di Ilaria Ester Ramazzotti
“Per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Con questa motivazione l’Accademia di Svezia ha conferito alla poetessa americana Louise Glück il premio Nobel per la letteratura 2020. Nata il 22 aprile 1943, newyorchese cresciuta a Long Island, è figlia di immigrati ebrei ungheresi.
Oggi, Louise Elisabeth Glück vive a Cambridge, in Massachusetts, e insegna alla Yale University di New Haven, in Connecticut. Nella sua cinquantennale carriera ha pubblicato dodici raccolte di poemi e può essere considerata parte della corrente del confessionalismo. È stata spesso accostata a Silvia Plath e Anne Sexton e, da alcuni critici, anche a Emily Dickinson. La poesia confessionale, nata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta, è ispirata al vissuto personale, individuale e interiore, di cui l’autore raccoglie persino i propri traumi quali fonti intense di scrittura.
Intenso è quindi nelle righe di Louise Glück il racconto del proprio ‘’io’’, delle solitudini e delle relazioni anche deludenti e dolorose con la famiglia, con gli altri, con il creato, colte in chiave universale. Centrale, nella sua narrazione autobiografica, resta la sua esperienza di giovane anoressica che lascia gli studi universitari per dedicarsi a un percorso di psicanalisi. Nelle sue più recenti composizioni mette in luce i risvolti del rapporto fra l’essere umano e la natura, oltre a far riferimento ai miti classici, con parole che scorrono in tono colloquiale e con il suo tipico uso dell’enjambment, la continuazione di una frase al verso successivo, che crea una pausa nel ritmo delle parole al posto della pausa a fine verso.
Alla natura e alla sua esistenza è dedicata la raccolta L’iris selvatico, edita in Italia da Giano, una fra le poche traduzioni in italiano della sua opera insieme alla raccolta Averno, edita da Dante & Descartes. In patria, proprio L’iris selvatico la porta a vincere il premio Pulitzer nel 1993. Nel 2003 riceve invece il riconoscimento ‘Us Poet laureate’, mentre nel 2014 vince il National Book Award.
Nello scorrere dei suoi versi non mancano richiami biblici, eco delle sue origini ebraiche. In L’Iris selvatico, ispirato alla flora del giardino della sua casa nel Vermont, richiamandosi all’Eden dà voce persino al Creatore: «Non state soffrendo perché vi siete toccati / ma perché siete nati, / perché richiedevate vita / separata da me». Massimo Bacigalupo, suo interprete e traduttore, parla della sua opera come di una «teologia in giardino». Alle sue creature deludenti, il Dio indignato, insoddisfatto e rassegnato della Glück, dice: «Dopo che mi vennero in mente tutte le cose, / mi venne in mente il vuoto. / C’è un limite /al piacere che trovavo nella forma…/ In questo non sono come voi, / non ho risoluzione in un altro corpo, /non ho bisogno / di un riparo fuori di me…/ Mie povere ispirate / creazioni, siete /distrazioni, in ultimo, / puri inceppi; siete / alla fine troppo poco simili a me / per piacermi». E poi conclude: «Se apriste gli occhi / mi vedreste, vedreste/ il vuoto del cielo / specchiato in terra, i campi /di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…/ poi luce bianca / non più travestita da materia».
(Foto: Twitter)