Facciata della Ucl di Londra

L’odio antisraeliano in cattedra. Intervista a Dana Barnett

Personaggi e Storie

di Nathan Greppi
Dopo i fatti del 7 ottobre, molti media e politici si sono resi conto per la prima volta del clima d’odio che in molte università occidentali imperversa contro israeliani ed ebrei, alimentato da studenti e docenti di estrema sinistra. Ma ciò che hanno scoperto solo negli ultimi mesi è una realtà che i media ebraici della diaspora e quelli israeliani denunciano da decenni.

Esistono siti e organizzazioni che nel corso del tempo si sono specializzate nel monitorare episodi di odio antisemita e antisionista nei campus universitari. Tra queste vi è l’IAM (Israel Academia Monitor), una ONG fondata nel 2004 e diretta dalla ricercatrice israeliana Dana Barnett, che pubblica una newsletter in cui riporta e analizza svariate manifestazioni d’odio antisionista nelle università, comprese quelle israeliane. A quasi vent’anni dalla fondazione, la Barnett ha raccontato a Mosaico il suo lavoro.

Dana Barnett

Come hai iniziato a monitorare attività antisioniste nel mondo accademico?

Negli anni ’90 vivevo a Londra, dove mi sono laureata alla scuola d’arte Central Saint Martins, specializzandomi in videoarte. Lavoravo come fotografa freelance, per testate come Hello Magazine e Maariv, e come cameraman, girando e scrivendo dei servizi televisivi.

All’epoca, sostenevo i negoziati di pace con i palestinesi con tutto il mio cuore, ed ero entusiasta quando Israele fu sul punto di firmare gli Accordi di Oslo. Ero convinta che Israele fosse responsabile per la miseria dei palestinesi, ed ero ottimista quando l’allora Primo Ministro Ehud Barak stava per firmare un trattato di pace con Yasser Arafat. Invece, sono rimasta sconvolta quando nel 2000 scoppiò la Seconda Intifada, e allora mi resi conto che c’era qualcosa di sbagliato nella mia percezione della realtà. Volevo saperne di più.

Lavorando come cameraman presso la Knesset, iniziai a tradurre dall’inglese all’ebraico gli scritti dell’arabista americano Daniel Pipes. Durante una conferenza che contribuì a organizzare, chiacchierai con un professore israeliano che mi chiese a quali altri progetti stavo lavorando; gli parlai delle mie traduzioni di Daniel Pipes, e lui mi parlò di un’organizzazione fondata da Pipes nel 2002, Campus Watch, che monitora attività antisraeliane negli atenei americani. Mi spiegò che anche in Israele vi erano accademici che operavano contro il paese. Mi interessai alla questione, e lui mi suggerì di dare il via al progetto.

Così il progetto è iniziato nel 2004. Notammo una petizione del 2002 che circolava su internet, firmata da circa 360 accademici israeliani, che chiedeva agli studenti di rifiutarsi di servire nei territori occupati durante il servizio militare per i riservisti. L’IAM ha iniziato analizzando le attività e pubblicazioni degli accademici radicali che avevano firmato questa petizione.

In seguito, ho studiato Storia del Medio Oriente all’Università di Haifa, e ho conseguito il dottorato in Studi sul Medio Oriente e il Mediterraneo al King’s College di Londra, sotto la supervisione dello storico israeliano Efraim Karsh. La mia tesi di dottorato, Post-Zionism and Israeli Universities: the Academic-Political Nexus, si può trovare online.

Qual era la situazione negli atenei occidentali prima del 7 ottobre?

Sin dai primi anni ’70, i dipartimenti delle scienze sociali nelle università occidentali hanno cambiato il modo in cui spiegano la realtà. Il cambiamento è avvenuto con l’arrivo degli studenti politicizzatisi durante la Guerra del Vietnam. In seguito, molti di loro sono diventati professori di scienze sociali e studi umanistici.

Hanno iniziato a mettere in atto gli insegnamenti del comunista italiano Antonio Gramsci il quale, quando era stato messo in prigione da Mussolini, scrisse i suoi Quaderni del carcere. Gramsci sosteneva che non fosse necessario mettere in atto una rivoluzione completa, come in Unione Sovietica, ma che fosse più efficace istruire le elite intellettuali e accademiche affinché diffondessero i principi marxisti nella vita pubblica, nei media e nelle scuole. A lui si aggiunse una lunga linea di pensatori, perlopiù francesi, che guardavano con sospetto il sapere tradizionale, in quanto veniva prodotto da quella che consideravano una “classe imperialista-capitalista”.

Il nuovo paradigma nelle università americane era semplice; tutte le persone al mondo si potevano dividere in due categorie: gli oppressori (bianchi, capitalisti, imperialisti) e gli oppressi (poveri, neri, ispanici e a volte asiatici). Gli ebrei (bianchi e ricchi) vennero considerati oppressori, e i palestinesi (non bianchi e poveri) gli oppressi. Lo Stato d’Israele, incarnazione collettiva del popolo ebraico, divenne il simbolo dell’oppressione, e i palestinesi simbolo degli oppressi.

Questa narrazione non tiene conto di nessun fatto storico: non menziona il fatto che ai palestinesi venne offerto uno Stato numerose volte, durante il Piano di Partizione dell’ONU del 1947, dopo la Guerra dei Sei Giorni e durante il processo di pace ad Oslo. Per loro sarebbe stato sconveniente ricordare tutto questo, perché andrebbe a minare la dicotomia oppressori/oppressi.

Nel 2001, il politologo israelo-americano Martin Kramer ha pubblicato un monumentale libro sull’argomento, Ivory Towers on Sand. Ha spiegato come, nei campus statunitensi, migliaia di professori insegnano il Medio Oriente sulla base delle loro teorie. Il governo federale sussidia i centri di ricerca per gli studi mediorientali, che però sono diventati delle “fabbriche degli errori”. Gli accademici, accecati dai propri pregiudizi e agende politiche, hanno fallito nel prevedere o spiegare tutti i maggiori sviluppi avvenuti in Medio Oriente.

Negli ultimi quarant’anni, i paesi arabi più ricchi e l’Iran hanno investito miliardi di dollari nelle più prestigiose accademie occidentali per cambiarne la percezione dell’Islam, promuovere un approccio più benevolo verso i loro regimi e influenzare le relazioni politiche con Israele. Non a caso, già nel 1979 l’AJC (American Jewish Committee) predisse che i finanziamenti arabi “potrebbero essere utilizzati per alterare i curricula universitari, sottoscrivere programmi antisraeliani faziosi e sostenere la propaganda nei campus”.

Cosa è cambiato dopo i massacri compiuti da Hamas e lo scoppio della guerra?

L’antisemitismo e l’antisionismo che circolavano nei campus dell’Occidente sono diventati di dominio pubblico, oltre a diventare molto più violenti. Le nuove espressioni d’odio hanno assunto varie forme:

  • Gli studenti (e a volte intere facoltà) hanno scritto petizioni a sostegno dei palestinesi, nonostante Hamas abbia commesso la più grande atrocità subita dal popolo ebraico dai tempi della Shoah;
  • Gli studenti hanno organizzato e partecipato a manifestazioni, gridando: “From the river to the sea, Palestine will be free”, il che essenzialmente vorrebbe dire che per gli ebrei non c’è posto in Palestina;
  • Gli studenti ebrei che hanno cercato di organizzare marce a sostegno d’Israele sono stati attaccati, e i loro cartelloni distrutti;
  • Gli studenti ebrei sono stati presi minacciati e aggrediti solo perché ebrei. Ad esempio, al Cooper Union College di New York sono stati costretti a barricarsi per sfuggire ad una folla filopalestinese che voleva aggredirli;
  • Sono state dipinte svastiche sugli edifici che ospitano associazioni e confraternite ebraiche, e in altri casi i simboli ebraici sono stati vandalizzati;
  • La più evidente manifestazione di antisemitismo è avvenuta quando le rettrici di tre prestigiose università, Harvard, la University of Pennsylvania e l’MIT, si sono rifiutate di dire che invocare il genocidio degli ebrei costituisse una forma di discriminazione. Hanno detto che “dipende dal contesto”.

Sebbene criticare Israele e la sua politica estera sia legittimo, il paradigma neomarxista ha adottato molti dei tradizionali stereotipi antisemiti per descrivere Israele. Per combattere l’antisemitismo, la International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) ne ha pubblicato una propria definizione, che rimarca una netta distinzione tra la critica legittima e l’antisemitismo, adottata da molti paesi e organizzazioni. Tuttavia, è stata totalmente ignorata nei campus; anzi, in alcuni casi dei professori si sono coalizzati contro l’IHRA, accusata di limitare la “libertà di espressione”.

Anche prima del 7 ottobre, vi era un diffuso antisemitismo nei campus, e gli studenti ebrei subivano molestie e l’emarginazione. Nel Regno Unito, ad esempio, un report del gennaio 2023 ha rivelato che l’Unione Nazionale degli Studenti (NUS) ha fallito nel proteggere i suoi membri ebrei dagli attacchi ostili avvenuti al suo interno. Un’indagine indipendente ha rivelato che nel NUS si sono verificati numerosi casi di antisemitismo nell’ultimo decennio, come l’adozione di antiche tematiche antisemiti, quali l’accusa del sangue e le teorie cospirazioniste sui Rothschild, mentre gli studenti ebrei venivano ritenuti responsabili per le azioni d’Israele. Negli Stati Uniti, un sondaggio dell’Ipsos ha rivelato che tra il 19 marzo e il 24 maggio 2023, tre studenti ebrei su cinque sono stati vittime o testimoni di episodi di antisemitismo.

Secondo un sondaggio condotto dall’ADL, prima del 7 ottobre, il 64% degli studenti ebrei e il 68% di quelli non ebrei pensavano che le loro università fossero accoglienti verso gli studenti ebrei. Dopo il 7 ottobre, la percentuale è scesa al 44% tra quelli ebrei e al 58% tra quelli non ebrei.

Hai scritto che anche diversi accademici israeliani sostengono i boicottaggi. Quanti sono? E a che tipo di ideologia aderiscono?

Sin dal 2004, l’IAM ha identificato dozzine di accademici israeliani che sostengono il BDS. Di fatto, alcuni di questi hanno collaborato con i palestinesi che hanno fondato la campagna del BDS a Ramallah nel 2005. Il loro retroterra ideologico non è uniforme. Si possono rintracciare almeno tre filoni:

  • Antisionisti che, prima del 1948, si opponevano alla creazione di uno Stato ebraico;
  • Membri del Partito Comunista israeliano;
  • Neomarxisti, che considerano Israele uno Stato di apartheid.

Rachel Giora, docente di Linguistica all’Università di Tel Aviv e fervente sostenitrice del boicottaggio, ha pubblicato le sue ricerche sull’argomento nel 2010. Nel suo testo Milestones in the history of the Israeli BDS movement: A brief chronology, la Giora sostiene che l’emergere di un movimento di boicottaggio israeliano sia avvenuto in risposta agli appelli rivolti dai palestinesi alla comunità internazionale.

Il principale ruolo di questo movimento, secondo la Giora, è stato di “sostenere gli appelli del BDS internazionale contro Israele e legittimarli in quanto non antisemiti, in quanto non prendono di mira gli israeliani ma le politiche del governo israeliano, nonché per sostenere una legittima lotta non violenta tramite la quale la società civile palestinese possa reclamare i diritti e la libertà del proprio popolo”.

Come abbiamo visto in questo periodo, la Giora si sbagliava nell’affermare che questo non sarebbe andato a danneggiare gli israeliani come singoli individui.

Secondo i tuoi dati, quali sono le università occidentali più antisraeliane?

Sappiamo dopo gli attacchi di Hamas che gli atenei della Ivy League (Harvard, University of Pennsylvania, Columbia University, Brown University, UC Berkeley, Cornell) sono i più ostili. La maggior parte degli episodi di antisemitismo si sono verificati nei loro campus.

Quali strategie si possono utilizzare per combattere l’odio antisraeliano nelle università?

Al momento, esistono diversi modi in cui i sostenitori d’Israele (ebrei e non) stanno combattendo l’odio contro Israele nei campus occidentali:

  • Alcuni grandi donatori hanno ritirato le loro donazioni;
  • Procedere per vie legali: vi sono diversi gruppi, specialmente negli Stati Uniti, che stanno querelando le università sulla base del fatto che discriminano gli studenti ebrei o falliscono nel garantire loro un ambiente sicuro;
  • Alcune grosse istituzioni finanziarie e prestigiosi studi legali hanno dichiarato che non assumeranno quei laureati che vengono da università dove si alimenta l’antisemitismo e l’odio verso Israele;
  • Rintracciare le donazioni arabe e iraniane alle università occidentali;
  • Tenere corsi obbligatori sull’argomento.

I primi risultati indicano che le sfide legali potrebbero essere molto efficaci perché, se avranno successo in tribunale, le università saranno costrette a pagare grosse multe.

Alla luce della guerra in corso, come prevedi che cambierà la situazione nei prossimi mesi?

Predire il futuro è molto difficile. Ma credo che quando la guerra finirà, l’esercito israeliano avrà ottenuto prove sufficienti per dimostrare che Hamas ha instaurato un brutale regime a Gaza, utilizzato gran parte degli aiuti internazionali per costruire la rete dei tunnel e acquistare armi. E cosa più importante, hanno usato la loro gente come scudi umani. Inoltre, i loro leader vivono nel lusso nel Distretto Rimal, noto come la “Beverly Hills” di Gaza, e in Qatar. A tutti coloro che ammirano Hamas verranno illustrati questi fatti, difficili da ignorare.