Il racconto di un testimone dell’attacco al Kibbutz Nir Yitzhak. «Abbiamo sentito i nostri vicini mentre li rapivano»

Personaggi e Storie

di Ilaria Myr
Daniel Lanternari è un ebreo romano che dal 1995 vive nel Kibbutz Nir Yitzhak, uno dei villaggi agricoli situati nella zona intorno a gaza, la cosiddetta ‘envelope’ nei 7 km intorno alla striscia governata da Hamas. E anche il suo kibbutz, come tutti i villaggi della zona, è stato travolto dalla furia omicida dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Nell’attacco sono morti tre residenti, e 9 persone sono tutt’oggi disperse. Lo abbiamo contattato a Eilat, dove si trova con la sua famiglia, la moglie, i tre figli (9,12 e 15 anni) e due cani.

Daniel Lanternari con la moglie e i tre figli
Daniel Lanternari con la moglie e i tre figli

«Ci siamo svegliati sabato mattina alle 6.30 al suono delle sirene, ma c’era anche una quantità enorme di missili e siamo corsi nella stanza di sicurezza. Abbiamo aspettato che finisse il lancio dei razzi per uscire, ma intanto abbiamo ricevuto messaggi che c’erano state delle infiltrazioni a Sderot nella zona al nord della striscia. Dopo qualche minuto, portando mio figlio al bagno dalla finestra abbiamo visto una quindicina di terroristi che sono entrati dall’entrata del kibbutz si sono nascosti dietro la mia macchina e hanno iniziato a sparare. Siamo subito rientrati nella stanza di sicurezza e ci siamo chiusi bene dentro, in modo che non potessero entrare dall’esterno. Ma hanno cercato di entrare dalla finestra della camera, e quando ho visto un filo di luce mi sono detto ‘è finita’. Continuavano a girare intorno, sentivamo spari e urla in arabo, ma abbiamo anche sentito urlare nella casa dei nostri vicini, da dove – abbiamo poi saputo – hanno portato via cinque persone. Sono entrati anche da noi, hanno distrutto quello che c’era e hanno cercato di entrare nella stanza, dove eravamo, per fortuna senza riuscirci.

In tutto questo, abbiamo cercato di mantenere il sangue freddo anche per trasmettere sicurezza ai bambini. E ancora non mi spiego per quale motivo anche i cani non hanno abbaiato, loro che di solito appena sentono un rumore lo fanno: sono stati in silenzio come se sentissero le nostre preghiere.

In totale abbiamo passato lì dentro più di 12 ore, senz’acqua, cibo e per fare i nostri bisogni usavamo un secchiello. Non potevamo uscire perché non sapevamo se c’erano miliziani in casa o bombe. Solo verso le 19 sono arrivati i soldati: appena usciti ci siamo rifocillati e abbiamo visto che oltre ai bossoli, che erano ovunque, sul terrazzo c’erano tre razzi rpg pronti per l’uso, una veste, cartucce per kalshnikov. Se li avessero usati in casa la situazione sarebbe stata  certamente differente ….

Le armi trovate da Daniel Lanternari sulla terrazza di casa

 

L’esercito ci ha divisi in diversi asili, che sono antimissile, in modo da potere controllare solo un luogo, mentre altri perlustravano il kibbutz alla ricerca di terroristi. Non ci hanno però evacuato subito perché si temeva che sulla strada ci fossero terroristi nascosti dietro agli alberi. Solo domenica sera verso le 23 siamo stati caricati su vari autobus e ci hanno portato qui a Eilat.

Il bilancio del nostro kibbutz al momento è di tre morti sicuri e nove scomparsi. Purtroppo, sapere che hanno preso le nostre macchine per portare gli ostaggi fa ancora più male. Così come fa male avere scoperto che il motivo per cui erano scomparse tutte le biciclette era che i terroristi avevano portato con loro bambini piccoli per metterli a girare nel kibbutz e fare da scudo, per distrarre l’esercito e i sorveglianti.

Vogliamo sapere perché per tante ore nessuno è venuto a bussare alla nostra porta. Il nostro più grande rispetto per i soldati che stanno ancora facendo il loro lavoro, ma qualcosa non è andato bene.

Nel nostro kibbutz c’erano fino a oggi persone dalla striscia che lavoravano da noi, amici che aiutavamo, ma si deve capire che i miliziani entrati non hanno fatto nessuna distinzione davanti anche a beduini, drusi, donne, bambini, anziani. Hanno sgozzato bambini, bruciato famiglie vive, ragazzi che ballavano a un rave, persone innocenti che sono state ammazzate solo perché si trovavano nella terra di Israele, non importa di che etnia o età fossero.

Sono sicuro che non è finita. Ora i bambini qui sono in vacanza ma il giorno che potremo tornare a casa nessuno si sentirà al sicuro, adulti e i bambini.  Soprattutto, quando torneranno a scuola vedranno insegnanti e compagni che non ci sono più, si racconteranno le storie drammatiche che hanno vissuto e lì inizierà una nuova battaglia non fisica ma mentale.

Se torneremo a vivere nel kibbutz? È presto per prendere una decisione: non nego che ci sono molti che dicono che vogliono tornare lì, alcuni dicono di spostare il kibbutz altrove, ma sicuramente in molti andranno via.

Di certo, anche se torniamo, non sarà più la stessa cosa. Fino ad adesso dicevamo “per colpa dei razzi viviamo per il 95% in paradiso, ma per viverlo abbiamo questo 5% di inferno da subire ogni tanto”. Questa volta ci sono delle barriere che sono state oltrepassate che difficilmente le persone sapranno come superare».

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