di Paolo Castellano
L’11 febbraio il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rilasciato un’intervista a un giornale israeliano in cui ha affermato di “non essere molto sicuro” che Israele stia raggiungendo un accordo di pace con i palestinesi.
Come ricorda un articolo del Times of Israel, in passato Trump aveva deplorato le reticenze dei palestinesi nel voler siglare un accordo di pace e si era astenuto dal criticare Israele.
Parlando al quotidiano gratuito Israel Hayom, Trump ha anche sottolineato che le relazioni tra USA e Israele sono “molto buone” e – una volta raggiunta la pace con i palestinesi – i rapporti potrebbero diventare “ancora migliori”.
«Ora, vorrei dire che i palestinesi non stanno cercando di fare pace. Loro non stanno facendo la pace», Trump ha detto nell’intervista. «E non sono neppure sicuro che anche Israele stia cercando di fare pace. Vediamo cosa succederà».
Trump ha inoltre espresso delle preoccupazioni sulla costruzione degli insediamenti israeliani, sebbene la sua amministrazione non abbia mai criticato apertamente la politica territoriale di Israele rispetto al suo predecessore Barack Obama. Infatti l’ambasciatore di Trump in Israele, David Friedman, è stato in passato un supporter degli insediamenti in Cisgiordania.
«Gli insediamenti complicano molto e sempre hanno complicato i negoziati per la pace, penso infatti che Israele debba fare attenzione con gli insediamenti», ha aggiunto Trump.
Trump ha poi detto di voler portare gli israeliani e i palestinesi verso “l’accordo finale” che dovrebbe risolvere il conflitto durato decenni, ma nell’intervista si è discusso se oggi le negoziazioni siano ancora possibili.
«Io non so francamente se le discussioni siano ancora aperte. Gli Stati Uniti vedranno cosa accadrà, ma penso che sarebbe veramente folle che i palestinesi e gli israeliani non si accordassero per mettere fine al conflitto», Trump ha replicato. «È una nostra opportunità e non ci sarà mai un momento favorevole dopo questo».
Usa e palestinesi, rapporti interrotti
Le relazioni tra Washington e i palestinesi si sono interrotte dopo la decisione del 6 dicembre 2017 di Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele e il conseguente spostamento dell’ambasciata americana. In un discorso alla Casa Bianca, Trump aveva definito la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come la sede del governo di Israele “una scelta basata sulla realtà”.
Al quel tempo, Trump non ha però specificato i confini della sovranità israeliana a Gerusalemme, e ha invitato Israele ad astenersi dal cambiamento dello status quo dei siti sacri della città. In seguito, tuttavia, Trump ha detto diverse volte che la sua decisione ha portato Gerusalemme “fuori dal tavolo dei negoziati”.
I leader palestinesi dicono che non riconosceranno gli USA come mediatori nel processo di pace finché la decisione sulla città, che i palestinesi reclamano come loro futura capitale, non verrà annullata.
Nel frattempo, Trump ha deciso di tagliare i fondi all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi.
Nella sua intervista all’Israel Hayom, Trump ha eluso la discussione sulla possibile emarginazione economica dei paesi che boicottano Israele.
«Io non voglio esprimermi, perché dipende, alcuni paesi sì e alcuni no», il presidente americano ha detto. «Non voglio parlarne ora».
Il leader americano ha anche fatto riferimento ai precedenti legami dell’amministrazione Obama con Israele e l’accordo del 2015 con l’Iran, che egli ha promesso di modificare per prevenire la produzioni di armi nucleari da parte degli iraniani.
«Obama è stato terribile. È stato assolutamente terribile per Israele. Penso invece che oggi le nostre relazioni siano molto buone. Ritengo che probabilmente siano buone come non mai», ha concluso Trump.