François Truffaut

Il padre ebreo di Truffaut e quello strano film “Ultimo metrò” sull’occupazione nazista in Francia

Personaggi e Storie

di Roberto Zadik
Personalità geniale, ribelle ma molto riservata, brillante e al tempo stesso sfuggente, il regista francese François Truffaut è stato uno dei talenti più spiccati (e dimenticati) della scena artistica europea del secondo Novecento. Esponente di punta della Nouvelle Vague, nuova ondata di registi estremamente talentuosi, dal giallista Chabrol, al sentimentale Rohmer, all’esistenziale Godard, egli col suo cinema introspettivo e sottilmente intellettuale e ironico ha segnato un’epoca.

Passato alla storia con capolavori come Jules et Jim, “I quattrocento colpi”, riflessione sul suo burrascoso passato scolastico, e Effetto notte, intreccio efficace fra vita e cinema, poco si sa della sua privacy. Morto a soli 52 anni, il 21 ottobre 1984, sposato tre volte, una delle quali con la star Fanny Ardant che lavorò con lui,  nacque il 6 febbraio 1932 da una madre 18enne e da un padre sconosciuto e poi adottato da un certo Roland Truffaut. Ma chi era il vero padre del celebre regista? E come mai il suo penultimo film “L’ultimo metrò” narra le vicende di un protagonista ebreo che si nasconde dalla Parigi occupata dai nazisti?

Secondo le notizie apparse su vari siti francesi, come www.liberation.fr, nel 1968 il cineasta amico del grande Hitchcock e allora 36enne desiderava ardentemente informarsi sul suo padre biologico arrivando a ingaggiare un detective per indagare sul suo vero genitore. Dopo lunghe indagini emerse che si chiamava anche lui Roland come il suo papà adottivo ma di cognome Levy: un dentista di religione ebraica e di lontana origine portoghese sefardita. Sicuramente fu un colpo per lui che ottenne poche altre informazioni, tranne che stava studiando per diventare dentista quando incontrò sua madre e che aveva un cane e viveva nel quartiere di Beaufort. A quanto sembra l’uomo venne “scartato” dalla famiglia di lei che era fortemente antisemita e preferì che la figlia crescesse da sola il bambino piuttosto che con un ebreo (Liberation).

Un passato nascosto e decisamente inquietante che segnò interiormente il regista che per tutta la sua carriera evitò comunque di affrontare questo argomento riflettendo sui sentimenti e i rapporti interpersonali, suo argomento preferito, alternando toni da commedia come in “Sparate sul pianista” alle vicende tragiche del film “La signora della porta accanto” e che conobbe tante donne, fra cui la fascinosa Catherine Deneuve con cui girò assieme al grande Gerard Depardieu “L’ultimo metrò”. Molto amico della sceneggiatrice ebrea Susanne Schiffman scrisse assieme a lei diversi copioni lavorando con lui per più di un ventennio, dal 1960 al 1983, come quello di questa pellicola “L’ultimo metrò” del 1980 che racconta una vicenda molto simile a quelle della sua collega la cui madre si nascose dai nazisti e del padre ebreo che non ha mai conosciuto. Il protagonista è Lucas Steiner (Heinz Bennett) è un impresario teatrale ebreo che vive nascosto nello scantinato del teatro diretto pubblicamente dalla moglie Marion sua correligionaria (Catherine Deneuve) che conoscerà un attore Bernard (Depardieu) e i due si innamoreranno reciprocamente. Intreccio fra vita e spettacolo, come Effetto Notte, ambientato nel 1942 in una Parigi assediata dai nazisti è l’unica traccia di riflessione “ebraica” di questo riservato e geniale regista che fu uno dei protagonisti assoluti del cinema e che continuò a lavorare costantemente anche durante la malattia fino al 1983 con la sua ultima fatica “Finalmente domenica”.