di Nathan Greppi
Il leggendario pugile Muhammad Ali, morto venerdì 3 giugno all’età di 74 anni, era noto per la velocità dei suoi pugni e per la sua abilità “di volare come una farfalla e pungere come un’ape”.
Le sue abilità hanno caratterizzato Ali sia dentro che fuori dal ring, dove le sue parole e azioni hanno fatto notizia almeno quanto i suoi pugni. Negli anni ’60 divenne un simbolo della lotta per i diritti degli afroamericani rifiutandosi di andare a combattere in Vietnam per motivi religiosi, a cui seguì la sua famosa dichiarazione: “Non ho niente contro i Vietcong. Loro non mi hanno mai chiamato negro”.
In seguito alla sua conversione all’Islam, avvenuta nel 1964 e per la quale cambiò nome da Cassius Clay a Muhammad Ali, egli cominciò a simpatizzare per le cause dei popoli arabi e a prendere di mira gli ebrei nei suoi discorsi, nonostante ci fossero molti ebrei tra i suoi più ferventi ammiratori.
Quando Ali fece il suo ritorno trionfale sul ring di Atlanta nel 1970, dopo 43 mesi in prigione per aver disertato la leva, fece un commento riguardo a un possibile match con il suo rivale di vecchia data Joe Frazier: “Per coloro che lo vorranno, il match si farà. Anche tutti quei promotori ebrei vedranno che si farà”.
Nonostante un reporter disse che Ali lo diceva scherzando, molte figure di spicco del mondo della boxe criticarono Ali per aver insultato “coloro che si erano battuti per lui”, e in particolare Harry Markson, noto promotore di pugilato di New York, e Sam Massell, l’allora sindaco di Atlanta.
Dopo il suo ritiro dal ring, avvenuto nel 1974, Ali non aspettò molto prima di iniziare a lanciare invettive contro Israele e il sionismo e ad abbracciare la causa palestinese. In un’intervista rilasciata a Beirut, all’inizio di un tour per visitare il Medio Oriente, Ali affermò che “gli Stati Uniti sono la roccaforte del sionismo e dell’imperialismo”.
In seguito a una visita a due campi profughi palestinesi nel Sud del Libano, l’ex-pugile dichiarò che: “A nome mio e di tutti i musulmani d’America, io dichiaro il mio sostegno al popolo palestinese nella lotta per liberare la loro terra dall’invasore sionista”.
Nel 1985 Ali venne perfino in Israele, per cercare di “trattare per la liberazione dei fratelli musulmani imprigionati in Israele”, in riferimento a 700 guerriglieri sciiti libanesi detenuti nel campo di Atlit. Ali voleva discutere “con i piani più alti dello Stato” per far rilasciare “tutti i 700 fratelli”, ma gli ufficiali israeliani si rifiutarono “di salire sul ring”.
Nel 1980, durante una visita in India per promuovere il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca per protestare contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan, Ali ha ribadito che secondo lui “i sionisti controllano il mondo”.
Quando gli fu chiesto cosa pensasse della crisi degli ostaggi in Iran, Ali definì “fanatici” gli iraniani, ma anche in quell’occasione se la prese con gli ebrei. “La religione non è cattiva, le persone lo sono”, disse. “Lo sapete che tutto il potere è in mano ai sionisti. Controllano l’America; controllano il mondo. Sono nemici della religione islamica. Quindi ogni volta che un musulmano fa qualcosa di sbagliato, attaccano la religione”.
Nonostante i suoi continui attacchi a Israele e alle comunità ebraiche, Ali continuò ad avere molti sostenitori ebrei, tra cui il comico hollywoodiano Billy Crystal, che nel 1977 ha messo in piedi uno show in cui si spacciava per il famoso pugile, che nello show si convertiva all’ebraismo e cambiava il suo nome in Izzy Yiskowitz. 15 anni dopo, Ali fece esibire Crystal al suo 50° compleanno.
Il telecronista Howard Cosell, nato Howard Cohen, fu uno dei più strenui difensori di Ali. Al contrario di molti altri, Cosell chiamò Ali con il suo nuovo nome fin dall’inizio, dopo che aveva smesso di essere Cassius Clay, e prese le sue difese quando rifiutò di andare in Vietnam. Il giornalista ebreo e il pugile musulmano erano molto legati, e nelle interviste dopo i match si prendevano spesso in giro a vicenda come due vecchi amici.
Ali fini per ammorbidirsi con il passare degli anni, forse perché si ritrovo a essere nonno di un nipote ebreo, nato da sua figlia Khaliah Ali e dal marito di lei Spencer Werhteimer. Stando alle parole di sua figlia, Ali fu molto rispettoso verso la strada che il piccolo Jacob Wertheimer aveva scelto di percorrere, tanto che nel 2012 assistette al suo Bar Mitzvah. “Mio padre ci ha incoraggiati in ogni modo, leggendo la Torah molto attentamente” ha detto Khaliah. “Ha significato molto per Jacob che lui fosse al suo fianco”.
Ma Ali aveva già dato prova di grande tolleranza prima di allora. Prima di accendere la fiaccola per le Olimpiadi di Atlanta, perseverando nonostante i sintomi del Parkinson fossero ben visibili, egli dichiarò: “Mia madre era Battista. Credeva che Gesù fosse il figlio di Dio, cosa che io non credo. Ma anche se mia madre aveva una religione diversa dalla mia io credo che, nel Giorno del Giudizio, lei sarà in Paradiso.”
“Ci sono ebrei che conducono vite oneste. Quando muoiono, io credo che vadano anche loro in Paradiso. Non importa in quale religione credi, se sei una brava persona riceverai la benedizione di Dio. I musulmani, i cristiani e gli ebrei hanno tutti lo stesso Dio. Semplicemente lo serviamo in modi diversi”.
“Chiunque creda in un unico Dio dovrebbe anche credere che tutti i popoli fanno parte di una grande famiglia. Dio ha creato tutti noi. E tutti i popoli devono lavorare insieme”.