di Nathan Greppi
La George Washington University, che ha sede nella capitale americana, ha recentemente emesso una sospensione per almeno tre mesi nei confronti dell’associazione Students for Justice in Palestine (SJP). Si tratta del terzo ateneo americano che sospende questa organizzazione nelle ultime settimane.
Secondo il Times of Israel, le polemiche sono nate poco dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, quando membri di SJP hanno proiettato sul muro esterno della locale Biblioteca Gelman (intitolata a due importanti ebrei del posto) messaggi come “Gloria ai nostri martiri”, “Disinvestire ora dal genocidio sionista” e “Palestina libera dal fiume al mare”.
Il giorno dopo i fatti, il Presidente dell’università Ellen Granberg ha affermato che i messaggi proiettati costituivano un atto di antisemitismo e violavano il codice di condotta d’ateneo. Dopo un’indagine, lunedì 13 novembre le violazioni sono state confermate dai dirigenti universitari e il gruppo sospeso per 90 giorni.
Perlomeno in questo periodo di tempo, SJP non potrà patrocinare né organizzare alcuna attività all’interno del campus. Inoltre, non potranno pubblicare i loro comunicati negli spazi universitari almeno fino al 20 maggio 2024, giorno in cui terminerà l’anno accademico in corso.
Questa non è la prima volta che vi sono reazioni nelle università statunitensi contro le manifestazioni d’odio di SJP: il 6 novembre, la Brandeis University nel Massachusetts ha messo al bando definitivamente le loro attività, sulla base del loro aperto sostegno a Hamas. Mentre pochi giorni dopo, la Columbia University di New York ha sospeso almeno fino alla fine del semestre autunnale sia loro che l’organizzazione ebraica di estrema sinistra Jewish Voice for Peace, poiché entrambe le associazioni hanno minacciato e intimidito studenti ebrei e filoisraeliani che non la pensavano come loro.
Le azioni di questi atenei hanno ricevuto il plauso di Jonathan Greenblatt, presidente dell’ADL (Anti-Defamation League), il quale ha affermato che “non dovrebbe esserci spazio in nessun campus per organizzazioni come SJP, che minacciano le persone sulla base della loro etnia, religione o nazionalità”. Tuttavia, alcuni studenti filopalestinesi della George Washington hanno già annunciato la nascita di un nuovo gruppo, la Student Coalition for Palestine, al fine di aggirare la sospensione.
Dall’università alla politica
Come ha spiegato a Mosaico il criminologo Robert Friedmann, da tempo le organizzazioni filopalestinesi fanno leva sull’odio per l’Occidente e i sensi di colpa per il passato coloniale presenti in ampi strati della sinistra americana, al fine di raccogliere consensi. Non a caso, SJP ha fatto propria la definizione di una “occupied turtle island”, che nel gergo dei nativi americani è un riferimento al Nordamerica, secondo gli attivisti più estremi “occupato” dai colonialisti europei come la Palestina.
Negli ultimi anni, ciò si è tradotto anche nella discesa in campo di attivisti americani di origini palestinesi che si sono candidati per il Partito Democratico, e in alcuni casi sono stati eletti, al Congresso o nelle Camere dei singoli Stati. Il caso più noto è quello di Rashida Tlaib, deputata del Michigan eletta nel 2018, che ha più volte sostenuto il BDS e la sospensione dei fondi americani per Israele.
Sempre dal Michigan, nel 2022 ha provato a candidarsi per il Congresso anche Huwaida Arraf, fondatrice dell’International Solidarity Movement (movimento antisraeliano di cui faceva parte anche l’attivista italiano Vittorio Arrigoni, ucciso dai jihadisti a Gaza nel 2011), ma nel suo caso non è riuscita a vincere le primarie democratiche del suo distretto. Mentre Ibraheem Samirah, membro della Camera della Virginia dal 2019 al 2022, da studente militava nelle fila di SJP. Nel 2019 fece discutere per dei vecchi post su Facebook, in cui paragonava Israele al Ku Klux Klan e augurava ad Ariel Sharon di bruciare all’inferno.