di Marina Gersony
È morto a Parigi all’età di 97 anni, dopo una lunga vita rocambolesca e ricca di colpi di scena. Una vita incredibile, quella di Adolfo Kaminsky, di cui si è già ampiamente parlato, ma che continua ad affascinare ogni volta che la si ripercorre.
Adolfo Kaminsky, passato a onor di cronaca con l’appellativo di “Falsario del Bene”, nacque in Argentina nel 1925 in una famiglia di ebrei askenaziti di origini russe-ucraino-georgiane. In seguito si trasferì a Parigi nel 1932, dove il padre lavorava come sarto, per poi spostarsi alcuni anni dopo a Vire, nel dipartimento delle Calvados, dove si era stabilito uno zio.
Fu a diciassette anni che questo intraprendente fotografo franco-argentino divenne un abilissimo esperto in documenti falsi della Resistenza a Parigi. Per ben trent’anni svolse questo lavoro che richiedeva pazienza, manualità e precisione, ma soprattutto audacia e una bella dose di altruismo, considerando che non chiese mai dei compensi per svolgere la sua attività.
Kaminsky raccontò in una delle sue interviste: «Se dormivo un’ora, diverse persone morivano. Per questo ero sempre sveglio e continuavo a lavorare disperatamente a tutte le ore, falsificando documenti che garantivano una possibilità di fuga ai perseguitati». Era un lavoro molto difficile, che gli costò la perdita della vista a un occhio: «Un minimo errore ti avrebbe spedito immediatamente alla morte».
Difficile riassumere in poche righe la movimentata esistenza di quest’uomo molto speciale e coraggioso, sempre fedele ai suoi principi di giustizia e di libertà nonché alle sue convinzioni umanitarie.
Kaminsky vide scorrere e visse in prima persona i grandi eventi della Storia, di quel Secolo breve hobsbawmiano con le sue atrocità, i suoi orrori, le sue sconfitte e le sue vittorie: la Resistenza, l’emigrazione clandestina dei sopravvissuti ai lager prima della nascita di Israele, il sostegno al FLN algerino, le lotte rivoluzionarie nell’America del Sud, le guerre della decolonizzazione in Africa, l’opposizione ai dittatori di Spagna, Portogallo e Grecia, tutte battaglie alle quali Adolfo Kaminsky diede il suo prezioso contributo, a rischio della propria stessa esistenza e al prezzo di innumerevoli sacrifici.
Una vita doppia, tripla e forse quadrupla la sua, alla quale la figlia Sarah dedicò il libro Adolfo Kaminsky. Una vita da falsario (Angelo Colla Editore, traduttore Giuliano Corà, pagg. 224, € 18). «Mio padre era un falsario del bene», ci raccontò Sarah in una lunga intervista oltre dieci anni fa durante il Festivaletteratura di Mantova: «Tutto era vietato agli ebrei. Tra un arresto e un rilascio, le circostanze portarono mio padre a fabbricare la sua prima carta di identità».
Fu questo l’inizio della vita da falsario di Adolfo Kaminsky, il più geniale e acuto del Novecento; una vita tutta da leggere nell’appassionante libro della bella Sarah, nata nel 1979 a Sidi M’hamed, in Algeria, e poi stabilitasi in Francia da quando aveva tre anni. Frutto di un matrimonio misto tra suo padre e sua madre Leïla, una Tuareg dell’Algeria del Sud, Sarah decise di raccogliere la memoria del suo speciale genitore perché «la morte e il tempo – ci spiegò –, mi indicavano le ragioni per le quali dovevo scrivere questo libro, e in fretta. Prima che fosse troppo tardi. Prima che lui si spegnesse, con i suoi segreti, con la sua storia, affinché gli enigmi della sua vita non rimanessero senza risposta».