Rabbino prega nella sinagoga di Baku (Azerbaigian)

Ebrei in Azerbaigian: un felice caso di integrazione in un paese (teoricamente) musulmano

Personaggi e Storie

di Guido Ambroso
Coloro che hanno sentito nominare l’Azerbaigian, un paese di circa dieci milioni di abitanti nel sud del Caucaso che si affaccia sul Mar Caspio, penseranno forse ai giacimenti di petrolio e gas, al Gran Premio di Formula Uno di Baku, o al conflitto con l’Armenia sulla questione del territorio del Nagorno-Karabakh. Pochi però sanno che l’Azerbaigian ospita un’antica comunità ebraica che si è bene integrata e in parte assimilata in un paese a larga maggioranza musulmana. Premettiamo che da un punto di vista teorico, integrazione significa totale parità di diritti e doveri, assenza di ostilità politica o sociale da parte della maggioranza, ma senza necessariamente abbandonare la propria cultura, usi e costumi, mentre assimilazione significa la sparizione di ogni differenza socioculturale.

L’Azerbaigian è un paese a larga maggioranza musulmana, di cui circa il 70% sciita e il 30% sunnita. Fece parte dell’impero zarista fra il 1828 e il 1917 e dal 1921 al 1991 dell’Unione Sovietica e, come le altre ex repubbliche sovietiche, è uno stato indipendente dalla fine del 1991. La maggioranza della popolazione è di etnia azera turcofona, ma esistono varie minoranze etnolinguistiche e religiose, fra cui gli ebrei.

Una lezione di ebraismo a Quba nel 1920

Oggi gli ebrei in Azerbaigian sono stimati a solo 7.200 individui, ma un tempo, prima dell’aliyah verso Israele, la migrazione verso gli USA e la Russia, e l’assimilazione locale, erano molto più numerosi, stimati a oltre 49.000 individui nel 1970. La comunità più antica è chiamata “Ebrei di Montagna” perché viveva a cavallo del Caucaso orientale, principalmente in Azerbaigian, ma anche in Dagestan, parte della Federazione Russa. Originariamente erano una propaggine dell’antichissima comunità ebraica persiana, infatti ancora oggi parlano un dialetto giudaico-persiano, oltre al russo e all’azerbaigiano. Successivamente arrivarono anche ebrei georgiani e, a partire dal boom petrolifero della metà del diciottesimo secolo, anche ebrei ashkenaziti, fra cui i Rothschild.

Come scrive il Jerusalem Post del 10 febbraio 2023 è difficile immaginare un paese dove gli ebrei locali non hanno ricordo di episodi di antisemitismo e in ottimi rapporti con Israele (dove ha aperto un’ambasciata nel 2023) e ancora di più considerando il retroterra culturale mussulmano-sciita. Questo paese è l’Azerbaigian. A dire il vero, dopo settant’anni di Unione Sovietica con la sua ideologia comunista e con una Costituzione del 1995 di stampo chiaramente laico che prescrive una netta separazione fra stato e religione, il divieto della propaganda religiosa e un’educazione non religiosa, per la maggioranza della popolazione l’Islam è solo un retroterra storico-culturale, non una dottrina politico-religiosa da seguire integralmente. Questo era particolarmente vero durante la mia prima missione in Azerbaigian fra il 1995 e il 1997, pochi anni dopo la fine dell’URSS. Quando tornai venti anni dopo, notai un aumento della sensibilità religiosa (come osservare il Ramadan) fra le persone comuni, ma sempre a livello interiore e personale e mai pubblico. È noto che i servizi di sicurezza azerbaigiani tengono sempre d’occhio gli imam radicali, soprattutto se simpatizzanti per la teocrazia iraniana, con cui l’Azerbaigian ha rapporti molto tesi per ragioni storiche e geopolitiche. In Azerbaigian la maggior parte dei ristoranti serve alcol, vi è una produzione vinicola locale, il consumo di vodka è ancora diffuso, le donne nelle grandi città vestono all’occidentale, e Baku ospita vari teatri, un conservatorio, e un rinomato festival jazz.

Tornando agli ebrei, oggigiorno sono concentrati nella capitale, Baku, e in un sobborgo di una città ai piedi del Caucaso, Quba. A Baku ci sono due sinagoghe funzionanti, una che segue il rito locale degli “Ebrei della Montagna”, e un’altra di rito ashkenazita Chabad, entrambe in centro città. L’accesso è libero, praticamente senza controlli di sicurezza, con solo un poliziotto all’esterno. Per Pesach i Chabad noleggiano un salone nell’hotel più lussuoso di Baku, quindi la cerimonia è piuttosto sfarzosa e sotto gli occhi di tutti, non nascosta. Il giorno prima di Rosh Hashana il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, manda sempre un messaggio di auguri alla comunità ebraica. Il sobborgo di Quba che si chiama Qirmizi Qasaba (“Città Rossa”, nome introdotto nel periodo dell’Unione Sovietica), è un comune a parte ed è quasi interamente abitato da ebrei, stimabili intorno ai 3.000 individui. Questa cittadina, dove gli ebrei ottennero il diritto di possedere proprietà immobiliari e terriere dal khan (“Signore” o “duca”, originariamente generali dell’impero mongolo di Gengis Khan) Fatali nel 1758, è l’unico comune fuori di Israele con una maggioranza ebraica, ospita una imponente sinagoga ed un’altra un po’ più piccola, e simboli ebraici e bandiere israeliane in molti luoghi.

La scuola ebraica Chabad a Baku

A Baku gli ebrei locali, pur non avendo segni distintivi della loro identità, non nascondono il loro ebraismo durante le conversazioni a cui mi è capitato di partecipare e si sentono non solo tollerati, ma integrati e protetti e fieri di essere ebrei azerbaigiani, cosa che purtroppo non capita spesso in molti paesi europei dove gli ebrei preferiscono tenere un profilo basso per non incappare in manifestazioni di antisemitismo.

Vi è anche una scuola ebraica aperta nel 2010 dal movimento Chabad costata 10 milioni di dollari e inaugurata in pompa magna dal presidente Aliyev e il rabbino capo d’Israele all’epoca, Shlomo Amar. Certo, aiuta molto il fatto che per motivi geopolitici (in particolare la comune avversione all’Iran) Israele intrattenga ottimi rapporti diplomatici, economici e militari con l’Azerbaigian, Primo fornitore di petrolio in Israele, ma, i legami sono più antichi e profondi.

L’esempio dell’Azerbaigian dimostra che è sbagliato generalizzare invocando un’innata ostilità islamica verso gli ebrei e l’ebraismo.