di Sofia Tranchina
Mentre la pressione internazionale per un cessate il fuoco accende gli animi e infiamma i media, 134 ferite rimangono aperte e sanguinanti nel cuore di Israele: sono gli ostaggi ancora in cattività, rapiti non solo da Hamas ma anche da alcuni civili gazawi che hanno “colto l’occasione” per prendere parte all’attività terroristica.
134 persone, con le loro storie, i loro sogni, le loro personalità, trascinate nell’incubo di una prigionia illegale e ingiustificata, senza medicine, senza certezze, e senza diritti.
Torneranno mai alle proprie case? Riabbracceranno i propri cari? Chi di loro è ancora vivo? Non è dato saperlo: fedele alla sua strategia del terrore, Hamas si è più volte rifiutato di consegnare a Israele il censimento degli ostaggi trattenuti.
Mentre si avvicina il sesto mese di guerra e il mondo mediatico si sta già dimenticando l’urlo terrorizzato di Noa Argamani, i capelli rossi dei giovanissimi fratelli Bibas, e le storie degli altri ostaggi, la disperazione delle famiglie si fa sempre più tetra.
Nel caos della guerra, rare, inquietanti notizie sulla sorte degli ostaggi emergono di tanto in tanto.
La diciannovenne Liri Elbag, la più giovane degli ostaggi
«Sentiamo un milione e una notizie: si a un accordo, no all’accordo, si al supporto statunitense, no al supporto statunitense. Basta: ora c’è un accordo sul tavolo – rovesciate il mondo intero e fate in modo che mia figlia torni a casa», si sfoga Shira Elbag, la madre della giovane Liri. 18 anni al momento dell’attentato, 19 anni adesso, Liri Elbag è la più giovane ragazza ancora nelle mani di Hamas.
Alle 6.30 del mattino del sabato nero, Liri ha avvisato sua madre di essersi riuscita a riparare in un rifugio dalla fitta sequenza di razzi. È stata l’ultima volta che le due si sono parlate.
51 giorni dopo sono arrivate le prime notizie: l’IDF ha identificato il DNA di Liri in una stanza per bambini appartenente a una famiglia palestinese (nella foto a destra).
«Quando ho visto la foto della stanza, dapprima ero sollevata: si trattava di una stanza per bambini», racconta la madre. «Ma presto ho realizzato che Liri era stata rapita da una famiglia, non dai militanti di Hamas. È come se io tenessi il figlio di qualcun altro chiuso in casa mia. Cosa avranno raccontato ai propri bambini?».
Con lo scambio degli ostaggi di novembre, sono emerse testimonianze su come la ragazza fosse stata tenuta per un lungo periodo come schiava domestica, obbligata a pulire i bagni della famiglia e a cucinare per loro cibo che a lei stessa non era permesso mangiare.
L’ultima notizia è arrivata 112 giorni fa: Liri è stata portata 40 metri sottoterra, dove vive in condizioni terribili, in grande umidità, senza aria, senza luce, senza bagni e senz’acqua. Beve acqua di mare e mangia poco, saltuariamente.
Ai negoziatori dell’accordo per gli ostaggi, la madre Shira ricorda: «tra una settimana sarà mezzo anno di prigionia. Mia figlia sta sperimentando orrori, un mondo di incubi. Il tempo conta e, per gli ostaggi, il tempo è già finito».
Il padre, Eli Elbag, offeso dalle parole del Ministro della Finanza Bezalel Smotrich – che ha dichiarato di ritenere che il rilascio degli ostaggi non fosse «l’obbiettivo più importante della guerra» – risponde: «immagina che si tratti dei tuoi figli, immagina di saperli nelle mani di persone cattive. Cosa faresti?».
Tenendo alta la pressione sul governo, il Forum delle Famiglie continua a organizzare le manifestazioni settimanali, con cui richiede uno sforzo diplomatico che ponga il rilascio degli ostaggi tra le priorità assolute della Nazione.