Usa: Israele sparisce dai passaporti degli ebrei nati a Gerusalemme

Mondo

di Roberto Zadik

Da quando il Governo americano ha deciso di rimuovere la parola “Israele” dai passaporti dei cittadini ebrei americani nati a Gerusalemme, negli Stati Uniti sono scoppiate le polemiche. Secondo il sito israeliano Times of Israel varie associazioni e organizzazioni Usa si stanno ribellando a questa misura decretata dalla Corte Suprema del Congresso che semplicemente giustifica il provvedimento col fatto che sia sufficiente riportare Gerusalemme, senza specificare la sovranità israeliana sulla città.

La decisione del Congresso di una settimana fa – di cui i media italiani non hanno fatto menzione – va ad annullare una legge che invece permetteva di inserire Israele come Stato di cui Gerusalemme è capitale, ma con cui Obama si sente ‘scomodo’: riportare questa dicitura significa per il presidente americano non svolgere un ruolo neutrale nel conflitto in Medio Oriente, vista la sacralità della città per i diversi popoli.

Ma questo è un segno importante e “saltare” la parola Israele significa non riconoscerlo? La maggioranza delle associazioni ebraiche contesta vivacemente questa misura affermando che il presidente detiene il potere di riconoscimento di un Paese straniero e che il Congresso non può passare una legge dirigendo il Dipartimento Statale su come deve registrare il luogo di nascita di un bambino nato all’estero da parenti americani.

Ma da dove nasce questo infuocato caso che oltrepassa la questione burocratica? Sempre l’autorevole portale racconta del caso sollevato dai parenti di Menachem Zivotofsky, che hanno cercato di inserire la parola “Israele” nel passaporto americano del figlio nato a Gerusalemme. Le maggiori associazioni americane ebraiche, circa 51 organizzazioni, hanno organizzato su questo caso una conferenza per ottenere l’inserimento della parola “Israele” sui passaporti dei cittadini americani nati in Israele. “Non crediamo” hanno detto alcuni importanti esponenti, come Stephen Greenberg e Malcolm Hoenlein che “i cittadini americani nati a Gerusalemme cederanno a negoziati o compromessi con gli Stati Uniti”. “Decine di migliaia di Americani sono stati colpiti da questo provvedimento del Congresso. Hoenlein e Greenberg mantengono un cauto ottimismo e sperano che si riesca a “trovare una soluzione costituzionalmente accettabile che assicuri che agli americani nati a Gerusalemme siano accordati i loro pieni diritti, incluso quello di designazione del loro Paese di nascita”.

Le polemiche però non finiscono qui. Infatti Abraham Foxman, il direttore nazionale dell’Anti Defamation League ha criticato aspramente l’approccio governativo americano verso Gerusalemme come “miope e ipocrita”. L’Adl, ha promosso una petizione firmata da 12 organizzazioni ebraiche a sostegno del fatto che gli americani nati a Gerusalemme dovrebbero avere la capacità di identificare il loro Stato di nascita sul passaporto allo stesso modo degli altri cittadini americani nati all’estero. “La questione per la Corte Suprema in questo caso riguarda un semplice atto amministrativo” ha sottolineato Foxman “i cittadini americani nati a Gerusalemme dovrebbero poter indicare il loro luogo di nascita come Israele”. La risposta a questo dovrebbe essere semplicemente “sì”. Foxman ha rincarato la dose: “fino a quando andrà avanti questa situazione? Israele, va detto, sfortunatamente, come Stato sovrano, è l’unico paese al mondo la cui capitale deve difendere il proprio diritto a esistere. E’ tempo che il Potere esecutivo affronti la realtà: Gerusalemme è la capitale israeliana”.

Analogamente, profondo disappunto è stato espresso anche dai religiosi. Il Rabbino Jonah Pesner, direttore del Centro Azione religiosa dell’Ebraismo Riformato, ha detto che la sua organizzazione era sconvolta dalla decisione che egli ha descritto come una “limitazione del diritto degli americani nati a Gerusalemme di identificarsi nel loro luogo di nascita che è Israele”. Pesner ha evidenziato come “il movimento Riformato si sia lungamente battuto per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana e che il Paese non dovrebbe essere limitato da sanzioni americane non applicate ad altre nazioni.”

Ma cosa dicono gli ortodossi americani? La più importante organizzazione ortodossa, The orthodox Jewish Congregation of America, ha espresso rammarico per la decisione del Congresso. Nathan Diament, direttore esecutivo perle politiche pubbliche dell’Unione Ortodossi, ha scritto in una dichiarazione che mentre “l’organizzazione è naturalmente infastidita dalla decisione della Corte Suprema, noi siamo ancora più scossi dalla persistente politica del governo americano, sostenuta da due presidenti che si sono succeduti, di mancare di rispetto alla capitale di Israele rispetto ad altre capitali di altre nazioni”. “Gerusalemme è senza dubbio la capitale di Israele” ha aggiunto “anche dopo la decisione della corte, è giunta l’ora per l’amministrazione americana di riconoscere la realtà”. Anche l’Orthodox Union è stata fra gli enti firmatari del provvedimento dell’Adl per scrivere sui passaporti degli ebrei americani nati a Gerusalemme, entrambe le parole “Jerusalem, Israel”.

Accanto a queste associazioni, anche altre si sono unite nella petizione, comprese il Comitato per gli affari pubblici americano-israeliano (AIPAC), il B’nei B’rith International, la Conferenza Centrale dei Rabbini Americani, il Consiglio ebraico per i Pubblici affari, il consiglio nazionale delle donne ebree, il Consiglio Nazionale del Giovane Israele, L’assemblea Rabbinica, L’Unione per l’ebraismo riformato, le Donen Reform e la lega delle Donne Ebree Conservatrici. Queste associazioni hanno contestato vivamente la Corte Suprema e il Congresso che ha importanti compiti di riconoscimento di governi stranieri e di normazione delle politiche sui passaporti.