di Pietro Baragiola
Giovedì 19 ottobre l’associazione ebraica europea EJA (European Jewish Association) ha tenuto un briefing online con i principali leader delle comunità ebraiche per affrontare il tema del crescente antisemitismo che sta colpendo molte capitali europee in seguito al conflitto tra Gaza e Israele.
Intitolato Israel at war, l’incontro è stato moderato da Alex Benjamin, vice presidente dell’EJA, che, in qualità di ebreo della Diaspora e residente di Bruxelles, ha potuto vedere in prima persona il clima di tensione che ha portato i vertici dei governi mondiali ad aumentare la protezione di scuole, sinagoghe e altri siti ebraici. “Siamo nell’occhio del ciclone” ha affermato Benjamin.
Secondo i dati dell’EJA dal 7 ottobre gli attacchi antisemiti e gli abusi contro gli ebrei sono aumentati del 1200% in Europa con 519 incidenti solo in Francia, dove risiede la comunità ebraica più grande del continente. Questi attacchi includono la distruzione delle bandiere israeliane, il vandalismo di monumenti e siti ebraici, graffiti e persino numerose minacce di morte.
“Dallo scorso 7 ottobre i due milioni di ebrei che vivono in Europa non dormono più la notte perché si sentono minacciati” ha affermato il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’EJA. Margolin ha dichiarato che l’aumento di tali incidenti è qualcosa che non si vedeva da decenni. “Prima di dormire i cittadini ebrei bloccano le loro porte, installano le telecamere e cambiano le finestre con vetri antiproiettile. Non si sentono più al sicuro. Abbiamo bisogno di aiuto.”
L’appello dell’EJA alla Comunità Europea
L’EJA è stata fondata nel 2000 con lo scopo di combattere l’antisemitismo in tutte le sue forme, promuovendo il ricordo dell’Olocausto, assicurando la libertà di religione e rafforzando l’identità ebraica in tutta Europa. Oggi, grazie al suo lavoro, l’associazione rappresenta centinaia di comunità in tutto il continente.
I dati raccolti dall’organizzazione mostrano come, negli ultimi anni, circa il 38% degli ebrei europei abbiano pensato almeno una volta a lasciare l’Europa perché non si sentivano al sicuro dagli attacchi antisemiti, portando le principali comunità ebraiche a investire sempre più fondi a sostegno della propria sicurezza.
Secondo il presidente Margolin i leader europei hanno permesso la diffusione dell’antisemitismo perché non consapevoli della gravità del problema. “È nostro compito all’EJA far si che i governi facciano più attenzione a questo fenomeno. Chiunque pensi che l’antisemitismo sia un problema che riguarda solo Israele e Palestina o la pura politica vive sotto una roccia. Questo è solo un pretesto per motivare gli attacchi contro ogni ebreo del mondo”.
Margolin si è soffermato sul fatto che, nonostante siano molto apprezzate le dichiarazioni di sostegno e solidarietà espresse dalla visita della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola a Tel Aviv (le prime leader a visitare lo Stato Ebraico dopo il massacro del 7 ottobre), è il sostegno dell’opinione pubblica che Israele non sente di avere, specialmente vedendo le numerose e partecipate manifestazioni antisemite degli ultimi giorni. “Non vogliamo sostegni finanziari o militari: abbiamo uno degli eserciti più avanguardia del mondo! Vogliamo un sostegno umanitario.”
Ruth Wasserman Lande, ex membro del Knesset e corrispondente per l’ambasciata israeliana in Cairo, ha descritto il suo orrore nel vedere le manifestazioni pro-Hamas in giro per il mondo. “La strage del 7 ottobre è il momento più buio che il paese ha affrontato dal riconoscimento dello Stato Ebraico nel 1948. Dobbiamo coinvolgere e istruire l’opinione pubblica. Per Hamas questo è solo il primo passo. Il prossimo sarà l’uccisione sistematica di tutti gli ebrei del mondo”.
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Wasserman ha voluto inoltre sottolineare che il nemico non è la Palestina ma un’organizzazione terroristica che tiene sotto scacco 2,2 milioni di civili palestinesi confinati all’interno di un regime spietato che nutre l’incitamento al terrorismo. “Hamas è un gruppo barbarico che preferisce colpire i propri concittadini piuttosto che essere sconfitto da Israele” ha spiegato Wasserman, ricordando il bombardamento da parte di Hamas del ponte che avrebbe permesso ai palestinesi di Gaza di fuggire dagli attacchi dell’IDF.
“C’è bisogno di una coalizione internazionale per estinguere queste forze malvagie che non hanno solo infettato Gaza ma anche il resto del mondo con il loro antisemitismo” ha affermato Margolin, spiegando che gli strumenti principali per monitorare il diffondersi di questi messaggi d’odio sono le più recenti piattaforme social. “Abbiamo bisogno di un miglior controllo su tali contenuti e una migliore educazione contro questo razzismo. Svegliatevi! ‘Mai più’ inizia ora!”
La FOA e l’antisemitismo online
Per combattere l’antisemitismo in rete il giovane israeliano Tomer Aldubi ha fondato nel 2020 la FOA (Fighting Online Antisemitism). Quest’organizzazione non governativa no-profit può contare sul contributo di oltre 300 volontari internazionali che, sfruttando l’uso di hashtag e dell’intelligenza artificiale, monitorano ogni ora di ogni giorno i principali social network del mondo per scoprire e rimuovere i post antisemiti.
Aldubi si è ritenuto fiero del fatto che FOA ha esteso negli anni il suo occhio vigile su Facebook, Twitter, Youtube, Linkedin, Spotify e Telegram, confidando presto di raggiungere anche Reddit e Discord. “Negli ultimi giorni diversi gruppi palestinesi hanno usato la piattaforma Telegram per diffondere consigli su come pugnalare i soldati dell’IDF, creare esplosivi fatti in casa e rubare le armi delle truppe israeliane per poi usarle contro di loro. Questi gruppi sono motivati dalla riservatezza garantita da Telegram che permette ai suoi users di restare anonimi” ha spiegato Aldubi. “Grazie al nostro contributo il social ha iniziato a individuare e chiudere molte di queste chat ma il lavoro continua”.
Il fondatore di FOA invita chiunque ad aiutare l’organizzazione segnalando i video e i post che incitano all’antisemitismo o al negazionismo dell’Olocausto. “È molto semplice e ogni due settimane teniamo training per i volontari che vogliono saperne di più, imparando i metodi più efficienti per sconfiggere l’antisemitismo online una volta per tutte” ha dichiarato Aldubi.
Gli attacchi in Europa
Il briefing del 19 ottobre ha incluso la partecipazione di numerosi rappresentanti delle comunità ebraiche europee colpite dall’odio antisemita.
Ellen Van Praagh, presidente dell’IPOR (Interprovincial Supreme Ribbon of the Netherlands) e membro della comunità di Ultrecht, ha descritto un quadro molto cupo della situazione ebraica olandese: “i nostri media sono fortemente anti-israeliani e così anche diverse camere del Parlamento”. Van Praagh ha spiegato che, negli ultimi tempi, l’odio antisemita ha generato un esodo di massa degli ebrei dall’Olanda, che fuggono in altri paesi nella speranza di salvarsi dalle persecuzioni.
“Ci sono stati numerosi attacchi alle sinagoghe, le kippah rimangono nascoste e sono state rimosse le mezuzah dalle porte: è il ritorno al clima degli anni ‘30” ha dichiarato il rabbino capo dei Paesi Bassi Binyomin Jacobs, ammettendo di essere molto preoccupato per la sicurezza degli ebrei in Europa.
Anche in Germania gli incidenti antisemiti hanno colpito duramente la popolazione. A poche ore dagli orribili attacchi del 7 ottobre diversi musulmani hanno festeggiato le stragi di Hamas distribuendo caramelle tra le strade di Berlino. Nei giorni seguenti alcuni assalitori con il volto coperto hanno lanciato due molotov contro una sinagoga del centro della città e le facciate di molti edifici sono state imbrattate con la stella di Davide. “Sono scene particolarmente dolorose che ricordano la persecuzione ebraica in Germania ai tempi del nazismo” ha affermato la berlinese Nikoline Hansen.
Nonostante l’odio continui a diffondersi, alcuni paesi come la Polonia sono riusciti a fermare l’ondata antisemita. Edward Odoner, presidente del comitato di revisione della TSKZ (Social and Cultural Society of Jews in Poland) ha spiegato come il paese sia stato ingiustamente accusato di non investire abbastanza nella protezione degli ebrei quando “la verità è che gli ebrei non si sentono minacciati in Polonia”.
I crimini dell’odio non sono riusciti a fermare neanche la marcia per la vita tenutasi il 16 ottobre a Roma in memoria dell’80° anniversario della deportazione degli ebrei romani dal ghetto della città. Pur rispettando le norme di estrema sicurezza, la cerimonia ha proseguito il suo iter prestabilito: partendo dal Campidoglio e concludendosi nella Grande Sinagoga romana. “Non si poteva cancellare la marcia” ha affermato, il direttore dell’iniziativa Michel Gourary. “Come insegnano i nostri saggi dobbiamo continuare ad andare avanti nonostante l’odio crescente, vivendo la nostra vita come ebrei fieri”.