di Ilaria Myr
Cinque anni fa, il 4 aprile 2017, Sarah Halimi, direttrice di un asilo nido e madre di tre figli, veniva brutalmente picchiata e buttata dalla finestra ancora viva al grido di “Allah hu Akbar” dal figlio di vicini di casa, un musulmano radicalizzato utilizzatore abituale di droghe. Un ennesimo episodio antisemita nel Paese dei Lumi, che è diventato un vero e proprio “Affaire” – l’Affaire Halimi’- dopo la decisione, nel 2021, della Corte di Cassazione che ha confermato l’irresponsabilità criminale dell’omicida di Sarah Halimi, che era sotto effetto di un “attacco delirante- secondo le conclusioni di sette psichiatri consultati dai tribunali – al momento dell’omicidio.
A ciò si è aggiunta la rivelazione, emersa nell’ottobre 2021, che la polizia aveva un mazzo di chiavi della casa dei vicini della signora Halimi, ma che vi è entrata solo un’ora dopo, quando ormai Halimi era stata uccisa.
“È stata una seconda pugnalata nella schiena, dopo ‘assassinio di nostra madre. Hanno voluto deliberatamente focalizzarsi sullo stato mentale di Traoré, senza esaminare i moltissimi indizi che fanno capire la premeditazione dell’atto. Non abbiamo più fiducia nella giustizia francese”. A pronunciare queste parole amareggiate è uno dei figli di Sarah Halimi, Yonathan, che lunedì 23 maggio sarà a Roma a una serata organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in ricordo della donna.
Qui l’intervista rilasciata a Mosaico.
Chi era sua madre, Sarah Halimi z”l?
Mia madre aveva svolto degli studi per diventare dottore generalista, ma non ha mai praticato perché appena finiti gli studi le è stato proposto un posto di direttrice di un asilo nido nel 4 arrondissement: era una struttura municipale, ma di fatto era frequentato da moltissimi ebrei, tanto che alcune volte, suo malgrado, non poteva accettare tutti i bambini. L’ha diretto per tanti anni, tanto che tutti lo chiamavano ‘il nido di Madame Halimi’.
Si era totalmente dedicata per concepirlo e svilupparlo, cercando sempre di fare stare bene i genitori che lasciavano in tranquillità i propri figli, e i bambini che lo frequentavano. Era una persona che sapeva ascoltare, le persone si confidavano con lei, e sempre pronta a offrire il suo aiuto. Ma era anche la madre di tre figli che ha cresciuto con totale dedizione, una persona di grandi valori morali, con molti principi e sensibilità, ma anche rigore nei propri confronti: voleva sempre arrivare in fondo, assumendosi le sue responsabilità. Questa è l’educazione che ci ha trasmesso e che noi cerchiamo di passare ai nostri figli.
L’assassinio, Kobili Traorè, è stato ritenuto non punibile a causa delle sostanze stupefacenti che aveva assunto prima dell’omicidio. Qual è stata la vostra reazione a questa decisione della giustizia?
Abbiamo perso qualsiasi fiducia nella giustizia francese. È così triste che la Francia non si sia assunta la responsabilità di giudicare l’assassino. Vi dico sinceramente: siamo rimasti nauseati da questa decisione, è stata una seconda pugnalata dopo la sua morte, è qualcosa di illogico e incomprensibile. Hanno fatto di tutto per non arrivare a un giudizio: si sono focalizzati sul suo stato mentale, non hanno fatto alcuna perizia, nessuna indagine sul suo telefono. Eppure c’erano così tanti segnali che era un’azione premeditata: si sa, ad esempio, che la sera prima si era recato dai vicini di casa di mia madre, che avevano il balcone adiacente al suo, probabilmente per vedere come passare da lei. Si sa anche agli amici ha scritto un messaggio in cui diceva “‘Questa sera tutto sarà finito” e che, il giorno dell’assassinio, è venuto da mia madre con i suoi abiti di preghiera e ha fatto un rituale, simile a quello del jihadista che aveva attaccato l’Hyper Cacher. Non solo: era conosciuto per essere un violento, aveva già commesso dei furti ed era un consumatore abituale di droga. Eppure, di tutto ciò non si è tenuto minimamente conto. Invece, è stato detto che non sapeva cosa faceva perché sotto effetto di droghe: ma come si può considerare l’abuso di droga una circostanza attenuante quando invece dovrebbe essere un’aggravante? Tutto ciò dimostra quanto sia stata forte la volontà della giustizia di non fare emergere la verità.
È una vergogna della Francia e della giustizia francese.
Dopo la decisione della Corte, come si può fare giustizia?
Stiamo cercando di vedere come agire. Ma le cose prendono tempo e soprattutto in Francia la giustizia è molto lenta, ci sono state chiuse molte porte. Stiamo riflettendo ad altre iniziative. Non è però solo una questione giuridica, ma anche politica: il governo non ci è stato favorevole. La politica oggi cerca di non fare giudicare gli assassini, di non creare troppo rumore.
Lunedì sarà a Roma per l’evento organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia. Come vede questa iniziativa? Perché è importante andare all’estero per parlare di questo caso?
La mia partecipazione, con mia moglie Esther, a questa serata è un modo per ringraziare l’Ucei per il sostegno che ci ha dato nel realizzare un centro educativo a Haifa per la comunità francese. Dopo la sua uccisione, infatti, e di fronte alla volontà politica di seppellire la verità ho deciso di dedicarle un luogo, Ohel Sarah, in cui perpetrare i valori che ci ha insegnato, con l’obbiettivo di rafforzare la nostra identità. In Israele spesso per i francesi che fanno l’aliyà non è semplice integrarsi, perché la cultura è molto diversa. Con questa comunità noi facciamo in modo che gli olim francesi abbiano un luogo dove incontrarsi, fare attività per adulti e bambini e arricchirsi in identità e cultura. Le comunità italiane ci hanno permesso di partire con questo progetto e la mano che ci hanno teso per fare rivivere nostra madre ci ha profondamente commosso. Quindi, senz’altro parlerò di quello che è successo, ma guardando al futuro, soprattutto per costruire e combattere questa ingiustizia e immoralità, rafforzando i nostri valori morali.
Quello che mi colpisce in questa intervista è che non avete ancora nominato la parola antisemitismo…
Noi abbiamo lasciato in Francia dopo quello che è successo, era troppo duro rimanere lì. Abitavamo a Belleville, dove ci sono molti ebrei, e si viveva in pace anche con i musulmani. Quello che però si deve sapere è che in Francia la comunità musulmana si è molto radicalizzata: lo stesso Traorè, è risaputo, andava a pregare 5 volte alla moschea Omar in avenue Morand, una moschea salafista. Le autorità francesi non riescono però a gestire questo problema: o hanno paura o non hanno voglia. O forse è per antisemitismo che non si è voluti intervenire e prendere le responsabilità? Non voglio neanche dirlo a voce alta, ma certamente ci poniamo delle domande. Sicuramente abbiamo da un lato l’antisemitismo di un uomo che faceva parte di un islam radicalizzato, in cui l’antisemitismo è una costante: lui stesso ha riconosciuto di avere perso la testa quando ha visto i candelabri di Shabbat, e questo rende ancora più illogica la sentenza e dall’altro il rifiuto della Francia di assumersi le proprie responsabilità nei confronti della comunità ebraica, che è molto più piccola rispetto a quella musulmana. Sappiamo tutti che è stato un atto antisemita.
Come vede la situazione dell’antisemitismo oggi in Francia?
Qualche mese fa mi ha chiamato la famiglia Cohen, che ha perso il figlio investito da un tram dopo un attacco da parte di un gruppo di ragazzi. La polizia aveva subito parlato di incidente, ma si è saputo, grazie alle ricerche fatte dai suoi genitori, che era stato invece attaccato da un gruppo antisemita. Anche qui la polizia non ha fatto il suo lavoro: si vede chiaramente che non c’è la volontà di proteggere gli ebrei. Non vogliono forse avere problemi con la comunità musulmana? Rimane incomprensibile.
Dopo l’assassinio di sua madre, però, anche in Francia l’opinione pubblica si è dimostrata sensibile…
C’è stata una presa di consapevolezza. Ma da qui a passare all’azione ce ne vuole… la situazione non si risolve. Questo è anche emerso in modo evidente dalle elezioni presidenziali, con l’estrema destra che è cresciuta fortemente: dimostra che la gente si sente insicura.
Vuole lasciare un messaggio ai lettori di Mosaico?
Il messaggio che voglio dare è che bisogna prendersi cura del prossimo, di essere vigilanti per gli altri. È quello che ci ha insegnato nostra madre Sarah, z”l, e che vogliamo continuare a tramandare. Purtroppo nel mondo in cui viviamo il male esiste, ma dobbiamo rafforzare il bene, essere all’ascolto dei bisogni dell’altro. Bisogna prendersi le proprie responsabilità. E per il mondo ebraico è importante essere sempre unito perché è questo che fa la nostra forza.