La notizia, in fondo, era nell’aria da tempo. Negli ultimi mesi, poi, complice l’uscita di un volume che ne ripercorre le gesta (“La strada del coraggio. Gino Bartali eroe silenzioso” di Alii e Andres McConnon, ed. 66thand2nd) , di ciclista e di uomo, di Gino Bartali si è parlato parecchio sui giornali italiani. Ieri però, la notizia tanto attesa, finalmente è arrivata: Yad Vashem ha riconosciuto Gino Bartali Giusto fra le Nazioni. Un coronamento ideale, peraltro, ai campionati Mondiali di ciclismo che proprio nella città di Bartali, sono cominciati domenica 22 settembre.
Il sito di Yad Vashem ha riportato la motivazione del riconoscimento e i nomi e le testimonianze di alcuni che grazie all’aiuto di Gino Bartali, poterono sfuggire alla deportazione. Tra questi, il più noto, è senz’altro Giorgio Goldberg (Shlomo Paz), che nel 1943 a 11 anni, venne nascosto insieme ai genitori e alla sorella, in una casa di proprietà di Bartali, a Firenze.
Dopo l’occupazione tedesca, si legge sul sito di Yad Vashem, Bartali fu uno dei corrieri della Resistenza, in particolare giocò un ruolo importante nel quadro della rete dei soccorsi creata dall’arcivescovo Angelo Elia Dalla Costa (riconosciuto Giusto fra le nazioni nel 2012) e dal rabbino Nathan Cassuto. “Bartali, che per i suoi allenamenti era noto per percorrere grandi distanze in bicicletta, trasportò da un luogo all’altro documenti contraffatti nascosti nel manubrio e nella sella della sua bicicletta. La sua attività si estendeva su una vasta area”. Bartali, si legge ancora, “distribuì documenti falsi prodotti dalla rete di salvataggio di Assisi che faceva capo a persone della chiesa di quella città. Se veniva fermato e perquisito, chiedeva espressamente che la sua bicicletta non venisse toccata perché, diceva, alcune parti di essa erano state attentamente calibrate per ottenere la massima velocità”.
Bartali, scomparso nel 2000, tenne sempre un contegno molto riservato su questo episodio della sua vita. A Sara Corcos, cognata di Nathan Cassutto, disse una volta, in via confidenziale, che aveva agito secondo coscienza e non voleva quindi che quella sua attività venisse documentata.
Gabriele Nissim, presidente dell’associazione Gariwo – La foresta dei Giusti, ha commentato per Mosaico la notizia del riconoscimento attributo a Gino Bartali:
“Un primo aspetto da considerare è la modestia e l’umiltà di Bartali, che ha salvato vite umane senza parlarne o gloriarsi. Ben cosciente dell’importanza della sua figura in quegli anni, è riuscito a utilizzare la sua popolarità per fare questi atti, essendo di fatto molto difficile che le autorità fasciste lo arrestassero. Questo deve essere di insegnamento agli sportivi di oggi che, anche se impegnati nella difesa dei diritti umani, sembrano più interessati alla propria notorietà che, invece, a farsi portavoce di messaggi di valore. Un secondo punto su cui è importante riflettere è che la storia di Bartali mostra come in Italia fosse sempre possibile compiere delle buone azioni per salvare gli ebrei. Nelle motivazioni con cui lo Yad Vashem insignisce Bartali del titolo di Giusto si legge: “ha rischiato la vita”. In Italia, però, la situazione non era così drammatica come in Polonia, Romania, Ungheria o altri paesi; da noi c’era sempre una possibilità per salvarli: assumendosi questa responsabilità, Bartali ci dimostra come tanti avrebbero potuto fare di più per gli ebrei in quegli anni. Non sono d’accordo con la connotazione di “eroe eccezionale” che si gli si dà: Bartali è riuscito a utilizzare il suo prestigio sapendo che c’erano dei rischi tutto sommato limitati. Mi piace, invece, pensare a lui come un “eroe normale”, una persona che ha fatto del bene spinto da una grande, semplice bontà.”