I vinili ritrovati al Cdec

Le prime voci a futura memoria: intervista a Laura Brazzo del CDEC sui vinili del 1955 con le testimonianze di sopravvissuti alla Shoah

Personaggi e Storie

di Ilaria Ester Ramazzotti
Parlano di come sono stati arrestati, all’alba del 16 ottobre 1943, di come hanno lasciato Roma, del viaggio in treno e di come si aspettassero di andare in un campo di lavoro, senza immaginare di venire separati dalle famiglie. “Le voci sono ferme, chiare; il racconto lucido, senza sbavature”. Voci che il CDEC, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, ha scoperto essere di Lazzaro Anticoli, Cesare Di Segni e Lello Di Segni, Angelo Sermoneta, Mario Piperno e Luciano Camerino, sei dei sedici sopravvissuti degli oltre mille ebrei romani arrestati nella retata nazista del 16 ottobre 1943. Voci sorprendentemente rinate aprendo quasi per caso una scatola conservata su uno scaffale degli uffici di via Eupili, che racchiudeva cinque dischi in vinile di cui nessuno sapeva o si ricordava. Sei testimonianze che il 27 gennaio 2022, in occasione del Giorno della Memoria, il CDEC ha pubblicato integralmente sul suo sito internet, dopo averne già riportato alcuni stralci lo scorso 16 ottobre. Sei interviste registrate nel 1955, nell’ambito di una commemorazione della retata del 16 ottobre 1943 organizzata dal Centro Giovanile Ebraico di Roma, di cui restano ancora sconosciuti i nomi degli intervistatori e che costituiscono un eccezionale ritrovamento nonché documenti di straordinaria importanza umana e storica.

“Se ascoltiamo le prime, eccezionali, testimonianze raccolte nel 1955, constatiamo che proprio di questo si tratta: domande e risposte dal sapore della semplicità e dell’ingenuità – ha scritto Liliana Picciotto, responsabile per la ricerca storica della Fondazione CDEC -. I testimoni sapevano solo che avevano perso i loro cari, inghiottiti da un sistema assassino; sapevano dire del lavoro schiavo dal quale, a stento, erano scampati; del proprio ritorno, triste e sconsolato, in case ormai vuote. Potevano raccontare poco più di questo”. Dall’intervista a Lazzaro Anticoli, ascoltiamo: “Rammento che quando ci calarono giù dai vagoni, ci divisero, gli uomini da una parte, gli abili e le donne da un altro con i bambini e gli inabili in un’altra colonna fecero, e io cercai da lontano di scorgere mia moglie, la vidi per un attimo e poi non la vidi più, e ci portarono nei campi di prigionia, dove ci fecero subito spogliare e dopo ci portarono dentro i cameroni che ci rasarono da capo a piedi, ci rasarono tutti e ci contarono perfino i denti che avevamo, i denti in bocca, se erano d’oro oppure erano normali, e poi ci portarono a fare il numero, da là ci riportarono dentro i cameroni dove eravamo messi tutti confusi, senza sapere la sorte che ci aspettava, e là tra noi si parlava dicendo ‘non so, che sarà, dove ci porteranno, che ci faranno’”?
E Cesare Di Segni confida, in chiave personale: “Dato che la morte mi aveva risparmiato, quando sono tornato a casa, che ho aperto la porta di casa, per me son state lacrime, da circa due/tre settimane, sempre a piangere la notte perché trovavo la mia camera, la mia stanza sempre vuota, la quale ero abituato con la famiglia, con i bambini lì, era tutta la mia vita, finché un giorno fino ad oggi mi sono rassegnato, ho preso il destino, si vede che il destino a me ha riservato quel dolore e lo sopporto con rassegnazione”.

Laura Brazzo: “Sono le prime voci di sopravvissute registrate a futura memoria”

Laura Brazzo

Per un approfondimento sul rinvenimento delle registrazioni e sulla contestualizzazione storica delle interviste, Mosaico ha contattato Laura Brazzo, responsabile dell’Archivio storico e della Digital Library del CDEC, autrice del ritrovamento dei vinili.

“Nel corso della preparazione del trasloco dei nostri uffici, fra gli scaffali, mi sono ritrovata per le mani una busta da archivio, non catalogata, contenente dei dischi in vinile, che riportavano solo la scritta ‘CDEC 16 ottobre 1955’ – spiega la studiosa -. Non avendo modo di ascoltarne il contenuto, abbiamo deciso di digitalizzare questi dischi a 33 giri. Ascoltarli è stato poi sorprendente: erano le testimonianze di sei ebrei romani, arrestati il 16 ottobre 1943 e poi deportati ad Auschwitz. Di essi, salvo che per Lello Di Segni, non avevamo mai sentito le voci”. Registrazioni brevi, di 16 o 17 minuti per disco, ma capaci di racchiudere attraverso poche e semplici parole il dramma dell’arresto, della deportazione e poi del ritorno a Roma nel 1945, soli, senza più le loro famiglie. Le prime voci, a quanto è dato sapere oggi, registrate in Italia a futura memoria.

“Le prime indagini che ho condotto hanno rivelato che all’origine di quell’iniziativa c’era il Circolo Giovanile Ebraico di Roma che, in occasione delle commemorazioni del 1955 delle vittime arrestate il 16 ottobre del ’43, aveva organizzato un evento pubblico e raccolto le testimonianze di alcuni sopravvissuti – prosegue Laura Brazzo -. Da quanto emerge dai documenti, tra gli organizzatori dell’evento c’era Guido Di Veroli, un giovane esponente di questo circolo, all’epoca ancora studente universitario, ma anche membro del Consiglio del neonato Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC. Le registrazioni, inizialmente su nastro, furono trasferite su vinile. I vinili vennero poi consegnati all’allora segretario del CDEC, Roberto Bassi, perché fossero conservati proprio da quel Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea fondato pochi mesi prima. Secondo Di Veroli quelle registrazioni avevano una ‘portata documentaria eccezionale’”.

Che cosa caratterizza queste testimonianze, e come possiamo ascoltare, studiarle e interpretarle oggi? “Si tratta di testimonianze abbastanza uniche nel proprio genere che il CDEC oggi mette a disposizione degli storici, degli studiosi, di chiunque voglia ascoltarle. Ciò che colpisce, rispetto alle testimonianze successive, specialmente quelle degli anni Novanta, è l’inconsapevolezza, da parte degli ‘intervistati’, di essere dei ‘testimoni’ – sottolinea Laura Brazzo -. Erano ancora privi di quel ruolo pubblico che nei decenni successivi i testimoni avrebbero via via ricoperto. È il tono del racconto, più che la narrazione degli eventi, ciò che oggi forse ci colpisce maggiormente, perché quegli eventi ormai ci sono ben noti, sono stati indagati e ricostruiti ampiamente dagli storici. Va anche detto che nel 1955 l’interesse dell’opinione pubblica per eventi come quello organizzato dal CGE era alquanto scarso. Ne parlarono certamente ‘La Voce della Comunità israelitica di Roma’ e l’Israel. Ma sui giornali nazionali di quell’evento romano, che pure, a quanto risulta richiamò oltre cinquecento persone, finora non ho trovato traccia, fatto salvo, per quel che ho potuto constatare, un breve trafiletto nelle pagine della cronaca romana dell’Avanti. Certamente occorre fare degli approfondimenti”.

In quegli anni, non era ancora iniziato il processo di elaborazione, sul piano pubblico, di quanto accaduto, nei lager e durante la guerra. Un processo che avrebbe visto più fasi e si sarebbe sviluppato in modi diversi e in tempi successivi. “Se si vanno a riascoltare per esempio le interviste raccolte, sempre dal CDEC, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, anche queste pubblicate e disponibili sulla Digital Library del CDEC – spiega Laura Brazzo -, nell’intervistatore si evince l’intenzione di investigare, di scavare, di conoscere dettagli. Nelle interviste di quel periodo si cercavano particolari, dinamiche comuni (sulle modalità di arresto e poi di deportazione, sugli esecutori, sulle persone con cui si ritrovarono sui convogli) che servivano a supportare e semmai ad arricchire di informazioni le ricerche storiche già in corso. Queste prime interviste del 1955 vengono raccolte dai giovani del CGE con uno scopo dichiarato: ‘non dimenticare’, che poi era lo stesso scopo per cui era stato creato, proprio nel 1955, il CDEC. Se le interviste degli anni Ottanta, come si è detto, hanno un carattere più investigativo, quelle poi degli anni Novanta hanno un andamento, se vogliamo, più narrativo anche perché vengono raccolte in un contesto, storico e sociale, ormai ‘consapevole’ dei fatti per l’intervistatore e del proprio ‘ruolo’ per il testimone. Sono proprio i diversi momenti storici in cui le interviste vengono raccolte, a fare la differenza”. Quelle del ’55, oggi ritrovate, sono importanti perché ci dicono dell’Italia del primo dopoguerra e dell’approccio a certi temi. Cesare e Lello Di Segni, Lazzaro Anticoli, Luciano Camerino, Mario Piperno, Angelo Sermoneta, raccontano, per un momento e apertamente, quel che accadde a loro, ai loro famigliari, per tornare subito dopo a convivere con il proprio dolore, in una dimensione esclusivamente privata.

“Anche l’uso di un certo linguaggio da parte degli intervistatori merita la nostra attenzione, anzi per alcuni, oggi, questo aspetto può risultare persino più interessante del racconto stesso dei testimoni. Per esempio, mi ha colpito molto sentire gli intervistatori parlare in più occasioni di ‘soggiorno’ nei campi di concentramento di Germania’. Nessuno di noi oggi potrebbe mai avvicinarsi a un testimone usando il termine ‘soggiorno’ per parlare di Auschwitz. Certamente, molto altro potrà emergere ascoltando e riascoltando queste voci, soprattutto da parte di chi si occupa di memoria e storia della memoria” conclude Laura Brazzo, con un chiaro invito allo studio e all’approfondimento.