Robert Frank

Addio a Robert Frank, icona del reportage fotografico del ‘900

Personaggi e Storie

di Ilaria Ester Ramazzotti
Di lui, nella storia della fotografia, rimarranno soprattutto ottantatré immagini scattate durante il suo audace viaggio attraverso l’America degli anni Cinquanta. Un viaggio che Robert Frank si finanzia con la borsa di studio annuale dalla Fondazione Guggenheim di New York che, primo fotografo europeo, vince nel 1955. Sintesi delle migliaia di scatti che colleziona a cavallo di un’automobile scassata, con in mano un Leica più volte usata, quelle 83 immagini compongono il libro The Americans, pubblicato negli Stati Uniti nel 1959, dopo l’edizione francese Les Américains uscita l’anno precedente a Parigi. È il lavoro con cui Robert Frank rende celebre la sua arte.

Naturalizzato statunitense, Frank nasce nel 1924 a Zurigo da madre svizzera e da padre tedesco di origini ebraiche. Cresce in Svizzera, nella sua giovinezza vive la minaccia del nazismo e, sfiorato dalla Shoah, sviluppa una sua particolare comprensione per gli oppressi. È morto lo scorso 9 settembre a Inverness, in Nuova Scozia, nel Canada, dove aveva una casa estiva con la compagna e pittrice June Leaf. Aveva 94 anni.

The Americans

Un autobus a New Orleans, con i bianchi seduti davanti e neri in fondo. Una tata di colore che culla un elegante bimbo bianco. Un lustrascarpe nei bagni di una stazione. Case disfatte e bambini che improvvisano giochi per strada. E la bandiera americana che sventola il giorno dell’Indipendenza nascondendo il viso di una donna alla finestra. Sguardi che ritraggono volti, luci e ombre di un’America colta fra disagio, povertà e razzismo, fotografata con realismo, espressività, introspezione e con una schiettezza tali che la parte più benpensante del Paese non gli perdonerà. Contestato nella sua carriera per imperfezioni o per scelte tecniche e cromatiche, è proprio con The Americans del 1959 che più influenza e ispira il settore della fotografia e del reportage.

«Robert Frank, svizzero, riservato, gentile – scrive nell’introduzione l’amico e scrittore Jack Kerouac -, con quella sua piccola macchina fotografica che alza all’improvviso scattando con una mano sola, ha estratto un poema triste dal cuore dell’America e l’ha fermato sulla pellicola. È uno dei poeti tragici del nostro tempo».

 Una carriera fra fotografia, reportage e cinema

Appassionato, intraprendente, fuori dagli schemi, diventa un’icona della fotografia del Novecento, secolo del quale sperimenta buio e opportunità. Emigra a New York all’età di 23 anni, nel 1947, dove ottiene un lavoro come fotografo di moda per Harper’s Bazaar e successivamente per Fortune, Life, Look, McCall’s, Vogue e Ladies Home Journal. Ma è viaggiando, fra Europa e Sud America, che esprime la sua vera passione: il reportage fotografico. Nel 1950 sposa l’artista Mary Lockspeiser, autrice di un libro in cui pubblica fotografie scattate a Parigi.

Negli anni Cinquanta, sempre negli Stati Uniti, incontra vari esponenti della Beat Generation, con cui condivide parte del suo percorso. Fra questi, il poeta Allen Ginsburg e lo scrittore Jack Kerouac, che scrive l’introduzione di The Americans e che rimarrà suo amico per tutta la vita. Negli anni Sessante si dedica al cinema e diviene regista. Nel 1972 gira un documentario sui Rolling Stones, così realistico che la band di musicisti gli fa causa e che non verrà diffuso nelle sale cinematografiche.

La vita di Frank è segnata altresì da tragedie personali. Sua figlia Andrea muore in un incidente aereo nel 1974 e suo figlio Pablo, con una diagnosi di schizofrenia, muore in ospedale nel 1994. Dopo la morte di Andrea si dedica di nuovo alla fotografia, creando immagini tramite collage e incisioni sulla pellicola.

Nel 1994 dona gran parte del suo materiale artistico, fra cui le preziose migliaia di foto “scartate” da The Americans, alla National Gallery of Art di Washington. Nel 1995 apre la Fondazione Andrea Frank per erogare borse di studio agli artisti.

Riceve nell’arco della sua carriera prestigiosi premi e riconoscimenti, fra cui l’Hasselblad Award nel 1996 e il Cornell Capa Award nel 2000. Una sua retrospettiva, organizzata a Londra nel 2004 alla Tate Modern Gallery, fa il giro del mondo.