di Ilaria Ester Ramazzotti
Dopo la parziale vittoria di Donald Trump a favore del suo Muslim travel ban, in parte dichiarato legittimo dalla Corte Suprema degli Stati Uniti lo scorso 26 giugno, alcune associazioni ebraiche si sono dichiarate contrarie al verdetto dei giudici americani. Il Jerusalem Post ne ha riportato i commenti.
In attesa di pronunciarsi definitivamente a ottobre, la Corte suprema ha in particolare reso valida una versione ridotta dell’ordine esecutivo che vieta l’ingresso negli USA ai cittadini di sei Paesi musulmani (Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen) che non abbiano relazioni con persone o entità negli Stati Uniti.
Jonathan Greenblatt, amministratore delegato dell’organizzazione ebraica Anti-Defamation League, ha dichiarato che la corte più alta della nazione “non è riuscita a riconoscere la difficile situazione dei rifugiati più minacciati nel mondo: quelli di Paesi da cui fuggono poiché le loro vite sono in pericolo imminente”. “Questa è una politica ingiusta e inumana – ha detto – nel morento in cui sappiamo che le persone sono in pericolo e i bambini soffrono, morendo di fame e nei conflitti all’estero”. La Anti-Defamation League si era già trovata in disaccordo con l’amministrazione di Trump su diversi fronti, ma la sua battaglia contro il divieto di ingresso dei rifugiati sembra aprire un conflitto con la Casa Bianca.
“Il divieto anti-musulmani del presidente Trump è profondamente non-americano, viola i principi costituzionali e pregiudica la nostra reputazione mondiale – ha affermato il rabbino Jack Moline, presidente dell’Interfaith Alliance -. La Corte Suprema dovrebbe colpirlo nella sua interezza. La discriminazione contro milioni di persone sulla base della loro religione – ha aggiunto – non fa nulla per rendere gli americani più sicuri”.
L’associazione AJC ha sostenuto che “l’ordine esecutivo di Trump non era sufficientemente giustificato da reali minacce alla sicurezza nazionale per poter superare il controllo giudiziario”, mentre altre organizzazioni ebraiche hanno espresso delusione e preoccupazione. Fra queste, la HIAS, un gruppo prevalentemente dedicato alla protezione dei rifugiati, che ha contestato Trump su questa questione, ha invece definito ‘vergognosi’ i suoi ordini esecutivi. Mark Hetfiel, presidente di HIAS, ha detto che “per la comunità ebraica americana, tutto ciò riecheggia i nostri giorni più oscuri trascorsi tra gli anni ’20 e ’40, quando l’America interruppe la sua tradizionale accoglienza dei rifugiati, imponendo criteri di ammissione discriminatori e tragici fondati interamente sul luogo in cui nascono le persone. I risultati di quelle leggi e politiche discriminatorie, in particolare per coloro che cercavano di sfuggire al genocidio nazista in Europa, furono tragici – ha sottolineato -. Anche questo ordine esecutivo, che consente criteri arbitrari per respingere rifugiati e altri non-cittadini, avrà dei risultati tragici”.
Trump, da parte sua, sostiene che il divieto di ingresso è rivolto a nazioni che non sanno controllare le proprie frontiere. Ma i critici della sua politica puntano il dito verso la retorica che ha descrive l’Islam come ‘odio verso l’America’ e promette di vietare ai musulmani l’entrata negli Stati Uniti.
Il mese scorso, come riporta Reuters, una manifestazione a sostegno dei rifugiati in tutto il mondo, e in risposta al divieto di ingresso negli Stati Uniti di Trump, si è svolta di fronte all’ambasciata statunitense a Tel Aviv (nella foto).