Biennale di Venezia: l’artista israeliana Patir chiude il padiglione. Chiede un accordo sugli ostaggi e il cessate un fuoco

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di Redazione
La mostra presso il Padiglione Israeliano alla Biennale di Venezia rimarrà indisponibile fino a ulteriori sviluppi sulla liberazione degli ostaggi. Un manifesto ha ufficializzato la decisione presa dall’artista Ruth Patir, evidenziando che tale scelta non si traduce nella cancellazione dell’esposizione, ma piuttosto rappresenta un gesto di solidarietà nei confronti delle famiglie dei rapiti e della vasta comunità israeliana che invoca un mutamento.

 

Da febbraio, una marea di attivisti filo-palestinesi ha battuto invano alle porte della Biennale di Venezia, uno dei palcoscenici artistici più rinomati a livello globale, esigendo l’esclusione di Israele per le sue azioni durante il conflitto a Gaza.

Mentre il mondo dell’arte si prepara ad essere catturato dall’anteprima mediatica dei padiglioni internazionali della Biennale di Venezia si terrà da sabato 20 aprile a domenica 24 novembre 2024 (pre-apertura 17, 18, 19 aprile), il padiglione israeliano rimarrà in silenzio e sigillato, una decisione presa dall’artista e dai suoi curatori. Un articolo approfondito del New York Times riprende la notizia che nel frattempo sta facendo giro di numerose altre testate internazionali online, considerando che la Biennale è uno degli eventi artistici più seguiti e attesi dal pubblico appassionato.

Un cartello, ancorato con fermezza sulla porta del padiglione israeliano, annuncia il motivo: «L’apertura della mostra è subordinata all’ottenimento di un accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi».

«Non è una decisione che accolgo con gioia – ha confessato Ruth Patir, l’artista designata per rappresentare Israele, in un’intervista – ma è una scelta che reputo necessaria».

Patir, accompagnata dalle curatrici Mira Lapidot e Tamar Margalit, ha spiegato che la loro decisione di non cancellare la mostra è un gesto di solidarietà verso le famiglie degli ostaggi e la comunità israeliana, nel richiedere un cambio di rotta.

L’opera video di Patir, “Keening“, parte integrante della sua mostra completa intitolata (M)otherland, è visibile attraverso le porte e le vetrate del padiglione israeliano, simbolo eloquente della protesta silenziosa.

«Non è una scelta facile – ha ribadito Patir al New York Times – ma la reputo necessaria»

In un comunicato congiunto, Patir e le sue curatrici hanno chiarito che la loro mostra, nonostante il clima di tensione, rimane in piedi, fungendo da tributo alle vittime e come richiamo alla speranza di un cambiamento.

Patir, laureata alla Bezalel e alla Columbia University, coniuga nei suoi lavori il documentario con l’arte digitale, una miscela che le conferisce una voce singolare nel panorama artistico contemporaneo.

La sua opera, Keening, collocata all’ingresso del padiglione israeliano, dà vita a figure femminili antiche attraverso l’animazione 3D, evocando un’atmosfera di dolore e memoria che risuona con la situazione attuale.

Patir e le sue curatrici hanno dichiarato che l’intento dell’opera è quello di commemorare le donne israeliane e palestinesi vittime della guerra e di onorare coloro che sono stati detenuti e quelli che sono rimasti a fronteggiare le conseguenze.

Al di là della controversia politica, Patir e il suo team hanno ribadito la loro fede in una soluzione a due Stati, un’impronta di speranza che risplende nel mezzo delle tensioni.

«È passato un lungo periodo dall’orribile attacco del 7 ottobre contro Israele e l’inizio della devastante guerra a Gaza – hanno dichiarato Lapidot e Margalit -. Non vediamo ancora la fine di questo incubo. La mostra aspetta di essere inaugurata, ma le sofferenze umane non possono più essere ignorate».

Nelle stanze superiori del padiglione, la mostra di Patir si tinge di una dimensione ancora più personale, con opere che esplorano la sua battaglia contro il rischio di cancro e le domande esistenziali che essa solleva.

Il lavoro di Patir, a metà strada tra il passato e il presente, è un richiamo alla riflessione sulla fragilità della vita e sulla ricerca di significato in un mondo segnato dal dolore e dalla speranza.