di Ilaria Ester Ramazzotti
«Incarnava tre grandi momenti della storia del Ventesimo secolo: la Shoah, l’emancipazione delle donne e la costruzione europea” ha scritto di lei Le Monde. Simone Veil, fra i protagonisti della storia europea del Novecento, è morta il 30 giugno nella sua casa di Parigi. Avrebbe compiuto 90 anni il prossimo 13 luglio.
Nata nel 1927 a Nizza in una famiglia ebraica, col nome di Simone Jacob, nel 1944 era stata arrestata e deportata dai nazisti, come la sua famiglia: il padre André Jacob, la mamma Yvonne Steinmetz, il fratello Jean e le sorelle Denise e Madeleine. Di loro, solo le tre sorelle sono sopravvissute; non la madre internata a Auschwitz e morta a Bergen Belsen, non il padre né il fratello, scomparsi in Lituania. Di quell’esperienza lacerante ha sempre conservato il numero di matricola 78651 inciso sulla pelle e la convinzione che gli «uomini sono capaci del meglio e del peggio», come riporta La Stampa. Nel 1946 aveva sposato Antoine Veil, da cui ha preso il cognome e avuto tre figli.
Nel corso della sua lunga carriera è stata avvocatessa, magistrato, segretario del Consiglio superiore della magistratura, politico e più volte ministro della Repubblica francese, socio fondatore e presidente onorario della Fondation pour la Mémoire de la Shoah e componente della prestigiosa Académie Française. Il suo nome resterà legato alla legge del 1975 sulla legalizzazione dell’aborto in Francia e alla prima presidenza del Parlamento europeo, durata dal 1979 al 1982.
Simone Veil era l’espressione della «Francia migliore», «possa il suo esempio ispirare i nostri connazionali», ha scritto il 30 giugno in un tweet il presidente francese Emmanuel Macron. «Resterà immortale», ha invece commentato Nicolas Sarkozy.
«Lo straordinario destino di questa giovane francese deportata a Auschwitz e poi diventata magistrato, ministro, primo presidente del Parlamento europeo e membro dell’Académie française è una fonte d’ispirazione. Per il suo essere stata esigente e leale, questa militante dei diritti delle donne ha segnato la vita politica e intellettuale francese con coraggio e dignità» ha dichiarato Francis Kalifat, a nome di Crif, Conseil Représentatif des Institutions Juives de France.
«Era magnifica e era complessa. Era combattiva, costantemente indignata, e le conversazioni con lei potevano essere urtanti e destabilizzanti. Perché non cedeva nulla. Era portatrice degli alti requisiti morali e etici ereditati dai suoi genitori. E odiava ogni idea di rinuncia, la capitolazione e la demagogia», ha riportato Le Monde il primo luglio nell’articolo Simone Viel, la forza di una donna.
È rimasta sempre una “combattente” per la Memoria della Shoah. Dieci anni fa, per i suoi 80 anni, ha pubblicato l’autobiografia Une vie. «I convogli, il buio, la paura, il lavoro forzato, la prigionia, le baracche, la malattia, il freddo, la mancanza di sonno, la fame, l’umiliazione, l’avvilimento, le grida di dolore strazianti, nulla si cancella», scriveva sessant’anni dopo quei fatti. Una testimonianza definita necessaria delle prove superate a nome «di tutti quei morti che ci sono stati così cari, conoscenti o sconosciuti, che tacciono. So – ha scritto – che non ci libereremo mai di loro».