di Ilaria Myr
L’antisemitismo e le nuove spinte xenofobe, i populismi e la rinascita del concetto di Heimat (la piccola patria). Questi i pericoli per Bernard-Henri Lévy. Perché quella da custodire preziosamente oggi è un’idea di Europa libera
e vigorosa, unitaria perché nata sulle ceneri di una eredità di sangue e guerra.
Alla vigilia delle elezioni europee, il filosofo alza un grido di allarme: attenti europei a non perdere le meravigliose conquiste di questi ultimi 75 anni
Un uomo seduto nel buio di una stanza: davanti a lui, sulla scrivania, solo qualche libro e un computer. Nella testa pensieri angoscianti e contraddittori sul presente e futuro dell’Europa. Ed ecco un inarrestabile e dolente flusso di coscienza, demoni e spettri, ma anche una riflessione lucidamente razionale sui possibili scenari della nostra vita di domani. Uno show pieno di passione civile e politica. Questa è l’immagine che il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, uno dei pensatori più noti e discussi di oggi per le sue analisi e prese di posizione a volte discutibili (come non ricordare la sua difesa del terrorista Cesare Battisti?), offre agli spettatori della sua pièce Looking for Europe, un inno all’Unione europea contro chi vorrebbe solo pensare a smantellarla. Una pièce che BHL sta portando in giro per l’Europa a due mesi dalle elezioni europee: un testo intenso e addolorato (edito da La Nave di Teseo), interpretato volutamente a Milano il 5 marzo, giorno della nascita del partito fascista italiano, il primo in Europa, che vuole accendere i riflettori sul momento di buio civile e politico che stiamo vivendo, ma che intravvede però, nonostante le difficoltà, una via di uscita nell’unione e nella democrazia.
È il monologo interiore di un intellettuale che, relegato in una camera d’albergo a Sarajevo, ha a disposizione 90 minuti per scrivere un discorso sull’Europa. Comincerà dalla mitologia greca? Dalla filosofia tedesca? Dal modo in cui l’Idea d’Europa ha, da mezzo secolo, fatto la guerra alla guerra, alla tirannia totalitaria, alla miseria? A BHL vengono in mente solo le immagini desolanti di un vecchio continente sommerso da un’ondata nazionalista, razzista, xenofoba e antisemita, senza precedenti dagli anni Trenta. Un vento malvagio soffia sull’Europa, commenta inquieto, un grido di guerra contro l’intelligenza e la democrazia, che si traduce in odio nei confronti dell’altro e che a tutto fa pensare tranne che a un futuro felice per il nostro vecchio continente.
Sofferente, in un climax di angoscia e preoccupazione, il filosofo si lascia andare a una critica feroce e impietosa della realtà europea e di quella del Paese in cui è ospite. Per l’Italia parla di «un menage à trois in cui un Medico senza ricetta (Conte), un Capitan Matamoros che erutta la sua morbosa megalomania (Salvini) e un Pulcinella più scaltro che preparato (Di Maio) litigano per i favori della sorte e del popolo». E poi, più avanti, si chiede: «Come non arrabbiarsi nel vedere il Paese di Leopardi, di Verdi e del suo Va’ pensiero affondare in questo odio per la cultura?». Ma non è meno duro nei confronti degli altri Paesi europei, primo fra tutti la Francia, dove «i gilet gialli non pensano ad altro che a picchiare i poliziotti, gli ebrei, gli omosessuali».
In questo triste quadro in cui regnano xenofobia, razzismo e odio, c’è spazio anche per l’antisemitismo che, come succede da sempre, si è rifatto il look, mantenendo gli stereotipi sugli ebrei e il denaro e arricchendosi dell’odio per Israele. «Tuttavia – scrive il filosofo – perché il nuovo antisemitismo funzioni, perché faccia molti proseliti, bisogna sempre cominciare con il negare l’unicità della Shoah. “La Shoah …”, dicono gli antisemiti di oggi, “gli ebrei ci rompono le palle con la Shoah… Non se ne può più del loro modo di accaparrarsi tutto il capitale vittimistico disponibile”. Ma a che cosa serve ricordarsi della Shoah se non per impedire Srebrenica?», si chiede Lévy, che negli anni ’90 condusse una vera e propria battaglia contro il silenzio dell’Europa nei confronti della guerra in ex-Jugoslavia, andando personalmente a Sarajevo a seguire i fatti. Pensieri e ricordi si affastellano nella mente del filosofo, finché, quando sta per gettare la spugna, ecco un colpo di scena poetico in cui i fantasmi di Dante, Goethe e Václav Havel giungono a ricordargli che il peggio non è ancora detto e che resta ancora una via per uscire dal populismo.
Oggi Bernard-Henri Lévy è noto per la sua analisi lucida e dura della società odierna e per le sue battaglie in difesa dei diritti umani. A Milano per la sua pièce, BHL risponde alle nostre domande e riflette sull’antisemitismo sempre più forte in Europa e in particolare nella sua Francia, a pochi giorni dall’attacco da parte dei “gilet gialli” a Parigi al suo collega, come lui filosofo ebreo, Alain Finkielkraut.
L’antisemitismo in Francia è oggi una realtà che si esprime quotidianamente. Come è possibile che si sia arrivati a tanto?
La ragione è semplice: abbiamo abbassato la guardia, perché abbiamo banalizzato l’antisemitismo e il razzismo, perché abbiamo pensato che la libertà di espressione dovesse arrivare fino a qui e che la tolleranza valesse anche per le porcherie. Lo scrittore francese François Mauriac diceva “per la tolleranza ci sono delle case apposta”, cioè i bordelli. Certamente è fondamentale tollerare l’altro, anche chi non è d’accordo con noi e che anche ci ferisce così facendo, ma c’è un limite. Il razzismo e l’antisemitismo sono dei limiti alla tolleranza.
La società francese ha preso veramente coscienza della natura degli atti antisemiti?
L’antisemitismo in Francia uccide da 13 anni. Ilan Halimi, i bambini alla scuola di Tolosa, Sarah Halimi, le vittime dell’Hyper Cachèr, Mireille Knoll: la lista purtroppo è lunga e triste. In questi anni, però, sicuramente si è avuta una presa di coscienza da parte della Repubblica, intesa prima di tutto come dirigenti politici, istituzioni e partiti. C’è oggi uno stato di emergenza nei confronti del razzismo e dell’antisemitismo reale e concreto, che deve essere riconosciuto alla Francia repubblicana.
Questa presa di coscienza, però, non sembra spingersi fino al riconoscimento della matrice islamista di molti atti antisemiti in Francia…
Non sono d’accordo con questo punto di vista. La matrice islamista è stata nominata già a suo tempo da Nicolas Sarkozy, al tempo dell’assassinio di Ilan Halimi, da François Hollande e oggi da Emmanuel Macron.
E poi non è l’unica matrice, perché oggi in Francia si contano tre antisemitismi: quello di destra tradizionale, che non è morto, quello della sinistra tradizionale della fine del XIX secolo e quello islamista, che si è aggiunto negli ultimi anni.
Cosa possono fare gli ebrei in questa situazione?
Non devono avere paura, ma restare determinati e affermare se stessi, e soprattutto non cadere nel tranello, come hanno spesso fatto nel passato, di rasentare i muri pensando così di sfuggire all’odio. È il contrario: è rimanendo forti e solidi che si scongiura l’antisemitismo.
Per concludere, un pensiero ai giovani: come si può sensibilizzare la gioventù, di qualunque origine e provenienza, al pericolo dell’antisemitismo e del razzismo?
Invitandoli a votare per l’Europa alle elezioni, perché se gli euroscettici vincono, saremo tutti perduti.