Marco Travaglio

Approfondimento sui media/2. Marco Travaglio: “L’antisemitismo cresce perché qualcuno attribuisce le colpe di Netanyahu e dei suoi sostenitori a tutti gli ebrei”

Personaggi e Storie

Nell’ambito dell’approfondimento realizzato da Bet Magazine/Mosaico su come i media italiani hanno trattato il conflitto a Gaza, insieme a Pierluigi Battista, Raffaele Genah, Gian Antonio Stella, Daniele Capezzone, Alessandro Sallusti…, abbiamo deciso di intervistare anche Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, perché – nonostante il suo giornale ospiti collaboratori le cui idee fanno spesso a pugni con la complessa  realtà mediorientale e brillino per disonestà intellettuale – nel suo libro “Israele e i palestinesi in poche parole” e nei suoi video di divulgazione storica su Israele, Travaglio ha offerto una ricostruzione equilibrata e corretta dei fatti e delle vicende storiche. Tuttavia, con nostra sorpresa, nelle risposte fornite in questa intervista sembra invece predominare una ambigua e parziale lettura della realtà, nelle cifre dichiarate, nella sequenza degli eventi, nel voler minimizzare l’impatto del 7 ottobre sulla società israeliana, nell’attribuire la maggior parte delle responsabilità a una parte sola. Un punto di vista che non condividiamo e che non tiene conto di un quadro internazionale e di un contesto mediorientale in grande trasformazione (ad esempio, l’accordo tra Israele e l’Arabia Saudita in funzione anti-Iran, “ucciso” dall’attacco di Hamas)…

La Redazione

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Nel contesto dell’inchiesta condotta da Mosaico/BetMagazine sulla reazione dei media italiani agli attacchi del 7 ottobre e alle loro conseguenze, abbiamo intervistato Marco Travaglio, direttore della versione cartacea del Fatto Quotidiano che si è distinto negli ultimi mesi per essere uno dei più ardenti critici delle azioni condotte a Gaza dal governo Netanyahu, che definisce senza mezzi termini “crimini di guerra”, e ha recentemente pubblicato ‘Israele e i palestinesi, in poche parole’ (PaperFIRST), un volume che cerca di raccontare la storia della questione israelo-palestinese focalizzandosi sui fatti e sottolineando le responsabilità di entrambe le parti in guerra, senza scadere nella tifoseria.

Quali sono state le sue reazioni e considerazioni immediate al massacro del 7 Ottobre?

La mia è sicuramente stata una reazione di orrore. Sono un appassionato della storia israeliana e un simpatizzante della causa d’Israele fin dalle origini, e l’idea di vedere 1400 ragazzi, uomini, donne, bambini e vecchi ammazzati solo perché ebrei israeliani mi ha destato orrore.

Poi mi sono domandato come sia stato possibile che un pericolo noto da sempre come quello di Hamas sia stato sottovalutato dal governo Netanyahu, sguarnendo il fronte di Gaza a favore della Cisgiordania. Inoltre sappiamo che i servizi segreti americani, egiziani e israeliani avevano avvisato il governo di progetti di incursioni con modalità molto simili a quella che ha portato al pogrom del 7 Ottobre.

Non sono un complottista e rifuggo dalle dietrologie secondo cui Israele si sarebbe fatto l’attentato da solo, ma tutto ciò mi ha fatto considerare la politica di Netanyahu che ha dichiarato apertamente, in diverse circostanze, che era interesse di Israele indebolire l’ANP e rafforzare indirettamente Hamas, permettendo per questo il passaggio dei finanziamenti dal Qatar. Netanyahu disse più o meno “appicchiamo il fuoco perché possiamo controllare l’altezza delle fiamme”.

Il 7 Ottobre ha dimostrato che l’altezza delle fiamme non la controllava per niente.

 

Poi c’è stata la reazione alla reazione. In pochi giorni il governo Netanyahu è riuscito a far dimenticare il 7 Ottobre, facendo passare Israele dalla parte dell’aggredito a quella dell’aggressore con una reazione che non ha niente a che fare con l’autodifesa. Non ho mai sposato la tesi del genocidio, ma quello che sta avvenendo a Gaza è qualcosa di mostruoso, un crimine di guerra quotidiano, ed è alla radice della nuova ondata di antisemitismo, che è molto preoccupante.

Quello che è accaduto dall’8 Ottobre in avanti è una macchia che, a causa del governo Netanyahu, purtroppo resterà non so per quanti decenni a sporcare la reputazione di quella che ho sempre considerato l’unica democrazia del medio oriente, ma che adesso faccio fatica a considerare una democrazia ‘compiuta’.

 

Quale linea ha cercato di dare al giornale e come si è evoluta con lo sviluppo della situazione a Gaza? Essendo una questione fortemente polarizzata, ci sono stati contrasti in redazione in cui è dovuto intervenire?

 Non ho dovuto dare troppe indicazioni, a parte fissare i fondamentali, cioè chiamare le cose con il loro nome: i crimini di guerra sono crimini di guerra, i genocidi e l’apartheid sono un’altra cosa.

Ai miei cronisti chiedo di raccontare le cose come stanno, nei minimi dettagli, abbiamo raccontato le terrificanti immagini del 7 ottobre, e la stessa cosa abbiamo fatto con quelle di Gaza. Il nostro metro di giudizio è che ogni vita umana ha lo stesso valore, che sia palestinese o ebrea, russa o ucraina.

Mi rifiuto di pubblicare pezzi in cui si giustifica il massacro di Gaza con il 7 Ottobre, mi rifiuto di pubblicare pezzi in cui si dice che Israele è illegittimo, poiché la sua legittimità è stata riconosciuta dall’ONU, mi rifiuto di pubblicare pezzi che confondano le responsabilità del governo con quelle del popolo Israeliano, o addirittura del popolo ebraico. Mi rifiuto di pubblicare pezzi che contengano espressioni antisemite, ma anche arabo-fobiche.

Ho semplicemente richiesto equilibrio, attinenza ai fatti e soprattutto equità.

 

Ha recentemente scritto un libro sulla questione israelo-palestinese, può spiegare le ragioni che l’hanno spinta a questa decisione?

Una delle ragioni è stata proprio quella di fissare alcuni punti e riepilogare la storia degli ultimi cent’anni per evitare che le nuove generazioni, che non sanno nulla della questione e che sono abituate a fare la storia con le istantanee del momento tramite i social, arrivino a convincersi di quello che ormai pensano molti giovani universitari, ovvero che non ci sia nessuna differenza tra i nazisti e gli ebrei, un messaggio devastante che purtroppo sta passando.

Spero di essere riuscito a far capire che non tutte le ragioni stanno da una parte e non tutti i torti stanno dall’altra, ci sono state diverse fasi storiche in cui torti e ragioni si sono ribaltati e se siamo ancora qui ad inseguire il sogno “due popoli e due stati” è perché non gli israeliani e gli ebrei, ma soprattutto le classi dirigenti arabe e palestinesi rifiutarono la risoluzione 181 dell’ONU nel 1947, che fissava i confini dei due stati.

Ci sono state molte fasi in cui entrambe le parti si sono messe al tavolo per cercare di trovare una possibile soluzione, e questa purtroppo è una storia di occasioni mancate, dagli accordi di Oslo vanificati dall’assassinio di Rabin al piano Barak, al ritiro di Sharon da Gaza all’offerta di Olmert nel 2008, l’ultima occasione perduta da Abu Mazen.

 

Ravvisa dei parallelismi nella reazione dei media italiani al conflitto in Ucraina e alla crisi medio-orientale?

Purtroppo nella grande maggioranza della stampa italiana vedo due pesi e due misure. Si dice che la guerra in Ucraina finirà quando la Russia si ritirerà dai territori occupati, e non si ha il coraggio di dire la stessa cosa a Israele, si accusa Putin di genocidio e non si ha il coraggio di accusare Netanyahu di crimini di guerra, si confonde il sacrosanto diritto alla difesa con un massacro di civili senza uguali nella storia degli ultimi 50 anni.

 

Lei parla di “massacro di civili senza uguali nella storia degli ultimi 50 anni”. Mi scusi, ma i 500 mila siriani fatti massacrare da Bashar al Assad in Siria? E le migliaia di donne, bambini, vecchi che muoiono nelle guerre in Sudan, Yemen, Myanmar? Mi perdoni, ma questa non è una constatazione corretta…

Questa gara a chi ha massacrato più civili mi pare infinitamente triste, soprattutto se parliamo di una democrazia che continua a vantare la sua diversità dai regimi dei peggiori tagliagole. Comunque, se proprio devo addentrarmi in questa contabilità dell’orrore, mi riferivo al fatto che Israele ha sterminato 32mila e più civili palestinesi su una popolazione che a Gaza è di circa 2 milioni e mezzo di persone, il tutto in cinque-sei mesi (secondo i dati forniti da Hamas, ndr).

 

Non trova che paragonare Israele, un Paese grande quanto la Lombardia, alla Russia sia fuorviante?

Mai paragonato Israele alla Russia per dimensioni. Mi sono solo domandato come mai, per 10mila o più civili morti in due anni di guerra in Ucraina (38 milioni di abitanti), Putin abbia un mandato di cattura internazionale; e Netanyahu, per 32mila o più civili morti (secondo i dati forniti da Hamas, ndr), in cinque-sei mesi di guerra a Gaza (2,5 milioni di abitanti), nemmeno una sanzioncina.

 

Secondo alcuni la stampa occidentale si concentra eccessivamente sulla questione israelo-palestinese rispetto ad altri scenari di crisi nel mondo. Condivide queste considerazioni?

 

Certamente c’è molta attenzione sulla questione e molto sdegno.

Certo ci sono altre guerre in corso e altri morti, ma la realtà è che questa non sono neanche sicuro che si possa chiamarla guerra.

Le guerre ci sono quando ci sono due eserciti che combattono ma quando un esercito bombarda un’intera popolazione civile perché magari nel mucchio prende qualche militante di Hamas… Noi abbiamo cercato Riina e Provenzano per decenni, ma non è che abbiamo raso al suolo la Sicilia perché così, magari, tra i morti c’erano due dei loro o qualche loro picciotto. È stupefacente doverlo spiegare a un governo che ha forse i migliori servizi segreti del mondo: il terrorismo si combatte con i servizi segreti e gli attacchi mirati, non bombardando un’intera popolazione.

L’attenzione quasi totalitaria su questo massacro rispetto agli altri si spiega anche col fatto che è il più impunito. L’invasione russa, per esempio, è stata immediatamente sanzionata e su Putin è stato spiccato un mandato di cattura internazionale. Se ci fosse qualche sanzione nei confronti di Netanyahu magari l’impressione della popolazione sarebbe che la vita dei palestinesi valga quanto quella degli ucraini, ora invece sembra che valga un trentesimo.

Per questo c’è più attenzione, e più indignazione.

 

Lei considera che questa non sia una guerra perché sostiene che Hamas non abbia un esercito. Mi scusi ma i famosi battaglioni di Hamas per lei non sono un esercito? E i 720 km di tunnel costruiti in decenni? Secondo lei questa non è guerra? E non le sembra riduttivo paragonare la caccia ai mafiosi alla guerra a Gaza?

Non vedo eserciti di Hamas schierati a Gaza: parliamo di milizie terroristiche ben nascoste (i miliziani, nei tunnel a Gaza; i capi, in Qatar e in altre città arabe), che non si combattono con l’esercito e l’aviazione militare, ma con l’intelligence e i raid mirati. Infatti, dopo sei mesi di guerra asimmetrica, la forza militare di Hamas è ben lungi dall’essere annientata, diversamente dalla popolazione civile. Anzi, i sopravvissuti a tanto orrore saranno i volontari del terrorismo di domani, che Netanyahu sta reclutando gratuitamente per Hamas o per nuove milizie terroristiche simili.

 

Che cosa pensa delle grida su Palestina dal fiume al mare? Non è inneggiare alla distruzione di uno stato con 11 milioni di abitanti? Non è un crimine di odio questo? Non è questa una istigazione al genocidio?

Chi ha letto il mio libro o ha ascoltato le mie interviste sa benissimo come la penso: Israele ha diritto a esistere in base alla risoluzione dell’Onu 181 del 1947. Chi non la riconosce sbaglia, ma non mi pare un motivo valido per sterminare quelli che non la pensano come me.

 

Nelle scuole palestinesi sono decenni che si insegna a odiare gli ebrei e a ucciderli, non pensa che il terrorismo sia una conseguenza del rifiuto arabo a riconoscere Israele e non delle politiche israeliane?

Il terrorismo è figlio di tanti fattori: il rifiuto arabo della spartizione Onu, la Nakba in parte forzata e in parte spontanea dei palestinesi scacciati o fuggiti dalle loro case nel 1948-’49, la vita impossibile nei campi profughi creati dall’Egitto a Gaza e dalla Transgiordania in Cisgiordania durante l’occupazione dal 1948 al 1967, le politiche israeliane in quei territori occupati dopo il 1967 (a Gaza fino al 2005, in Cisgiordania tuttora) con i muri e tutto il resto, la folle e illegale colonizzazione ebraica dei territori palestinesi incrementata all’inverosimile da Netanyahu, l’assenza di prospettive di pace dopo l’avvento di questo premier che, dal 2009 in poi, ha scientemente rafforzato Hamas per indebolire Abu Mazen e l’ala più trattativista dell’Autorità nazionale palestinese. E poi, certo, anche la propaganda estremista nelle scuole. Ora comunque essa non servirà più: a spingere i giovani palestinesi alla lotta armata basta e avanza quello che sta facendo l’esercito israeliano.

 

Ha già citato il crescente antisemitismo. Anche a causa di questo fenomeno le comunità ebraiche si sentono sempre più prese di mira e demonizzate…

Le responsabilità sono del governo Netanyahu e di chi lo ha più volte sostenuto. Dalla sua prima esperienza di governo del 1996 Netanyahu ha sempre proclamato di voler distruggere gli accordi di pace tra palestinesi e israeliani.

Purtroppo qualcuno vuole far ricadere le sue colpe su tutta la popolazione israeliana e non solo, compresi quelli che hanno protestato contro la sua riforma della giustizia e chi lo contesta per chiedere un accordo e il rilascio degli ostaggi.

Trovo ancor più orrendo che qualcuno confonda gli ebrei in generale con quello che sta facendo il governo Netanyahu.

Mi domando però per quale motivo alcuni vertici di alcune comunità ebraiche hanno cominciato a distribuire patenti di antisemitismo a chi critica il governo israeliano, aiutando gli antisemiti a propagare un’assurda e orrenda equazione tra governo Netanyahu e ebrei in tutto il mondo.

La critica al governo non dovrebbe essere né vietata né considerata riprovevole, è l’essenza della democrazia, sono forse antisemiti anche i giornalisti di Haaretz, il giornale più antico d’Israele?

Questa è una cosa assurda, autolesionista e controproducente.

 

Nel suo libro descrive i termini “genocidio” e “apartheid” come scorretti. Tuttavia, molti hanno sotto gli occhi il processo a Israele davanti alla corte di giustizia internazionale dell’Aja, e l’accusa di apartheid è sostenuta da diverse Ong. Come risponderebbe a queste considerazioni?

Ho sempre contestato l’uso del termine apartheid: se uno va in Israele vede che non c’è nessun apartheid, ci sono palestinesi che hanno gli stessi diritti degli ebrei Israeliani. Le condizioni sono diverse in Cisgiordania occupata e a Gaza dopo il 7 ottobre.

È chiaro però che nel governo Netanyahu ci sono ministri, come Ben Gvir, che non solo vogliono l’apartheid, vogliono proprio la “soluzione finale”, ma per il momento

sono minoritari e mi auguro non abbiano la possibilità di portare avanti i loro piani.

Ciò che sta succedendo a Gaza è mostruoso ma i genocidi sono un unicum, una rarità nella storia, e dire che tutte le atrocità sono genocidio significa che “niente” è genocidio. Si rischia quindi di banalizzare altri genocidi realmente accaduti, innanzitutto la Shoah, poi il genocidio armeno, quello in Rwanda, quello cambogiano e pochissimi altri.

La Corte Internazionale non dice che c’è un genocidio in corso, ha raccomandato ad Israele di evitare che questa rappresaglia mostruosa si trasformi in un genocidio.

In ogni caso non capisco perché bisogna andare a inseguire un termine ancora da provare, come ‘genocidio’, quando basterebbe chiamare le cose con il loro nome: sono crimini di guerra e sono già ampiamente documentati.

Quando si affama la gente, quando la si fa scappare prima a sud, poi a est, poi a ovest, quando non si fanno passare gli aiuti, quando si colpiscono gli ospedali (usati da Hamas come base militare, perdendo secondo il diritto internazionale il suo status “protetto”, ndr)…questi sono crimini di guerra. Per molto meno Putin ha ricevuto il mandato di cattura internazionale.

 

Nel libro descrive il fallimento dei passati processi di pace. Crede che dopo gli ultimi eventi ci siano speranze per un nuovo processo di pace?

In questi 15 anni è stato scavato un fossato che, al momento, mi sembra incolmabile.

Mi chiedo come sia stato possibile che Netanyahu sia riuscito a illudere così tanti israeliani del fatto che il problema palestinese si sarebbe risolto ignorandolo, continuando a colonizzare la Cisgiordania e a rafforzare chi, tra i palestinesi, non voleva sedersi a quel tavolo, inseguendo il sogno, per me l’incubo, di ricacciare gli ebrei nel mare.

Pensare, come fa Biden, di risolvere la situazione paracadutando Abu Mazen a Gaza e riprendere le trattative denota cialtroneria e ignoranza.

Abu Mazen non rappresenta più nessuno, e se mette piede a Gaza lo fanno secco.

L’odio sprigionato dal governo Netanyahu e dalle azioni dell’esercito a Gaza quando sarà sopito? I civili che hanno assistito all’assassinio dei loro figli, mogli, mariti, nonni e genitori sono i terroristi di domani.

Che prospettiva ha oggi un palestinese di Gaza se non quella di imbracciare un mitra o farsi esplodere?

Anche se, come mi auguro, il governo Netanyahu cadesse e chi ne prenderà il posto volesse veramente cercare di risolvere il problema, dall’altra parte chi troverebbe?

Una nuova leadership palestinese al momento non si vede, che non può essere costituita né, ovviamente, da Hamas né da Abu Mazen, né dagli Stati Arabi che hanno sempre strumentalizzato la causa palestinese per i propri interessi.