di Davide Foa
Quando lunedì sera, 21 marzo, nella cornice dell’AIPAC (congresso americano pro-Israele), Donald Trump si è avvicinato al palco per prendere la parola, alcuni dei presenti hanno preferito alzarsi e lasciare la sala: rabbini ortodossi e riformati, giornalisti, membri dell’Anti Defamation League. Un unico grande ed eterogeneo gruppo di persone, accumunate dal desiderio di far valere la propria voce con un gesto inequivocabile.
“Vogliamo mandare un messaggio chiaro”, scriveva su Haaretz qualche giorno prima Rabbi Michael Knopf, uno degli organizzatori della protesta: “ noi siamo contro il bigottismo, elemento centrale nella campagna di Trump. (…) I suoi commenti apertamente xenofobi, islamofobi e misogeni, sia prima che durante la sua campagna, sono offensivi e superano il confine di una tollerabile retorica all’interno di una società per bene”.
Costruire un muro tra Usa e Messico, deportare i circa 11.5 milioni di immigrati clandestini presenti sul territorio americano, ma anche registrare tutti i musulmani americani in unico grande database: tutte proposte che Trump ha avanzato nel corso dei suoi comizi elettorali.
Proprio contro questi pericoli si è allora innalzato il movimento di protesta, di cui Rabbi Knopf è uno dei portavoce. Non si tratta, come precisa Knopf, di una protesta contro il congresso in sé, altrimenti il movimento non avrebbe proprio presenziato a quella che di fatto è la più grande e importante assemblea di ebrei americani.
“Ci sentiamo moralmente obbligati a mandare un messaggio a Donald Trump poiché crediamo che molte delle sue idee, parole e azioni siano totalmente opposti ai valori ebraici. Noi, in quanto ebrei, ci alzeremo in solidarietà con tutti coloro che Trump ha continuamente denigrato: i nostri fratelli e sorelle musulmani, messicani, latino-americani, immigrati, donne, disabili e omosessuali”.
Eppure, non si può certo dire che Trump sia stato mal accolto dal pubblico dell’AIPAC; migliaia di persone sono rimaste ad ascoltarlo, concedendo anche diversi applausi, mentre il tutto sommato piccolo gruppo di contestatori lasciava la sala: è stata dunque una protesta fallimentare?
“Assolutamente no”, dichiara il rabbino David Paskin, collaboratore per Haaretz e membro attivo del movimento ebraico anti-Trump, “la nostra protesta ha lanciato un messaggio chiaro”.
Anzi, secondo Paskin, il fatto che Trump sia stato ben accolto dall’AIPAC rende ancor più necessaria e urgente la crescita di un movimento di opposizione.
“Dobbiamo unirci in quanto persone di fede e dire: “Mr. Trump lei non parla in nostro nome; lei non ci rappresenta e noi non permetteremo ulteriore diffusione del suo bigottismo, xenofobia, misogenia, razzismo e odio”.