La barriera corallina nel Mar Rosso

Un progetto di pace: scienza e diplomazia per salvare la barriera corallina del Mar Rosso

Personaggi e Storie

di Sofia Tranchina
Si è formata una collaborazione internazionale, guidata da Israele, per una spedizione attraverso il Mar Rosso al fine di mappare e valutare lo stato di salute della barriera corallina.

Negli ultimi 39 anni, è morto oltre il 50% delle barriere coralline di tutto il mondo, e si prevede che entro il 2050 ne resterà solo il 10%, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici (in Egitto, in particolare, il turismo è una delle cause principali che accelerano il crollo delle barriere coralline). Dati scientifici aggiornati sarebbero cruciali per aiutare le valutazioni di impatto ambientale per i grandi progetti di costruzione, spiega il professore Anders Maibon, ma nessun Paese può farcela da solo.

Una collaborazione ambientale che è anche politica

La spedizione ricoprirà tutta la costa di 4.500 chilometri comprensiva di otto paesi – Israele, Giordania, Egitto, Sudan, Eritrea, Arabia Saudita, Yemen e Gibuti – e segna una grande svolta di disgelo politico.

In particolare, è nuova la collaborazione tra Israele e Sudan: vengono così raccolti i frutti dell’accordo di normalizzazione politica tra Israele e Sudan – firmati l’anno scorso come parte integrante degli accordi di Abramo – oltre che dei già esistenti trattati di pace con Egitto e Giordania.

Come affermato in un’intervista del Times of Israel dal co-direttore del progetto Maoz Fine, professore dell’IUI e della Bar Ilan University,  il progetto ricollega infatti scienza e diplomazia in nome del “bene futuro dei coralli”. Per questo, si dichiara politicamente neutrale e riceverà finanziamenti da una fondazione europea anonima.

Lo stesso co-direttore della EcoPeace Middle East aveva dichiarato che «cambiamenti politici dovevano avvenire per salvare le barriere coralline».

Innanzitutto, è stato finalmente cancellato il progetto della European Asia Pipeline Company, che in un accordo con gli Emirati Arabi Uniti avrebbe voluto portare del petrolio greggio dal Golfo Persico a Eilat. La minima perdita avrebbe infatti potuto paralizzare le barriere coralline e gli impianti di desalinizzazione di Ashkelon in modo irreversibile.

Inoltre, Israele ha aderito alla Convenzione Regionale per la Conservazione del Mar Rosso e del Golfo di Aden, istituita nel 1982 in Arabia Saudita ma rimasta finora chiusa allo Stato ebraico per motivi politici.

Infine, la Giordania ha dichiarato il suo desiderio che le sue spiagge del Mar Rosso siano dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. 

La nave Fleur de Passion costruita dai nazisti
L’imbarcazione Fleur de Passion costruita dai nazisti, su cui viaggerà la spedizione

Un lungo progetto, su una nave costruita dai nazisti

La spedizione viaggerà su un’imbarcazione, la Fleur de Passion, che era stata originariamente costruita dai nazisti per posare mine, camuffata da nave da pesca.

Acquistata dall’organizzazione no profit Fondation Pacifique, è stata adattata per fungere da piattaforma logistica per la ricerca marina, ed è salpata circa un mese fa da Siviglia per approdare in Giordania, dove è stata allestita per il viaggio.

Per mappare l’intera area, gli scienziati si immergeranno ogni giorno a raccogliere esemplari di corallo da sottoporre a diverse condizioni e temperature di acqua.

Gli studi dureranno fino a settembre e riprenderanno l’estate successiva, per quattro anni consecutivi, per stabilire una linea di media della salute dei coralli, che sarà la base di riferimento per le misurazioni future sui cambiamenti climatici.

Un simulatore di coralli dell’IUI

La particolarità della barriera corallina Golfo Eilat

Secondo recenti ricerche svolte presso il simulatore di corallo dell’IUI (Istituto inter-universitario per le scienze marine di Eilat) – in cui i coralli vengono disposti in file di vasche e sottoposti a diverse temperature e acidità –, le ultime barriere coralline a sopravvivere potrebbero essere quelle del Golfo di Eilat, le più settentrionali del pianeta.

Mentre gli altri coralli del mondo muoiono quando la temperatura si alza anche solo di due gradi, quelli di Eilat sono in grado di sostenere un calore fino a sei gradi maggiore rispetto alle temperature medie estive, senza mostrare segni di sbiancamento (i coralli, quando perdono le alghe simbiotiche prima di morire, diventano appunto bianchi).

Sembrerebbe infatti che i coralli di Eilat si siano originariamente evoluti a sud, tra lo Yemen e Gibuti, e si siano spostati a nord solo in seguito, grazie alla resilienza intrinseca.

In tal caso, questi coralli sarebbero una sorta di asso nella manica della popolazione corallina mondiale, potendo permettere alle altre barriere di sopravvivere in futuro, fornendo loro materiale corallino.

La spedizione si ripropone inoltre di installare delle telecamere e dei sensori di monitoraggio in diversi punti del Mar Rosso per avvisare immediatamente i ricercatori di eventuali segni di sbiancamento. Il primo lotto verrà installato a Eilat, il secondo ad Aqaba e il terzo in Sudan.

La spedizione è appena partita da Eilat verso il Sudan, dove sei ricercatori sudanesi che raggiungeranno si uniranno al team multinazionale che vede la partecipazione di esperti del mondo marino da Israele, Svizzera, Francia, e Regno Unito.