di Nathan Greppi
Nel corso della sua lunga carriera, Meir Dagan, l’ex-capo del Mossad deceduto giovedì 17 Marzo all’età di 71 anni, ha sempre tenuto la stessa fotogr
afia nel suo ufficio; mostrava un uomo chiamato Baer Ehrlich inginocchiato per terra, circondato da uomini con l’uniforme nazista. Pochi minuti dopo che la fotografia venne scattata, i nazisti uccisero Ehrlich, che era il nonno di Meir Dagan.
La fotografia doveva ricordare a Dagan due cose: che la sua lotta contro i nemici degli ebrei era personale, e che il suo obiettivo era uno solo: mai più.
Dagan nacque in Unione Sovietica nel 1945, e fece l’aliyà con i genitori all’età di 5 anni. Si arruolò nell’IDF nel 1963, dimostrando sin dall’inizio grandi qualità di leadership. Quando Ariel Sharon, comandante dell’esercito sul fronte sud negli anni ’70, percepì un aumento del terrorismo a Gaza, nominò Dagan a capo di una nuova unità chiamata Sayeret Rimon: i suoi membri si travestivano da arabi e si infiltravano nelle comunità locali per identificare e neutralizzare i terroristi prima che questi colpissero. In questo delicato compito Dagan diede prova di grande intelligenza e coraggio, tanto da ricevere l’Itur Ha’Oz, uno dei riconoscimenti più importanti dell’IDF. Inoltre, nel 1980 andò in Libano per contribuire alla nascita dell’Esercito del Libano del Sud, che per 20 anni fece da cuscinetto tra i due Paesi.
A ogni promozione la leggenda di Dagan continuò a crescere, e lui fu considerato una rara combinazione tra un guerriero e un intellettuale. L’ex-capo di stato maggiore Uzi Dayan ha tenuto un discorso, riportato sul sito Tablet Magazine, in cui parla del suo primo incontro con Dagan, quand’erano entrambi giovani ufficiali e Dayan era stato assegnato sotto il comando di Dagan:
“Stavo camminando per il quartier generale quando ho visto un uomo molto basso che lanciava coltelli” disse Dayan. “Gli ho chiesto se sapeva dove potevo trovare Meir Dagan, e lui disse ‘sono io’. Gli dissi che dovevamo avere un colloquio in quanto ero il suo nuovo vice, e lui chiese:’sai tirare coltelli?’ e io dissi di si. Mi mise alla prova, e me la cavai. Allora tirò fuori una pistola e chiese ‘sai sparare?’. Gli chiesi se intendeva che dovevo sparare proprio lì, nel bel mezzo del QG, e lui disse di si. Facemmo una rapida gara di tiro, e feci anche meglio. Allora lui mi chiese ‘ascolti musica classica?’. Io risposi di no. ‘Lo sapevo’ rispose, ‘lo sapevo che l’esercito mi manda solo gente mediocre’”.
La stessa schiettezza guidò sempre Dagan nel corso della sua lunga carriera. Quando si ritirò dall’esercito, dopo 32 anni di servizio, divenne consigliere per la lotta al terrorismo dell’allora primo ministro Yitzhak Rabin, ma disapprovò l’idea del partito laburista di abbandonare le Alture del Golan e nel 2000 si unì al Likud, diventando consigliere del suo vecchio comandante Sharon. Fu quest’ultimo che, nel 2002, nominò Dagan a capo del Mossad, incarico che ha ricoperto fino al 2011. Ciò avvenne anche perché il suo predecessore, Ephraim Halevi, era un ottimo analista, ma Sharon voleva che il Mossad ritornasse eccellente anche nelle operazioni sotto copertura.
In questo periodo Dagan ottenne molto successo: sebbene le operazioni del Mossad siano (per ovvie ragioni) segrete, molte azioni sono state attribuite a Dagan e ai suoi agenti, tra cui l’uccisione nel 2008 di Imad Mughniyah, all’epoca numero due di Hezbollah. Ma la sua vera nemesi fu il programma nucleare iraniano, in cui vedeva la più grande minaccia per Israele dal 1948 ad oggi. Quando Masoud Alimohammadi, fisico nucleare iraniano, venne assassinato nel 2010, il quotidiamo egiziano Al Aharam pubblicò un lungo articolo che attribuiva il suo omicidio a Israele affermando che “ogni ufficale iraniano sa che la parola chiave è ‘Dagan’”. L’articolo diede al capo del Mossad un soprannome tuttora noto nel mondo arabo: Superman.
Ma Dagan era un essere umano, e in quanto tale ha anche commesso degli errori, inevitabili nell’ambito di una operatività molto aumentata dell’agenzia: uno di questi avvenne nel 2010, quando fu ucciso a Dubai Mahmoud Al-Mabhouh, importante esponente di Hamas, da parte di numerosi agenti dotati di passaporti falsificati, cosa che danneggiò Israele sul piano diplomatico. Nell’azione fu sottovalutata la capacità della polizia di Dubai di ricostruire a posteriori tutti i movimenti degli agenti.
Dopo essersi ritirato, Dagan continuò a far parlare di sé, diventando molto critico nei confronti dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu riguardo al suo desiderio di colpire le basi iraniane, il che secondo Dagan avrebbe coalizzato il popolo iraniano a fianco del regime. Mentre continuava la sua battaglia mediatica, un’altra più privata lo stava consumando: nel 2012 gli venne diagnosticato un cancro in stadio avanzato, e nello stesso anno andò in Bielorussia per effettuare un trapianto di fegato, cosa che non poteva fare in Israele perché vietato a chi ha più di 65 anni, anche se ti chiami Dagan. Il 17 Marzo, ha perso la sua ultima guerra, quella per la vita. Gli ebrei di tutto il mondo gli sono debitori per aver mantenuto la promessa che si fece guardando la foto di suo nonno: la promessa di non abbandonare mai più la sua gente alla mercé di eserciti stranieri.