Addio al partigiano Ico, il comandante ebreo
che liberò Aosta tre giorni dopo il 25 aprile
Con quelle armi e quegli automezzi Ico sabato 28 aprile arrivò alle porte di Aosta con i pochi uomini che gli erano rimasti. Li lasciò alle porte della città e lui solo in piedi con il mitra su un’auto della Wehrmacht raggiunse la piazza del Municipio di Aosta (oggi piazza Émile Chanoux) trovando un’amara sorpresa. C’erano centinaia di fascisti armati ad attenderlo. Come ha raccontato qualche anno fa Ico a Luca Casati nel video di MG produzioni, la paura fu tanta. Ma gli venne un’idea: alzare la mano salutando la folla tornando indietro. E non accadde nulla: i fascisti non spararono perché capirono da quell’auto appena arrivata che gli ultimi tedeschi si erano ormai arresi, e scapparono verso Saint Vincent dove avrebbero deposto le armi. Ico e i suoi uomini poterono tornare in piazza accolti da una folla festante: il 28 aprile anche Aosta era tornata libera.
Il partigiano Ico anni dopo avrebbe scritto tutta la sua storia divenuta un libro – Mani in alto, bitte! – curato dalla figlia Elena Loewenthal, scrittrice e traduttrice, che oggi collabora a La Stampa ed è direttrice del Circolo dei lettori di Torino. Ico dopo la guerra sarebbe diventato anche un industriale di una certa importanza, fondando e presiedendo fino a Giaveno la Elto, azienda che produce saldatori, partita con 2 dipendenti e arrivata ad averne più di cento. Poi si è ritirato fra Rivoli torinese e la sua amata Pantelleria dove produceva olio per hobby.
Enrico Loewenthal, il partigiano Ico, era mio zio.