di Michael Soncin
È conosciuta da tutti per essere una degli storici della Shoah più importanti al mondo. Lo testimoniano non solo i diversi premi che ha vinto, ma anche la sentenza storica contro il negazionista David Irving, che aveva fatto causa alla studiosa per averlo definito tale, “un bugiardo, un mistificatore della storia”. Quella sentenza è stata vinta, diventando un caso mediatico planetario. Ora Deborah Lipstadt, grazie alla sua lunga esperienza, riveste negli ultimi anni il ruolo di Inviata degli Stati Uniti per il monitoraggio e la lotta all’antisemitismo.
Mettere la kippah è un problema, anche nella centralissima New York
Il suo lavoro dopo il 7 ottobre 2023 è cambiato profondamente. Ne ha parlato lei stessa in un’intervista al Time, dove ha espresso la sua opinione sul conflitto tra Israele e Hamas e sul nuovo antisemitismo. In questo momento in cui l’odio antiebraico è esploso vertiginosamente, negli Stati Uniti, come in Europa e negli altri paesi, gli affari proseguono a gonfie vele racconta. «Sono l’unica nell’amministrazione che vorrebbe una recessione nel mio campo». Quando era entrata in carica doveva monitorare l’antisemitismo e far in modo che le persone prendessero il problema sul serio. Se prima aveva qualche speranza, ora ne ha meno e fa l’esempio della gente che deve dire al loro nipotino dodicenne di mettere il capellino da baseball sopra la kippah, per questioni di sicurezza. Tutto questo nell’Upper East Side di Manhattan. Non sembra vero, eppure la situazione dopo il 7 ottobre è precipitata.
Criticare gli ebrei per quello che succede in Israele è antisemitismo
Parlando di Israele, ha raccontato che durante la Guerra dei Sei giorni era lì, ricordando che c’è ancora un odio forte nelle molte fazioni che circondano Israele, un odio che vorrebbe tanto fosse cancellato. Non è forse facile distinguere tra le legittime critiche ad Israele, come per qualsiasi nazione, e l’essere antisemiti, ma come sottolinea «ritenere gli ebrei ovunque si trovino responsabili di ciò che accade in Israele è antisemitismo», al tempo stesso aggiunge che se criticare le politiche di Israele fosse ritenuto come un atto antisemita, «allora le migliaia di israeliani che protestano per le strade il sabato sera sarebbero anche loro antisemiti». Sempre su Israele, ha detto che gli ebrei in generale sentono il loro destino legato a questo paese, almeno molti la vedono così. «Alcuni ebrei pensano che se dovesse succedere qualcosa a Israele, sarebbero meno al sicuro nel mondo».
A Gaza non è in atto un genocidio
Accademica specializzata sulla Shoah, ha cognizione meglio di molti altri sul significato della parola genocidio, del suo uso e abuso. Infatti, su quello che sta accadendo a Gaza che viene descritto come tale, ha affermato: «C’è una definizione di genocidio. Puoi dire che questa è una tragedia; molte persone a Gaza non sono sostenitori di Hamas. Puoi dire che la sofferenza è immensa e apparentemente senza una fine. Ma questo non è un genocidio». Nel corso della sua dichiarazione ha poi ribadito che se si vuole parlare di genocidio sarebbe opportuno di parlare di quello degli uiguri.
Inoltre, tra quanto successo in Israele il 7 ottobre e quanto poi a Gaza, da come viene descritto, sembra fino ci sia una competizione del trauma: «Non mi piace la sofferenza competitiva. Credo che non porti da nessuna parte. Stiamo parlando di rispondere ad un attacco. I 1.200 morti del 7 ottobre sono, come percentuale della popolazione, come 48.000 americani. E se qualcuno avesse detto che saremmo dovuti stare seduti in silenzio dopo l’11 settembre, senza reagire? Se qualcuno colpisce, devi colpirlo a tua volta».
Il rapporto con Rachel Weisz
La sentenza che l’ha fatta vincere contro lo storico britannico che è arrivato a dire che “non c’era nessuna camera a gas ad Auschwitz, negando le nefandezze del nazismo” è stata magistralmente interpretata nel film La verità negata dall’attrice Rachel Weisz, con la quale si sente ancora tramite e-mail. Dopo quel giorno, si è creato un legame tra loro due. Quella parte dove ha interpretato Deborah Lipstadt l’ha presa molto sul personale, del resto suo padre è fuggito dell’Ungheria e sua madre è nata a Vienna, da padre ebreo. Per questo sono dovuti fuggire.