Ministero della Salute israeliano all’ONU: condizioni inaccettabili per gli ostaggi liberati da Hamas

Personaggi e Storie

di Anna Coen
La situazione degli ostaggi di Hamas – sia quelli liberati, sia coloro che rimangono in cattività – rappresenta una tragedia di proporzioni devastanti. È una vicenda che sembra uscita da un film dell’orrore, con storie di abusi brutali e sofferenze inimmaginabili. Eppure, incredibilmente, questa realtà sembra non ricevere l’attenzione che merita nei media occidentali. Se ne parla raramente, e spesso con un tono di distacco che lascia sgomenti. Come se il dolore delle vittime fosse un dettaglio marginale, troppo scomodo per essere affrontato.

Nel frattempo, il Hostages and Missing Families Forum continua a lanciare appelli strazianti, chiedendo al mondo di non dimenticare i loro cari.  «Guardate i loro occhi, aiutateci a riportarli indietro», è la scritta che accompagna le singole fotografie, una dopo l’altra, delle incolpevoli vittime di quel maledetto 7 ottobre. Da mesi le famiglie invocano il loro rilascio, da mesi gridano aiuto, cercando di scuotere l’indifferenza generale. Ma le loro voci vengono coperte da altre priorità politiche e mediatiche, come se la sofferenza di bambini, madri, padri e fratelli fosse qualcosa di inevitabile, o peggio ancora, irrilevante.

Davanti a questa sconcertante apatia, il Governo israeliano ha deciso di agire. Attraverso la portavoce del Ministero della Salute, Shira Solomon, è stato diffuso un rapporto dettagliato e sconvolgente che verrà presentato  a Alice Edwards, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Questo documento non è solo un elenco di atrocità, ma un disperato appello alla comunità internazionale: guardate cosa sta succedendo. Non voltate lo sguardo. Non restate in silenzio.

Scarica qui il rapporto.

Un incubo senza fine

Il rapporto dipinge un quadro devastante della vita degli ostaggi nelle mani di Hamas. Testimonianze raccolte da medici e psicologi raccontano di torture fisiche, abusi sessuali, privazioni estreme e un’umiliazione costante, ripetitiva, senza via di uscita. Provate a immaginare bambini legati e colpiti, adolescenti marchiati con oggetti roventi, donne abusate e uomini denutriti al punto di non riconoscersi più. Le condizioni di prigionia, sovraffollate e insalubri, sembrano studiate per spezzare per sempre lo spirito umano.

Le conseguenze sulle vite degli ostaggi liberati

Per quelli che sono riusciti a tornare a casa, la libertà è solo l’inizio di un lungo percorso di guarigione. Molti soffrono di disturbi post-traumatici, depressione e ansia cronica, mentre le ferite fisiche spesso non sono guaribili. Il Ministero della Salute israeliano ha istituito cliniche specializzate per fornire supporto, ma il peso psicologico di ciò che hanno vissuto è una ferita che difficilmente potrà essere rimarginata.

Un appello all’umanità

Il Ministro della Salute, Uriel Busso, ha definito il rapporto come una «testimonianza agghiacciante» e ha chiesto alla comunità internazionale di agire. «Non si può tollerare un simile livello di brutalità. Questo rapporto deve servire come sveglia per il mondo intero: è tempo di mettere pressione su Hamas affinché liberi immediatamente tutti gli ostaggi».

Anche Moshe Bar-Siman-Tov, Direttore Generale del Ministero, ha insistito sulla necessità di non perdere tempo: «Ogni giorno in cattività è un giorno di sofferenza in più per queste persone. Il mondo non può chiudere gli occhi».

«Dall’inizio della guerra – ha dichiarato a sua volta la Dr.ssa Hagar Mizrahi, Direttore della Direzione Medica del Ministero della Salute – i team medici hanno lavorato giorno e notte per curare e salvare i numerosi feriti, sia fisicamente che mentalmente. Fin dall’inizio, il sistema sanitario è stato incaricato di prendersi cura di coloro che sono stati crudelmente rapiti da Hamas. Siamo stati esposti agli orrori e alle condizioni spaventose che i rimpatriati hanno subito, così come alle sofferenze profonde di coloro che sono stati uccisi in cattività […]. È quindi imperativo che si faccia tutto il possibile per agire e riportarli indietro. Senza il ritorno degli ostaggi, famiglie e comunità non potranno guarire e tornare alla loro routine quotidiana».

La necessità di un cambio di prospettiva

Questa indifferenza diffusa nei confronti del destino degli ostaggi non può continuare. Ogni giorno di silenzio è un giorno in cui le famiglie di chi è ancora prigioniero vivono nell’angoscia, senza sapere se rivedranno i loro cari. Il rapporto presentato alle Nazioni Unite non è solo un resoconto degli orrori subiti dagli ostaggi, ma una chiamata all’azione per tutte le persone che credono nella dignità umana.

Non si tratta di politica, né di schierarsi in un conflitto estremamente complesso e troppo spesso liquidato dai media in modo superficiale o parziale. Si tratta di umanità. Si tratta di riconoscere che nessuna persona, nessun bambino, nessuna donna o uomo dovrebbe essere costretto a subire ciò che gli ostaggi hanno vissuto. La questione non può essere relegata in secondo piano, né trattata come una nota a margine nella narrazione dei conflitti.

Il tempo di agire è ora. L’indifferenza è il nemico più grande, perché permette che il male prosperi senza resistenza.