di Fiona Diwan
Colonne millenarie finite nelle discariche, mosaici trafugati, vasi e iscrizioni che spariscono. Chi sono i predatori della memoria perduta? Intervista a Dan Bahat, il grande archeologo del Tunnel e di Masada. Perché dopo la decisione dell’Unesco, oggi più che mai, è in atto una guerra dei ruderi dietro a cui si nasconde la volontà di delegittimare Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico
Dan Bahat è un uomo antico, come la sua arte. Una rude bonomia d’altri tempi, modi spicci e quel badare al sodo degli israeliani di una volta. Dan Bahat è una leggenda. Per decenni archeologo ufficiale di Gerusalemme, scopritore e scavatore del Tunnel sotterraneo che oggi possiamo visitare sotto il Kotel e, ancor prima, a fianco di Ygal Yadin nell’equipe degli scavi di Masada; fu proprio Bahat a trovare, negli anni Sessanta, le iscrizioni dei nomi degli ultimi 10 zeloti incaricati di uccidere i compagni, prima di togliersi a loro volta la vita pur di non consegnarsi alla 10a Legione romana comandata da Lucio Flavio Silva che da tre anni assediava Masada. Oggi, a 78 anni, Dan Bahat non ha perso la grinta e affonda ancora vanga e piccozza nella Grotta 11 di Qumran, una volta di più Direttore degli scavi, malgrado sia già in pensione da anni, determinatissimo a portare a termine le indagini per poter finalmente pubblicare uno studio definitivo in merito (nella Grotta 11 furono ritrovati rotoli importantissimi, quelli dei Salmi, intatto, e il Rotolo del Tempio).
Figlio di due giovani pionieri pieni di ideali che negli anni Venti si lasciarono alle spalle famiglie agiate, case lussuose e rendite assicurate per venire da Leopoli a costruire l’Yishuv, non è un caso che Bahat abbia voluto dedicare il suo libro sul Tunnel del Tempio proprio alla memoria dei genitori e al sogno realizzato di uno stato ebraico. Nato l’11 ottobre 1938, 78 anni, 5 figli (di cui uno in affido), 9 nipoti, Bahat adora insegnare e ha appena tenuto a Lugano, alla Facoltà di Teologia, due corsi universitari (Storia e archeologia dell’Israele antico e Storia del Tempio di Gerusalemme). Sta inoltre ultimando un libro che si preannuncia una bomba, Storia del Monte del Tempio, dall’epoca cananea al Mandato britannico, 1917: ovvero sulla spinosissima storia della Spianata, un testo che tocca l’attualità più calda e che rimescolerà fin dalle fondamenta evidenze e tesi storiche consolidate, riaccendendo il dibattito archeologico e dando un’ulteriore spallata a quanto sostenuto e votato recentemente dall’Unesco.
«L’ho quasi finito, mi mancano i capitoli più difficili quelli sul Primo e Secondo Tempio. Non potete immaginare quanto materiale c’è, e devo decidere cosa escludere senza offendere gli amici archeologi della IAA, Israelian Antiquities Authority», spiega Bahat. «Oggi si sta facendo strada una nuova generazione di archeologi che possiede ottime capacità tecniche, bravi nel maneggiare i computer sugli scavi ma privi di uno sguardo d’insieme sul mondo che stanno indagando, molto settorializzati e senza una visione generale e a 360 gradi, anche sull’arte, la musica, l’architettura, la scrittura antica. Un tempo, ad esempio, tutti gli archeologi sapevano leggere i caratteri gotici e mettere a confronto ciò che leggevano con i reperti; noi avevamo una cultura generale solida e aperta».
Lei è stato protagonista di un’avventura archeologica irripetibile. Cosa pensa quando, a Gerusalemme, trova reperti millenari “neutralizzati”, buttati e abbandonati nelle discariche?
Gli arabi di Gerusalemme continuano a disfarsi di tutto quello che trovano durante i lavori di manutenzione o scavo sotto la Spianata. Nulla di cui meravigliarsi: gettano via qualsiasi cosa trovano, indistintamente, reperti ebraici, cananei, cristiani, bizantini, musulmani, ottomani. Hanno paura di ammettere che lì ci sia qualcosa di biblico o ebraico, e per non correre rischi si disfano di tutto, macerie che finiscono sotto le mura, nella valle del Kidron. Poi noi andiamo lì, setacciamo e troviamo pezzi incredibili, biblici o ebraici per buona parte. Protestare? E con chi? Con l’Unesco che dovrebbe vigilare e essere garante del patrimonio culturale e che invece è collusa con gli arabi musulmani?
Gerusalemme è il nodo di tutto, qui si giocherà il destino di una futura pace: a dirlo sono in molti, tra cui il Presidente Reuven Rivlin e lo scrittore A.B. Yehoshua. È d’accordo?
È in corso una guerra archeologica tra il WAQF (l’ente custode del patrimonio islamico gestito dalla Giordania con personale palestinese, ndr) e lo IAA, un conflitto attraverso il quale si mira a delegittimare Israele. E con quello che è successo con il voto dell’Unesco capiamo quanto sia importante la partita che si sta giocando. Come vedo il futuro di questa città? Con lo status quo. Con una sovranità araba sulla Spianata del Tempio (anche se, come ebreo, mi costa molto dirlo), e una sovranità israeliana sul resto della città, come accade oggi. Anche per gli arabi sarà molto difficile accettarlo, a meno che non decidano di costruire il proprio Parlamento ad Abu Dis, un luogo vicino alla Spianata, molto più vicino geograficamente che non la Knesset. In questo modo il bacino sacro sarebbe salvo e permarrebbe lo status quo. Penso che il conflitto coi palestinesi è politico non religioso, tant’è vero che Israele ha rapporti con molti Paesi arabi, cosa che sarebbe impensabile se il problema fosse religioso.
Quali sono oggi i suoi rapporti con il WAQF?
Per anni, come archeologo ufficiale della città, ho avuto eccellenti relazioni con gli arabi e anche oggi c’è rispetto reciproco. Mai polemiche, nessuna ostilità. Ho potuto lavorare in pace con palestinesi, haredim ultraortodossi, con i cristiani… Il segreto è la capacità di entrare nella pioggia più violenta e rimanere asciutti. Cerco di avere buoni rapporti con tutti, per questo ho potuto scavare per anni; ho sempre cercato di far valere il rapporto personale e non il mio diritto a scavare, o il fatto che potessi ottenerlo con la forza. A Gerusalemme, se vai in giro dicendo che è tuo diritto scavare, non ottieni nulla. Furono gli arabi che mi permisero di scavare il Tunnel. Mi dicevano: «A noi non interessa chi tu rappresenti. A noi importa chi tu sei e il fatto che sei un nostro amico». Insomma, non ho mai avuto problemi. Quando entri nel vigneto, vieni per mangiare l’uva non per uccidere il guardiano.
Tutti sappiamo che la soluzione per Gerusalemme è solo politica e che l’archeologia c’entra relativamente. Gli arabi “barano”? Beh, sì, siamo in guerra… Di solito, è il cane che muove la coda ma a volte accade che sia la coda a muovere il cane. Con gli arabi succede a volte questo. Prendiamo ad esempio la Tomba di Rachele, Rachel Immenu, una meta di pellegrinaggio: gli arabi si sono inventati che quella era la tomba di un arabo che aveva accompagnato Maometto. L’Unesco ha fatto passare questa bufala e ha confermato che quella, in effetti, era davvero la tomba di questo tizio, il compagno di viaggio del Profeta e non la tomba di Rachele. Capisce? E gran parte dell’Europa ha votato a favore di tutto ciò, un’Europa che va verso il negazionismo, corrotta e agonizzante, un’Europa non più europea.
Esiste da sempre un’archeologia minimalista e una massimalista, una che nega il fondamento storico della Bibbia e una che lo esalta. Ha senso parlare di un’archeologia libera dal Libro? Si può scavare senza avere in mente una “geografia sacra”? Insomma, la Bibbia è un dato di fatto oltre che di fede? Si può ipotizzare una via di mezzo?
Difficile rispondere. Oggi, in Israele, l’archeologia sta diventando un campo di battaglia dove si scontrano opposte visioni della politica. Sostanzialmente si combatte una guerra tra un’archeologia revisionista e minimalista e un’altra massimalista, appunto. Di fatto, un conflitto tra gli archeologi di Tel Aviv e quelli di Gerusalemme. Il gruppo di Tel Aviv vede la questione di Gerusalemme come un annoso problema di cui disfarsi e per questo tende a minimizzare e ignorare un approccio che contempli la presenza ebraica e la lettura biblica, considerata da loro una favola o un mito di fondazione: se non troviamo radici ed evidenze ebraiche tra quei cocci, beh allora possiamo tranquillamente lasciarla agli arabi e finirla con questo pomo della discordia che inibisce la strada verso la pace, dicono. Insomma, è tutta una questione ideologica. Per gli iper-laici intellettuali di Tel Aviv l’interpretazione della storia biblica è un racconto di fiction, pura letteratura senza fondamento storico, coltivano un’idea di archeologia che prescinda dalla ricerca delle radici. Per gli archeologi di Gerusalemme è invece l’opposto, loro scavano alla ricerca delle origini, per ricostruire la propria storia e magari trovare conferme a quanto scrive Giuseppe Flavio o altre fonti. Due visioni opposte, quindi. Tutto il mondo archeologico è attraversato da passioni politiche fortissime, ci sono fazioni, gruppi…, e se non ne teniamo conto rischiamo di non capire nulla. Pensi che nessun archeologo di Tel Aviv oggi pronuncia volentieri la parola Torà.
Un’archeologia quindi molto diversa dai tempi della nascita dello Stato…
Sì. Nei primi anni noi ebrei eravamo ansiosi di portare le prove che questo era il nostro Paese. Ogni studioso voleva ritrovare almeno una sinagoga, l’archeologia era un cavallo attaccato alla carrozza del sionismo. Quella fase, però, è finita per sempre. Un tempo ero animato dall’idea che questi scavi (Tunnel e Masada) avrebbero messo in luce il passato ebraico di queste terre. Ma oggi penso che illustrare la nostra presenza qui sia un fatto più importante che non provarla. Illustrare ciò che già conosciamo della storia di Gerusalemme, da Giuseppe Flavio, dalle cronache dei pellegrini, dai documenti crociati, illustrare la storia di Davide e Golia ad esempio. Avevamo la lista delle armi possedute da Golia e grazie a ciò abbiamo potuto capire che un ritrovamento corrispondeva proprio alle armi filistee della descrizione. Anche quando ho scavato a Masada volevo illustrare, non provare: gli scritti di Giuseppe Flavio ci parlano di un luogo molto importante, ovvero dell’ultimo luogo al mondo in cui gli ebrei furono liberi prima della catastrofe, prima della galuth, l’esilio, che durerà millenni. Oggi quindi, si tratta di NON voler a tutti i costi dimostrare una tesi ma di far parlare manufatti, reperti, documenti, iconografie che narrano una storia aperta, non chiusa, non decisa a priori o a tavolino.
Terzo Tempio c’è chi vuole ricostruirlo
Il tempo dei sacrifici è finito da un pezzo. Ma chi è che vuole vedere oggi ammazzare vacche e capretti sulla Spianata? Nessuno, o pochi stravaganti. Il Giudaismo si è salvato grazie alla mancanza del Tempio. Viceversa avremmo rischiato di fare la fine dei Samaritani che sono 1600 in tutto il mondo. Ciò che ha salvato il Giudaismo è stata la sostituzione del Bet Hamigdash con la Torà, un tempio portatile e immateriale. Inoltre, dire Terzo Tempio è scorretto, semmai sarebbe il quinto. Il terzo fu distrutto nel primo secolo a.e.v. ed era quello di Ezra e degli esuli di ritorno da Babilonia, mentre quello di Salomone distrutto da Nabuccodonosor era il secondo e infine quello di Erode era in verità il quarto. Inoltre, da un punto di vista ebraico, ricostruire il Tempio è impossibile poiché siamo tutti impuri.
Alcuni scavi hanno oggi riaperto il dibattito sulla questione delle origini di Gerusalemme. Taluni archeologi israeliani sostengono che l’antica Gerusalemme non sarebbe laddove la si è collocata finora ma nascosta sotto il Monte del Tempio. E che Erode, con la costruzione sopraelevata del Bet Hamigdash, il Secondo Tempio, ricoprì e cancellò quelle vecchie pietre. Una tesi indimostrabile, visto che non sarà mai possibile scavare sotto il Monte.
Esatto, per questo ho voluto scrivere un libro sulla Storia del Monte del Tempio. Sono gli archeologi minimalisti-revisionisti ad affermare che nessun Patriarca è mai davvero esistito, che la storia biblica è pura letteratura, che anche Davide o il Re Ezechia (quello del pozzo) non sono mai esistiti. Ed è Israel Finkelstein, un archeologo revisionista oggi molto celebre, a sostenere che degli antichi resti cananei di Gerusalemme siano nascosti sotto la Spianata del Tempio. Ma io non sono d’accordo. Io non parlo mai di qualcosa che non posso provare. Ora, quando dico che Gerusalemme era in verità una città hittita e gebusea – e NON cananea -, lo posso provare. E poi l’ipotesi di Finkelstein è illogica: chi è che costruisce una città lontano da una sorgente d’acqua? Nessuno, non ha senso (l’acqua a Gerusalemme proveniva dalla sorgente del Ghihon, ben più lontano e più in basso). Solo questo basterebbe a confutare l’ipotesi di Finkelstein e il fatto, com’egli sostiene, che la Gerusalemme antica giaccia sotto la Spianata e che fosse cananea. Invece fu una città hittita-gebusea, cosa ben diversa. Abbiamo evidenze bibliche di questo: qui abitava il generale Uria l’Hittita, il marito di Betsabea, quello che David manderà in battaglia. E lo stesso profeta Ezechiele (vedi l’Haggadà di Pesach), parlerà di Gerusalemme molti secoli dopo, personificandola e dicendo: “tu che sei una prostituta seduta sulla strada, chi ti credi di essere? Tuo padre era un emorita, tua madre era un’hittita…». Insomma, persino Ezechiele, secoli dopo, ricordava che la popolazione di Gerusalemme era hittita e non cananea.
Insomma, esiste un serio problema, finora irrisolto, su quando esattamente i cananei sono giunti qui. Gerusalemme fu conquistata la prima volta da Giosuè intorno al 1230 a.e.v., un’epoca di grandi movimenti di popolazioni: filistei, siculi, sardi (shardenu), i Popoli del Mare… tutti costoro provocarono la caduta dell’impero hittita, e la sua sconfitta provocò la deflagrazione di schegge di popolazioni che si sparsero ovunque. Una di queste erano i Gebusei che costruirono molte città fortificate (tra cui Gerablus, oggi in Turchia, sull’Eufrate). Su quel modello, arrivati in Eretz Israel, i Gebusei ricostruirono Gerusalemme, all’epoca già diroccata e in rovina. Possiamo dire quindi che, in origine, Gerusalemme era una città gebusea. E molto ben difesa da mura e fortificazioni. Nel Libro dei Giudici, Shoftim, si dice che Jehudà non riesce a conquistare Gerusalemme. Ci arriverà invece, più avanti e con molta fatica, Re David che dovette ricorrere a artifici psicologici per spaventare la popolazione e infine espugnarla. Imitando Giosuè a Gerico, David fece suonare strumenti musicali e trombe sotto le mura della città; i gebusei allora portarono sugli spalti tutti i disabili, zoppi, ciechi, sordomuti… Fu magia contro magia. Il punto oggi è che molti confondono i gebusei con i cananei, due popoli invece molto diversi: i primi erano indoeuropei, i secondi dei semiti. E su questa ipotesi, oggi più che mai, si disputa un duello che va ben al di là dell’archelogia ma che vuole decidere l’appartenenza storica, passata e futura, di Gerusalemme.