di Francesco Paolo La Bionda
Moïse Katumbi è considerato il secondo uomo più potente della Repubblica Democratica del Congo dopo il Presidente Félix Tshisekedi. Uomo d’affari tra i più ricchi del paese, possiede un impero economico con interessi nei settori minerario, agricolo e logistico. Possiede una delle squadre di calcio più forti dell’Africa, il TP Mazembe. È inoltre uno dei pesi massimi della politica nazionale ed è oggi alla testa della coalizione “Ensemble pour le changement”.
Le radici ebraiche del Mosè del Katanga
Il cognome Katumbi appartiene a un suo antenato del ramo materno e la famiglia lo adottò nel 1965, dopo che il dittatore nazionalista Mobutu Sese Seko salì al potere. Lo scelsero in onore di un antenato della madre, discendente da una famiglia reale di etnia Lunda. Il cognome paterno era invece Soriano e il padre, Nissim, era un ebreo sefardita greco, fuggito nell’allora Colgo Belga nel 1938 dall’isola di Rodi, dove gli occupanti italiani avevano introdotto le leggi razziali appena emanate in patria. La famiglia di Nissim perì tutta nell’Olocausto, a parte due sorelle che lo avevano raggiunto in tempo.
Moïse, cresciuto nella regione meridionale del Katanga, non si identifica come ebreo ma, secondo la testimonianza di un rabbino belga diventato suo confidente, “ha una viva connessione con l’ebraismo e con Israele”. Durante i suoi comizi politici ha inoltre più volte giocato sul proprio nome, autodefinendosi il “Mosè del Katanga, tornato per condurre in salvo il suo popolo”.
Il miracolo economico del Katanga
Nissim Soriano aveva fatto fortuna con l’industria ittica, perdendo poi le proprie ricchezze negli espropri della cricca di Mobutu. Moïse, partendo da ciò che rimaneva del patrimonio di famiglia, è diventato uno degli uomini più ricchi del paese. Le sue capacità imprenditoriali gli sono tornate utili quando nel 2005 è stato eletto governatore della sua regione natia.
Il Katanga è ricchissimo di giacimenti minerari, incluso il 55% delle riserve mondiali di cobalto, vitale per l’industria elettronica. Gli appetiti per le sue ricchezze hanno però portato conseguenze nefaste nel corso dei decenni. Negli anni Sessanta un tentativo secessionista, fomentato dalle compagnie minerarie europee, si risolse in un fallimento e in bagno di sangue. Sotto la dittatura di Mobutu, durata fino al 1998, le sue risorse andarono a ingrassare le tasche degli uomini forti del governo.
Katumbi è stato governatore della regione dal 2007 al 2015 e gli viene riconosciuto il merito di aver dato il via a una rapida crescita economica, grazie alla capacità di attrarre investimenti stranieri e di gestire la spesa pubblica. Durante quegli anni era affiliato al Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia dell’allora Presidente Joseph Kabila, succeduto alla guida del paese al padre Laurent-Désiré dopo l’assassino di quest’ultimo nel 2001.
Da leader a esiliato e viceversa
Nel 2015 però la regione venne smembrata in province più piccole e Katumbi entrò in rotta di collisione con Kabila. Nel 2016 venne condannato a tre anni di prigione sulla base di accuse quantomeno strumentali di corruzione, pena che non scontò preferendo auto-esiliarsi in Belgio. Cadute le accuse nel 2019, il miliardario ha fatto rientro nel paese e si è avvicinato politicamente a Félix Tshisekedi, succeduto a Kabila di cui era rivale come massima carica alla fine di quell’anno.
Si dice che Tshisekedi si sia offerto nelle scorse settimane di nominarlo Primo Ministro, ma Katumbi ha preferito far scegliere un suo fedelissimo, Jean-Michel Sama Lukonde, che ha guidato per anni il colosso minerario Gécamines. Curiosamente, è proprio alla Gécamines che Katumbi da giovane vendeva le derrate ittiche prodotte dall’azienda di famiglia, all’inizio della scalata verso il successo economico.
Katumbi, pur essendosi alleato nel corso della sua carriera politica con diversi partecipanti delle due guerre del Congo, combattute tra il 1996 e il 2003, non vi ha preso parte direttamente, preferendo trascorrere gli anni più tumultuosi nel vicino Zambia. Gli strascichi di quel conflitto continuano oggi a insanguinare l’area nordorientale del paese, dove si è consumato il 22 febbraio l’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio. Uccisione che il leader congolese ha condannato fermamente come “atto ignobile”.