di Anna Balestrieri
Una telefonata di Yusef Zidan Salimam Al-Khuairl, un impiegato dell’UNRWA che insegnava in una scuola elementare delle Nazioni Unite a Gaza, è stata diffusa in conferenza stampa dall’IDF il 4 marzo 2024. Nel corso della conversazione, avvenuta 7 ore dopo i massacri del 7 ottobre, il dipendente delle Nazioni Unite e terrorista di Hamas si vanta con l’interlocutore di aver messo le mani su una “nobile cavalla”, una “sabiya”. Il termine arabo che designa le prigioniere di guerra.
La “sabiya”
Il vocabolo “sabiya” è lo stesso che veniva utilizzato dai terroristi dell’ISIS per definire le loro vittime yazide, rese schiave e sottoposte a quotidiani abusi sessuali dai militanti dello Stato Islamico. Legittimati nel crimine dalla loro interpretazione della sharia, che permetterebbe ed incoraggerebbe l’utilizzo di infedeli come concubine. L’indignazione e l’orrore che aveva travolto l’Occidente alla scoperta delle schiave sessuali del Califfato, con il caso di Kayla Mueller, non sembrano per ora scuotere quanti manifestano a favore di Hamas nei paesi occidentali.
Nell’articolo di Viviana Mazza su “La ventisettesima ora” del Corriere si diceva che “la schiavitù sessuale è una pratica istituzionalizzata: esiste non solo una burocrazia dello stupro (mercati dove vengono vendute, listini prezzi, contratti d’acquisto «notarizzati» da corti islamiche), ma anche una teologia dello stupro”. Il settimanale dell’Isis «Dabiq» spiegava come fosse legittimo trattare le donne yazide come «khums», spoglie di guerra e che il «Dipartimento Fatwe» dell’Isis aveva spiegato che «era consentito avere rapporti anche se la ragazza non aveva raggiunto la pubertà».”
“La teologia dello stupro afferma che gli abusi sessuali sulle yazide sono atti non solo consentiti ma virtuosi. Sono «ibadah», atti di devozione: così i miliziani si mantengono puri; infatti se non avessero queste concubine incorrerebbero nella tentazione di avere rapporti sessuali non leciti”, riportava Mazza nell’inchiesta. Verosimile che la stessa ideologia sia stata applicata alle bambine e ragazze israeliane vittime dei fondamentalisti di Hamas.
«Mi diceva che l’Islam permette di stuprare una non credente. Diceva che stuprarmi lo avvicinava a Dio», aveva raccontato al New York Times una dodicenne nel 2015.
Sui mercati delle schiave yazide erano state raccolte decine di testimonianze da organizzazioni umanitarie internazionali come Amnesty International , che nel corso del presente conflitto spende parole di sdegno solo contro Israele.
Durante la conferenza stampa, il portavoce dell’IDF Daniel Hagari ha sottolineato il parallelismo tra le pratiche ed il lessico dell’ISIS e di Hamas, interpreti di un’identica logica di guerra religiosa che deumanizza le donne.
La violenza sessuale come arma
“L’arma della violenza sessuale è un problema globale. L’utilizzo come arma dello stupro e della violenza sessuale da parte di Hamas dovrebbe essere accolto con indignazione globale. Richiede una risposta globale”, ha ricordato Hagari, riferendosi probabilmente al silenzio delle Nazioni Unite e della maggior parte delle associazioni femministe circa le violenze sessuali perpetrate da Hamas.
In conferenza stampa sono stati altresì pubblicati i nomi di altri operatori delle Nazioni Unite che hanno preso parte al massacro di Hamas del 7 ottobre.
I dipendenti dell’UNRWA tra le file di Hamas
Bakr Mahmoud ‘Abdallah Darwish, terrorista di Hamas e consulente scolastico in una scuola dell’UNRWA; Ghassan Nabil Mohammad Sh’hadda El Jabari: un terrorista che lavora nel Ministero della Salute gestito da Hamas e Mamdouh Hussein Ahmad al-Qak, terrorista della Jihad islamica ed insegnante in una scuola elementare dell’UNRWA. Solo tre nomi in una lista di più di 450 dipendenti stipendiati dai finanziamenti della comunità internazionale per partecipare alle attività di gruppi terroristici a Gaza. Un utilizzo sistematico delle risorse umanitarie destinate ad alleviare le sofferenze della popolazione civile di Gaza per finanziare la barbarie.
Le informazioni condivise dall’IDF nella conferenza stampa del 4 marzo sono pervenute ai partner internazionali di Israele, comprese le Nazioni Unite.
“Hamas tiene in ostaggio 134 israeliani, comprese le nostre donne, le nostre ragazze”, ha continuato Hagari. “Riportare a casa tutti i nostri ostaggi non è solo una missione. È un obbligo morale. Un obiettivo per il quale i soldati dell’IDF rischiano la vita ogni giorno. Mentre svolgiamo questa sacra missione, continueremo i nostri sforzi per distinguere tra Hamas e i civili di Gaza che soffrono anch’essi a causa della guerra iniziata da Hamas.”
A conclusione della conferenza stampa, Hagari ha ricordato che Israele “è contro Hamas, non contro il popolo di Gaza” e riconosce la sofferenza dei civili innocenti, incrementando i propri sforzi per far pervenire gli aiuti umanitari.
(Nella foto la studentessa israeliana Noa Argamani rapita dai terroristi di Hamas al SuperNova Festival e ancora ostaggio a Gaza)