli ebrei, in particolare i giovani e gli intellettuali, manifesta pubblicamente la propria identità e non si lascia impaurire. La vita culturale ebraica è sempre piu vivace e anche questo aiuta a far diminuire l’antisemitismo».
Ma c’è anche chi, come Eszter, 30 anni, madre di tre figli, dall’Ungheria si trasferisce in Israele, perché solo lì vede un futuro ebraico per i propri bambini. «Gli ebrei in Ungheria oggi possono avere una vita comoda, con un’educazione ebraica e tutti i servizi. Basta che non escano dalla propria ‘bolla’ – spiega -. Non vedo un grave problema di antisemitismo in Ungheria, semmai di assimilazione. Per questo penso che un futuro per gli ebrei sia pensabile solo in Israele».
«L’antisemitismo in Ungheria
è sempre esistito»
Parla la filosofa
ungherese Agnes Heller
«L’antisemitismo in Ungheria è sempre esistito, come ovunque in Europa. Anche dopo l’emancipazione (1867), con cui gli ebrei hanno ottenuto uguali opportunità, l’antisemitismo nel popolo rimase comunque forte. Quello odierno di destra non dipende da un partito: dopo il crollo dell’Urss il MIEP già pronunciava discorsi antisemiti, poi è stata la volta dello Jobbik, e ora il partito al governo, Fidesz, lavora con una propaganda dal forte retrogusto antisemita. Tutti dichiarano di non essere antisemiti, ma i casi sono due: o lo sono, oppure lo usano come ideologia utile per guadagnare voti». Non usa mezzi termini la filosofa ungherese Agnes Heller, massimo esponente della “Scuola di Budapest”, corrente filosofica del marxismo facente parte del cosiddetto “dissenso dei paesi dell’est europeo”, allieva di György Lukàcs, tra le pensatrici più feconde del dopoguerra nell’ambito della filosofia politica e morale, nonché una delle voci più critiche contro l’attuale governo di Orbán e la sua politica antilibertaria e anti-immigrati. «Pochi ebrei oggi lasciano il Paese, neanche per Israele – spiega -. La vecchia generazione dei sopravvissuti alla Shoah vive in uno stato costante di paura. Allo stesso tempo, i più giovani organizzano eventi culturali ebraici e religiosi, sempre più numerosi a Budapest e in alcuni centri in campagna e molto seguiti dai non ebrei. Eppure, l’antisemitismo continua a esistere e a minacciare. Bisogna rimanere vigili». Alla Heller è stato dedicato recentemente un bel docu-film firmato da Raphael Tobia Vogel. Ilaria Myr