di Pietro Baragiola
Martedì 26 marzo il giornale americano The New York Times ha pubblicato la coraggiosa testimonianza di Amit Soussana, una degli ostaggi liberati da Hamas che ha subito violenze sessuali durante la sua detenzione a Gaza.
Un racconto di 8 ore, drammatico e terribile, in cui la quarantenne, avvocato specializzato nel campo della proprietà intellettuale, descrive l’incubo vissuto nei suoi 55 giorni di prigionia fino alla liberazione avvenuta durante il cessate il fuoco di fine novembre.
“Inizialmente ho esitato a parlare perché non volevo mettere a rischio la liberazione degli altri ostaggi” ha spiegato Amit, decisa a condividere la storia della violenza subita in modo da sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dei 134 israeliani ancora tenuti in ostaggio da più di 172 giorni.
La testimonianza di Amit segna inoltre una svolta importante in quanto è la prima volta che un ostaggio liberato abbia parlato pubblicamente degli abusi sessuali subiti dai terroristi di Hamas.
La violenza e le aggressioni
Amit è stata catturata il 7 ottobre dal kibbutzim Kfar Aza, una delle aree più colpite dall’attacco di Hamas.
Durante la sua testimonianza la donna ha raccontato che, una volta condotta a Gaza, è stata isolata e incatenata in una camera da letto per bambini, sotto la vigile sorveglianza di una guardia chiamata Muhammad. Nei giorni che hanno preceduto l’aggressione, Muhammad ha iniziato a farle domande molto personali sulla sua vita sessuale e su quando le sarebbero venute le mestruazioni.
“Ogni giorno lui mi chiedeva: ‘Ti è venuto il ciclo? Ti sono venute le mestruazioni? Quando ti verranno e saranno finite ti laverai, farai una doccia e ti pulirai i vestiti” ha raccontato Amit.
Nonostante il suo ciclo fosse terminato il 18 ottobre la donna ha cercato di ritardare il pericolo imminente, mentendo sul fatto che le sue mestruazioni erano continuate per tutta la settimana successiva, ma il 24 ottobre Muhammad l’ha fatta andare in bagno e, dopo averla costretta a lavarsi, le ha strappato l’asciugamano di dosso e l’ha aggredita.
“È venuto da me e mi ha puntato la pistola alla fronte” ha spiegato Amit. “Mi ha fatto sedere sul bordo della vasca ed io ho chiuso le gambe, opponendo resistenza. Allora lui ha iniziato a prendermi a pugni e mi ha puntato la pistola in faccia. A quel punto mi ha trascinato in camera da letto dove mi ha forzata a compiere un atto sessuale su di lui”.
Una testimonianza dolorosa, resa ancora più difficile dal commento che ha fatto il suo aggressore dopo la violenza: “sono cattivo, sono cattivo, per favore non dirlo a Israele”.
Alcuni giorni più tardi Amit è stata trasferita in un altro blocco di appartamenti dove è stata consegnata ad un uomo di nome Amir e trattenuta insieme ad altri quattro ostaggi israeliani.
Le guardie della sua nuova prigione hanno preso la donna, le hanno avvolto la testa in una maglietta rosa e l’hanno costretta a mettersi sul pavimento dove l’hanno colpita con il calcio di una pistola. “Mi hanno legato le mani, come un pollo, a un bastone che univa due divani. Un dolore terribile” ha spiegato Amit che, inerte, ha continuato ad essere picchiata violentemente dai suoi aguzzini per 45 minuti.
“Mi colpivano, prendevano a calci e ridevano, chiamando gli altri prigionieri per venire ad assistere alla scena.” Una violenza indicibile che ha portato persino uno degli ostaggi a chiedere ad Amit, ormai sicura della propria morte, se avesse un ultimo messaggio per la sua famiglia.
Le reazioni alla testimonianza di Amit
Dopo la pubblicazione dell’articolo sul New York Times il portavoce dell’IDF Daniel Hagari è stato tra i primi a commentare l’intervista di Amit, affermando l’importanza della sua storia.
“Il coraggio di Amit e la sua scelta nel condividere questa difficile testimonianza meritano il nostro profondo apprezzamento” ha dichiarato Hagari. “Amit è una vera eroina e il suo è un invito al mondo intero ad agire e a fare tutto ciò che è possibile per mettere pressione ad Hamas affinché liberi tutti i suoi 134 ostaggi. Questo è il motivo per cui siamo ancora a Gaza. Questo è il motivo per cui combattiamo.”
Basem Naim, portavoce di Hamas, ha inviato una risposta di 1300 parole al Times affermando l’impossibilità di indagare su questa testimonianza “viste le attuali circostanze” ed esprimendo il suo scetticismo sul perché Amit abbia aspettato così tanto per farsi avanti con la sua dichiarazione.
La ginecologa israeliana Julia Barda e l’assistente sociale Valeria Tsekhovsky, che hanno parlato con Amit al momento del rilascio, hanno risposto a queste dichiarazioni affermando che la donna “ha parlato immediatamente, in modo fluente e dettagliato, non solo della sua violenza sessuale ma anche delle molte altre sofferenze che ha vissuto”.
Anche il presidente Isaac Herzog ha approfondito l’argomento sul suo profilo X, elogiando la donna per la sua testimonianza. “Amit parla per tutte le vittime degli spregevoli crimini e abusi sessuali di Hamas. Parla per tutte le donne. Il mondo intero ha il dovere morale di stare dalla sua parte e da quella di tutte le vittime nel condannare il brutale terrore di Hamas e nel chiedere l’immediata restituzione degli ostaggi.”