di Francesco Paolo La Bionda
“Le mappe, nella storia dell’uomo, hanno sempre accompagnato le scoperte. Così come una volta descrivevano realtà ignote, così fanno anche adesso: all’epoca si trattava di una esplorazione fisica, oggi invece è l’analisi dei dati. Gli otto temi trattati, dai conflitti alle epidemie, riguardano il secolo contemporaneo nel quale, è ormai chiaro, le informazioni sono contenute nei dati, perché noi tutti viviamo immersi nella realtà digitale. I dati ci aiutano quindi a comprendere i comportamenti degli uomini e a descrivere il mondo che ci circonda”. Così spiega Maurizio Molinari a proposito del suo ultimo libro “Atlante del mondo che cambia”, Rizzoli (22,00 euro), un volume di duecento pagine in cui l’ex corrispondente dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente, ex direttore de La Stampa e oggi direttore del quotidiano La Repubblica, tenta di spiegare le sfide del nostro tempo avvalendosi di cartografie, infografiche, dati e un’accurata analisi giornalistica. Un viaggio in otto lezioni verso il mondo che verrà, nei macrotemi al centro della nostra modernità, dall’emergenza clima al sovranismo, dai flussi migratori alle diseguaglianze, dalla parità di genere alle epidemie, dal razzismo alle guerre vecchie e nuove che insanguinano il nostro pianeta. Ne parlerà anche domenica 18 ottobre alla serata inaugurale di Kesher.
Il suo libro, oltre a tentare di comprendere i mutamenti in atto, può aiutarci ad anticipare il futuro prossimo?
I grandi fenomeni che il libro descrive sono in evoluzione, non sono fotografie di una realtà statica ma trasformazioni in corso che investono le nostre vite e che hanno una propria dinamicità, una fluidità che proprio i dati ci permettono di descrivere.
Come lei spiega nel volume, negli ultimi due anni l’umanità ha prodotto più dati che in tutti i secoli precedenti. Riuscire a elaborare correttamente questa mole di elementi può fornirci un antidoto alla disinformazione e al complottismo?
Sì, a patto che ci si affidi all’informazione di qualità. La realtà digitale al momento non è normata e i diritti di cui godiamo nella realtà fisica non esistono in questa dimensione: in ragione di ciò è possibile dire bugie o diffondere falsità e pregiudizi senza dover rispondere a nessuno. La vera sfida del futuro saranno i diritti digitali; in attesa che siano realizzati e normati, la difesa dalle fake news sta nell’informazione di qualità, che significa attingere da fonti certificate, di cui conosciamo il nome, le pubblicazioni, la testata, l’editore.
Tra gli otto grandi temi, c’è il razzismo. Quali sono le principali evidenze globali che emergono dal libro e quali le più sorprendenti?
Il razzismo, nelle sue diverse dimensioni e declinazioni, è oggi presente ovunque sul pianeta. In Occidente, l’intolleranza nei confronti degli ebrei è la più diffusa dal punto di vista del numero di atti segnalati; se alla fine del XX secolo la novità era costituita dalla sovrapposizione fra antisionismo e antisemitismo, nel XXI secolo risiede invece nelle micro-aggressioni, che sfuggono ai radar della legalità così come accade per gli abusi nei confronti delle donne. L’evidenza che più mi ha sorpreso è però la diffusione nelle democrazie avanzate dell’intolleranza verso i disabili che, seppur a livelli minimi, esiste ed è presente in tutti i paesi occidentali e che considero un campanello d’allarme per tutti noi.
Il razzismo è diventato un tema politico sempre più scottante negli Stati Uniti. Qual è l’America che oggi si appresta ad andare al voto?
Ciò che contraddistingue oggi l’America è una conflittualità fra gli estremi, un aspetto che evoca l’ideologia europea ma che è estranea alla cultura politica americana. Un elemento che rende quest’elezione molto difficile e molto delicata, ponendo il rischio che chi perda possa non riconoscere l’esito del voto. La rivolta generalizzata delle comunità afroamericane sul tema del razzismo ripropone la ferita storica dell’America. La divisione non è solo tra bianchi e neri, ma anche interna alle comunità stesse: Barack Obama, primo presidente afroamericano, ha sostenuto pubblicamente che di fronte alla ferita storica del razzismo fossero gli afroamericani ad avere la responsabilità di guardare oltre, poiché la battaglia per i diritti civili era stata vinta dalla generazione di Martin Luther King. Tracciando un parallelismo biblico, Obama ha paragonato la generazione afroamericana di King a quella di Mosè, in riferimento alla lotta per l’emancipazione, e l’attuale a quella di Giosuè, a cui spettò invece il compito di entrare nella Terra Promessa e costruire la casa comune, chiedendo di andare oltre le proteste impegnandosi invece politicamente, a partire dal voto.
In tema di conflitti, gli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein costituiscono uno sviluppo storico per il Medio Oriente. Quali fattori li hanno determinati e che conseguenze portano?
Ci sono tre elementi che contraddistinguono gli Accordi. Il primo è la sicurezza: le monarchie del Golfo condividono con Israele il timore per il ruolo strategico e militare dell’Iran, e poiché l’America ha avviato una fase di disimpegno strategico dalla regione, si è posta la necessità di creare una struttura di sicurezza regionale per contenere Teheran. E questo è il vero motivo per cui si è stretto l’accordo. La seconda dimensione è quella economica, che accompagna l’intesa sulla sicurezza, in particolare riguardo alle nuove tecnologie. Il terzo aspetto è costituito dal periodo di avvicinamento a Israele degli altri due Paesi, che ha coinciso colla riscoperta delle radici ebraiche locali: c’è un’idea di fondo che, così come gli ebrei hanno sempre convissuto col mondo arabo musulmano a livello comunitario, così oggi possa farlo a livello statale.
Un nuovo fronte dello scacchiere mediorientale si è aperto nel conflitto tra armeni e azeri per il Nagorno-Karabakh. Che ruolo riveste nella geopolitica turca e come interpretare l’allineamento di Israele all’Azerbaijan e alla Turchia, tanto da non aver ancora riconosciuto il genocidio armeno, nonostante il parallelismo tra quest’ultimo e la Shoah?
Il Medio Oriente è una regione dove i canoni europei si applicano con grande difficoltà: per tentare di comprendere cosa avviene bisogna esaminare ogni situazione singolarmente, non esistono paradigmi generali validi. In questo momento c’è una situazione di conflitto tra il disegno regionale della Turchia di estendere la propria influenza sulla regione e la volontà della Russia di puntellare la propria autorità ai propri confini. È una situazione nella quale dal punto di vista strategico Israele dovrebbe schierarsi con la Russia, ma dal punto di vista tattico è portato nei fatti a propendere per la Turchia, dato che l’Azerbaijan costituisce uno degli alleati più importanti nel contenimento dell’Iran.