di Anna Balestrieri
In occasione della Pasqua ebraica di quest’anno, il Forum delle Famiglie degli Ostaggi e dei Dispersi ha pubblicato una Haggadà speciale: La Haggadà della Libertà. Non si tratta soltanto di una guida al Seder, ma di un ponte tra l’antico racconto dell’Esodo e le voci vive di chi, oggi, attende ancora la redenzione: gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas e le loro famiglie.
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I contenuti
All’interno del testo, accanto alle benedizioni tradizionali, si trovano le storie vere di chi ha vissuto il dramma della prigionia e della separazione: il Seder in cattività di Liri Albag e Agam Berger, la lettera di Hadar Goldin scritta alla sua fidanzata alla vigilia della sua cattura nel 2014, la musica che ha dato forza a Sagui Dekel Chen, il ritorno di Avraham Mengistu dopo dieci anni di prigionia. Il tutto accompagnato dalle illustrazioni di Vered Goldman.
«Quest’anno, mentre ripercorriamo la storia della liberazione dall’Egitto, aggiungiamo le voci delle famiglie degli ostaggi e dei sopravvissuti», dice Nivi Feldman, portavoce del Forum nel Regno Unito. «Le loro parole si intrecciano al testo antico, ricordandoci che la lotta per la libertà non appartiene solo al passato: è il nostro presente.»
“Torneremo a casa”
Ma questa Haggadà non è soltanto un aggiornamento commovente della tradizione: si inserisce in una storia più ampia, come ricorda Leo Dee in un recente intervento sul Jerusalem Post. La Haggadà originaria, infatti, è nata in esilio, in un’epoca in cui il popolo ebraico era disperso sotto l’Impero Romano, impossibilitato a sacrificare l’agnello pasquale nel Tempio distrutto. Il testo fu concepito in codice, per eludere la censura romana, raccontando la “liberazione dall’Egitto” ma alludendo in realtà alla speranza di un futuro ritorno in Israele. L’espressione chiave, Yetziat Mitzrayim, era un messaggio cifrato: per chi sedeva al tavolo del Seder in diaspora, significava “torneremo a casa”.
Dee evidenzia anche il significato delle quattro coppe di vino – che rappresentano solo quattro dei cinque verbi di redenzione del libro dell’Esodo – lasciando fuori “veheveiti” (“vi porterò nella terra promessa”). Un’assenza che, ieri come oggi, riecheggia come una promessa incompiuta.
Nel cuore della Haggadà troviamo anche il racconto dei rabbini riuniti a Bnei Brak – tra cui Rabbi Akiva e Rabbi Eliezer – che discutevano dell’Esodo per tutta la notte. Ma secondo Dee, essi non parlavano solo del passato: si nascondevano in una grotta durante la rivolta di Bar-Kochba e pianificavano, forse, la riconquista del regno ebraico.
Così, oggi, mentre leggiamo una nuova Haggadà nata in un tempo di dolore e speranza, riconosciamo l’eco di quel messaggio antico: il desiderio di libertà, il ritorno degli esiliati, la liberazione degli oppressi.
Una Pasqua di speranza
«Che si possa presto realizzare lo slogan che ci accompagna da diciotto mesi: Bring Them Home NOW! – Riportiamoli a casa, adesso», scrive Dee. «Da Gaza, da New York, da Londra e da ogni luogo del mondo.»
Finché non potremo sederci tutti insieme al tavolo del Seder, la Haggadà della Libertà ci invita a farlo idealmente, uniti da una speranza antica quanto il popolo che la custodisce.