di Marina Gersony
L’ex premier israeliano Ehud Olmert e l’ex ministro degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese Nasser al-Kidwa, due figure su fronti diversi e che in passato hanno rappresentato visioni opposte, oggi si trovano incredibilmente uniti nel presentare in giro per il mondo un piano di pace congiunta.
In un momento in cui il conflitto tra Israele e Palestina è più acceso che mai, la loro dichiarazione congiunta sorprende e fa riflettere. Entrambi sostengono che non c’è alternativa alla pace e che procedere in questa direzione è l’unica soluzione possibile per porre fine a un conflitto devastante e senza fine. «Il Dottore Al-Kidwa ed io crediamo che dovrebbe essere possibile una vita migliore dopo questo difficile ultimo anno», afferma Olmert. Un anno segnato dalla morte di migliaia di persone da entrambe le parti, lasciando 2 milioni di persone senza casa nella Striscia e oltre 200mila persone in Israele, costrette ad abbandonare le loro abitazioni, soprattutto nelle aree vicino a Gaza e al confine con il Libano. Tutto questo in un conflitto che rischia di espandersi ulteriormente, minacciando anche il Libano e forse l’intera regione.
I due leader hanno parlato della loro proposta in esclusiva nella trasmissione L’Aria che tira.
L’iniziativa per il Medio Oriente, discussa da mesi e portata avanti con determinazione, prevede la liberazione degli ostaggi che devono essere restituiti alle loro famiglie, un ritorno ai confini del 1967, con alcuni scambi territoriali per tenere conto degli insediamenti israeliani e dei quartieri ebraici di Gerusalemme Est. Secondo il piano, la capitale palestinese dovrebbe situarsi nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, mentre la Città Vecchia verrebbe gestita congiuntamente da Israele, Palestina e altri tre Stati.
Illustrata anche durante una recente intervista alla CNN, il progetto mira a raggiungere una pacifica convivenza tra i due Stati e si basa principalmente su una reciproca cessione di territori: a Israele verrebbe assegnato il 4,4% della Cisgiordania, dove sono concentrati gli insediamenti coloniali, in cambio della cessione di una porzione equivalente di territorio per creare un corridoio di collegamento tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Si tratta di una visione coraggiosa, che secondo alcuni osservatori combina pragmatismo e diplomazia in una delle aree più controverse del conflitto.
Ehud Olmert e Nasser al-Kidwa, nipote di Yasser Arafat, non sono certo nuovi alla scena politica. Olmert, ricordato per la guerra contro Hezbollah nel 2006 e per l’Operazione Piombo Fuso a Gaza nel 2008, da tempo si è fatto promotore di una soluzione a due Stati. Al-Kidwa, rappresentante dell’OLP presso l’ONU per oltre dieci anni, anch’egli ha sempre spinto per una pace basata sul compromesso. Oggi, uniscono le forze in un momento terribile e cruciale.
Il piano prevede, oltre a un ritiro israeliano da Gaza, la creazione di un governo tecnocratico palestinese collegato all’Autorità Nazionale Palestinese e, elemento chiave, una forza di peacekeeping araba, denominata Temporary Arab Security Presence (TASP), per “stabilizzare” Gaza e prevenire attacchi terroristici. L’idea è che con una presenza di forze arabe e il supporto dell’esercito israeliano, si possa garantire una stabilità sufficiente per ricostruire Gaza e preparare elezioni democratiche in Cisgiordania e nella stessa enclave entro un arco di tempo che va dai 24 ai 35 mesi.
L’iniziativa è già oggetto anche di critiche, soprattutto da parte dei più scettici e di chi la pace non la vuole. Molti la giudicano troppo ottimista, come lo stesso Olmert anticipa: «Siamo consapevoli che molti potrebbero dire che siamo ingenui: come potete pensare, voi due, che nel bel mezzo di tutta questa controversia, durante i combattimenti, le uccisioni e i bombardamenti possa esserci qualcosa di diverso?». Tuttavia, Olmert ribatte: «Non esiste un’alternativa alla pace… Gaza deve essere amministrata dai palestinesi e da forze arabe che possano garantire che Gaza non diventi di nuovo un centro di terrorismo contro Israele».
Al-Kidwa è altrettanto risoluto, e respinge l’accusa di utopismo: «Non siamo dei sognatori… quello che noi proponiamo non solo è fattibile, ma io credo che sia l’unica soluzione possibile. Quindi o continueremo per sempre con questo spargimento di sangue, oppure andremo verso questa che è l’unica soluzione».
Il suggerimento di un cambiamento radicale, come osserva il Washington Post, «è ovviamente, visto come una capitolazione o come la concessione della vittoria all’altra parte. Ma la vera prova della leadership non è seguire l’opinione pubblica, bensì determinare il percorso strategico migliore per il futuro e presentarlo con coraggio e senza paura».
La proposta di Olmert e al-Kidwa non nasce dal nulla, ma è il frutto di anni di riflessioni su come uscire dall’impasse che paralizza il Medio Oriente. Entrambi, nei rispettivi contesti, sono stati critici verso i propri leader: Al-Kidwa nel 2021 si è schierato contro Abu Mazen e finendo in rotta col partito Fatah, appoggiando la candidatura del carcerato Marwān Barghūthī, attualmente detenuto in un carcere israeliano, mentre Olmert non risparmia critiche al governo Netanyahu per la gestione della guerra a Gaza.
Certo, questo piano non risolverà i problemi da un giorno all’altro, ma rappresenta la speranza e un punto di partenza per un dialogo che in molti credono sia ormai impossibile. La vera domanda è se la leadership israeliana e palestinese saranno disposte a sedersi al tavolo e dare una chance a una visione che mette al primo posto la vita e la sicurezza dei civili, da entrambe le parti. Concludono il due leader: «Questo piano non ha elaborato tutti i dettagli. Abbiamo concordato i contorni di ciò su cui deve basarsi una vera pace israelo-palestinese. In un futuro non troppo lontano, una nuova generazione di leader israeliani e palestinesi avrà il compito di negoziare e trasformare questa visione in realtà».