di Ilaria Ester Ramazzotti
Parlano Bruna Cases, Edith Bruck, Tatiana Bucci, Lia Levi. “L’idea che gli ebrei non possano più girare con la kippah
e non possano mostrare la propria religione e identità mi sconvolge: pensavo che fossero cose che non avrei più rivisto”…
“Per la prima volta penso che una nuova Shoah sia possibile”. Una dichiarazione shock che riflette le paure e lo sgomento scaturiti in tutto il mondo ebraico dopo il massacro di Hamas il 7 ottobre scorso. Una dichiarazione ancora più terribile se a esprimerla è la scrittrice Lia Levi che, come altri testimoni degli anni bui della Shoah, si interroga sull’antisemitismo che colpisce oggi gli ebrei sia in Israele sia nelle comunità del mondo. “L’attacco a Israele ha segnato per me uno spartiacque, ha mutato il mio modo di ragionare – spiega Levi a La Repubblica -. Prima del 7 ottobre alla domanda ogni tanto riemergente su un possibile secondo Olocausto rispondevo ‘mai più’, considerando quell’orrore come una tappa negativa nella storia del mondo, impossibile da ripetersi. Oggi non ne sono più convinta e questo mi addolora profondamente”.
“So bene che le condizioni storiche sono diverse e che oggi le nostre democrazie hanno gli strumenti per difenderci, ma i segnali di un nuovo antisemitismo sono inquietanti”, continua la scrittrice, evidenziando inoltre che in Italia “il danneggiamento delle pietre di inciampo (avvenuto a Roma, ndr) è anche un gesto di cancellazione: è come se Michele Ezio Spizzichino e Amedeo Spagnoletto o Eugenio e Giacomo Spizzichino, tutti deportati nei campi, venissero uccisi una seconda volta”.
A non credere che possano ripetersi le condizioni per una nuova ecatombe è invece la scrittrice e testimone della Shoah Edith Bruck, che nel corso di un’intervista sul Corriere della Sera sottolinea: “Non credo sia possibile per un fatto evidente a tutti. C’è Israele. C’è uno Stato libero e democratico molto forte”. Righe in cui tuttavia ricorda che “dopo la Shoah si disse che occorreva cambiare il vocabolario per descrivere l’orrore. Oggi penso ci sia lo stesso problema, dopo la strage dei bambini nei kibbutz. Nemmeno i barbari furono capaci di questo. Quali parole si possono usare”? E aggiunge: “Io non avevo alcun pregiudizio, ho sempre difeso i più deboli, chi fuggiva dalla fame e dalla guerra. Mi sono sempre schierata dalla loro parte. Però ora tutto è cambiato. Io stessa sono cambiata. Sì, sono cambiata. Quelle atroci immagini delle teste di bambini decapitati usate per giocare a calcio sono le stesse di Auschwitz. E ora, in mezzo a chi arriva, è facile immaginare che ci siano terroristi, militanti antisemiti. Davvero non so come si possa fare, difficile selezionare chi arriva. Ma far entrare tutti, ora, è assurdo. Perché l’antisemitismo sta attraversando la Palestina e l’intero mondo arabo. Sono totalmente avvelenati non solo contro Israele ma contro tutti gli ebrei. Hanno imparato e copiato dal nazismo le espressioni più atroci. Dicono: stermineremo tutti gli ebrei, li annienteremo fino all’ultimo. Sono le stesse frasi, esprimono la stessa volontà”.
Non vuole invece parlare di quanto sta succedendo in Israele l’instancabile testimone della Shoah Sami Modiano, che durante un incontro con i ragazzi delle scuole di Roma e provincia, nell’ambito del Viaggio della Memoria organizzato da Roma Capitale e dalla Città Metropolitana, con la collaborazione della Fondazione Museo della Shoah e della Comunità Ebraica di Roma, ha detto, riportato dall’ Ansa: “Mi rattrista, ma io sono qui per parlare della Shoah. Non vorrei commentare perché mi addolora. Purtroppo, molte cose stanno continuando, ma non bisogna alzare bandiera bianca. Sperando e pregando che il mondo si metta in pace”.
Tatiana Bucci, co-partecipante all’evento, ha poi sottolineato che: “L’antisemitismo non è mai finito. Esiste da quando esistiamo noi ebrei. Ma ce l’abbiamo fatta sempre e ce la faremo anche stavolta”.
La testimonianza di Bruna Cases d’Urbino a Bet Magazine
Bruna Cases d’Urbino, membro della Comunità Ebraica di Milano, nel 1943 era una bambina ebrea di nove anni che ebbe la fortuna di poter emigrare in Svizzera e salvarsi dalle persecuzioni naziste. «Ricordo che quando la guerra finì e tornai alla mia vita, c’era tanta speranza! Non avevo problemi, facevo la scuola pubblica, ero uguale agli altri – spiega a Bet Magazine -. Oggi, questo rigurgito di antisemitismo mi spaventa e mi fa tornare ai vecchi tempi. L’idea che gli ebrei non possano più girare con la kippah e non possano mostrare la propria religione e identità mi sconvolge, perché pensavo che fossero cose assolutamente superate.
Negli anni Cinquanta, quando lavoravo come segretaria alla Pirelli, avevo vissuto due episodi di antisemitismo, ma poi non ho più avuto alcun problema. Il primo episodio accadde nello spogliatoio: una collega mi disse: “Ah, ma siete fatti proprio come noi”! L’altro successe nel 1955, dopo che chiesi di diventare aiuto segretaria della direzione commerciale, ma ricevetti una lettera in cui mi si diceva che non potevo accedere a un posto così perché ero ebrea! Io diedi le dimissioni immediate. Il fatto, più nel dettaglio, era che la direzione aveva relazioni con gli arabi e qualcuno temeva che potessi fare spionaggio!».