Da sinistra Gadi Luzzatto Voghera, Sami Modiano e Liliana Picciotto

Inaugurato il progetto sulla deportazione ebraica da Rodi. Sami Modiano: “Tocca a voi trasmettere la memoria”

Personaggi e Storie

di Ilaria Myr
«Sono molto contento di essere qui e malgrado con gli occhi non veda quante persone ci siano, le sento. Sto toccando con mano l’ambiente di questo memoriale, da cui sono partite persone che hanno avuto un’esperienza di deportazione come me. E mi dà lo stimolo per continuare, finché potrò a raccontare. Quando non ci sarò più ci sarete voi a trasmettere la memoria». Sono parole intense e commosse quelle che Sami Modiano, ebreo rodiota sopravvissuto ad Auschwitz, ha pronunciato giovedì 9 maggio al memoriale della Shoah di Milano durante l’evento di inaugurazione della iniziativa ‘Ebrei di Rodi. Eclissi di una comunità 1944 – 2024’ realizzata dalla Fondazione CDEC, in collaborazione con la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, in occasione dell’80 anniversario della deportazione degli ebrei dell’isola, avvenuta il 23 luglio 1944. Una comunità integrata, vivace, radicata nel territorio e nelle sue tradizioni, un piccolo e coloratissimo mondo che fu interamente spazzato via in un solo giorno. Il 23 luglio 1944, tramite l’inganno, più di 1.800 persone furono arrestate, condotte al porto, caricate prima su navi e poi su treni merci e avviate al campo di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau. Si tratta del viaggio più lungo tra tutte le deportazioni europee.

L’iniziativa ‘Ebrei di Rodi. Eclissi di una comunità 1944 – 2024’, curata da Sara Buda e Daniela Scala del CDEC e dall’art director Sara Radice, prevede due interventi complementari che si richiamano l’un l’altro: un’installazione fisica partecipativa, che resterà aperta fino al 2 settembre, e un portale web contenente l’elenco ragionato dei deportati sotto forma di Monumento interattivo e uno spazio di approfondimento sulla deportazione dalle isole di Rodi e Coo.

Durante la sua permanenza a Milano, Modiano è stati invitato a parlare ai ragazzi della Scuola della Comunità ebraica, donando loro la sua preziosa testimonianza.

La testimonianza di Sami Modiano

La senatrice Liliana Segre e Sami Modiano il 9 maggio al memoriale della Shoah a Milano (foto Ruggero Gabbai)

Dialogando con la storica Liliana Picciotto, Modiano ha ripercorso quel lungo viaggio iniziato il 18 luglio e finito il 6 agosto, sulla rampa di Auschwitz. «Non sapevamo quasi nulla di quello che stava accadendo in Europa, e mai avremo immaginato che sarebbe successo anche a noi – ha spiegato –. Con le leggi razziali alcuni si erano preoccupati e avevano deciso di emigrare: poi, dopo l’8 settembre i nazisti sono entrati nell’isola, ma fino a metà luglio del ’44 non avevamo avuto avvisaglie di niente, e pensavamo ormai che non sarebbe più capitata a noi la deportazione».

Il 18 luglio però avviene l’arresto: vengono caricati su navi, 500 perone su ognuna. «Erano navi bestiame e i nazisti non avevano neanche pulito le stive dagli escrementi degli animali – ha raccontato – Una settimana di viaggio in condizioni terribili, in cui molte persone morirono, e quando, arrivati a riva, chiedemmo cosa fare dei corpi, i nazisti ci dissero di buttarli a mare. Poi, arrivati al Pireo, il trasferimento in una caserma greca, tutti ammassati in un grande stanzone, un caldo terribile, senza acqua. E infine il trasferimento alla stazione. «Era la prima volta che vedevo un treno! Ci hanno messo in 90 in ogni vagone, perché avevano fatto male i conti, e ci davamo il turno per chi stava in piedi. I mi occhi hanno visto cose che occhi di un ragazzo non devono mai vedere».

A lui, infine, l’onore di inaugurare l’installazione interattiva (vedi sotto).

Durante la sua visita a Milano, Sami Modiano si è anche recato alla Scuola della comunità ebraica dove ha incontrato i ragazzi.

La ricerca storica, l’installazione e il portale web

Il progetto riprende e approfondisce la ricerca avviata dalla Fondazione CDEC alla fine degli anni Settanta sui nomi dei deportati dai territori italiani. Grazie all’incrocio tra documenti editi e inediti, la Fondazione CDEC è giunta a nuovi e più precisi risultati, sistematizzati e accessibili da chiunque.

«Accogliendo lo stimolo di Ester Menascé, italiana di origine rodiota che ha scritto numerosi libri sugli ebrei dell’isola, abbiamo avviato questa ricerca che è sì un punto di arrivo della ricerca  sulle deportazioni dall’Italia iniziata dal Cdec negli anni Settanta, dato che Rodi e Coo erano parte del regno d’Italia dal 1924 – spiegano le curatrici a Mosaico-, ma è anche un punto di partenza, perché c’è ancora moltissimo da scoprire sulla storia di questa comunità. Nonostante nell’isola vivano oggi pochissimi ebrei, quella rodiota è una comunità diffusa in tutto il mondo: molti infatti sono i discendenti di chi lpartì da lì negli anni ‘30, principalmente per il Congo belga, la Palestina mandataria, il Sudafrica o gli Stati Uniti, mantenendo però un legame fortissimo con le proprie origini. Per questo il progetto si chiama ‘eclissi di una comunità’, proprio perché, come succede in astronomia, essa è stata offuscata dai tragici fatti dell’epoca, ma non cancellata. Siamo quindi riusciti a collaborare con diverse realtà che ne mantengono la memoria, e il nostro obiettivo per il futuro è aprire altri canali diretti con istituzioni e singoli possano darci documentazione e dati nuovi».

L’installazione è pensata in modo da evidenziare, a colpo d’occhio e in maniera scenografica, il numero imponente di persone deportate, il loro nome, la loro età e l’esiguo numero di sopravvissuti. Il pubblico cammina attraverso un percorso di fili di cotone verticali sospesi, tanti quanti furono i deportati, e di lunghezza variabile in base all’età raggiunta al 23 luglio 1944, venendo coinvolto in prima persona. I visitatori sono infatti chiamati ad attaccare a ogni filo un cartoncino, disponibile a fianco, su cui c’è scritto il nome e cognome di un deportato: bianco per chi è morto ad Auschwitz, verde per chi è tornato. Anche i fili sono dei due colori, ma ce ne si accorge solo dopo un’osservazione più attenta.

«Il nostro obiettivo è stato fin da subito di rappresentare fisicamente i dati emersi dalla ricerca storica, in un modo coinvolgente – spiegano le tre curatrici -. Il visitatore è invitato a immergersi fisicamente nella installazione e a rendersi concretamente partecipe del processo di ricordo e conoscenza. Il messaggio è molto chiaro ed evidente: c’è bisogno che i visitatori appendano i cartoncini perché ognuno dei deportati riacquisti un’identità. Altrimenti l’installazione rimane vuota, così come la conoscenza storica».

Ad arricchire il percorso, ci sono dei pannelli esplicativi e contenuti audiovisivi originali, mentre in sottofndo si sente, come colonna sonora, il suono delle onde del mare, che, in modo molti efficace, è interrotto dal rumore dei tremi che passano sopra il memoriale. Inoltre, tramite l’uso di interviste inedite ai sopravvissuti realizzate dalla Fondazione CDEC, il visitatore ascolta le voci dei sopravvissuti.

Sami Modiano appende i cartoncini con i nomi del padre e della sorella (foto di Ruggero Gabbai)

 

Le informazioni sui deportati e i sopravvissuti si trovano sul portale web, online dal 9 maggio. Il Monumento digitale è composto dalle schede personali dedicate a ciascun deportato, corredate da fotografie, scritti e clip audio-video. Nel Monumento confluiscono i risultati della ricerca sui dati, che saranno ricercabili secondo criteri quali il genere, l’età, il luogo di arresto. A corredo ci sono sezioni di inquadramento storico e del lavoro di ricerca svolto dal CDEC, oltre al progetto di crowdsourcing basato sui metodi della public history.

Una seconda parte del portale, dedicata a eventi particolari ed emblematici della vicenda rodiota, verrà pubblicata il 23 luglio 2024, anniversario dell’inizio del lungo viaggio verso Auschwitz-Birkenau.

Altre iniziative

Il progetto prevede anche diversi eventi di vario tipo che accentuano il suo carattere di immersione nella storia e nella cultura degli ebrei di Rodi. Lunedì 27 maggio, 18.30, ci sarà un momento a cura del Nefesh Trio, un percorso musicale lungo le tradizioni rodiote. Musiche di una comunità al centro del Mediterraneo, con influenze che vanno dal Maghreb all’Europa, passando per il Medio Oriente.
Si aggiungeranno poi iniziative sulla storia e la cultura della comunità ebraica rodiota i cui programmi saranno a breve disponibili: la cucina sefardita sarà al centro di un appuntamento rivolto al pubblico, mentre per storici e ricercatori è previsto un convegno internazionale di studio.

 

(Nella foto in alto, Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC, Sami Modiano e la storica Liliana Picciotto)