Herta Muller

«Non posso immaginare il mondo senza Israele». La tragedia del 7 ottobre attraverso gli occhi di Herta Müller, Premio Nobel per la letteratura

Personaggi e Storie

di Marina Gersony
«I massacri del 7 ottobre devono essere paragonati alla Shoah», scrive la scrittrice tedesca Herta Müller in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Saggista e poetessa tedesca nata nel 1953 nella Romania comunista, ha vissuto direttamente le brutalità di uno stato autoritario. La sua opera è nota per aver descritto le condizioni di vita durante la dittatura di Nicolae Ceaușescu ed è un potente richiamo alla memoria delle sofferenze inflitte dai regimi dittatoriali.

La sua analisi delle crisi attuali, dal Medio Oriente all’Ucraina, offre una visione profonda e inquietante di come il terrore e la dittatura continuino a minacciare la libertà e la dignità umana. Considerata una delle più grandi scrittrici europee degli ultimi decenni, ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2009 con la seguente motivazione: «Ha saputo descrivere il panorama dei diseredati con la forza della poesia e la franchezza della prosa».

«Una devastazione totale della civiltà»

Nel suo intervento di questi giorni sul quotidiano tedesco intitolato “Non posso immaginare il mondo senza Israele”, la scrittrice non esita ad affermare con forza che «i massacri del 7 ottobre devono essere paragonati alla Shoah», sostenendo che «Hamas voleva dimostrare che lo Stato di Israele non è una garanzia per la sopravvivenza degli ebrei, che il loro Stato è un’illusione».

Paragonando gli orrori del 7 ottobre alla distruzione dei villaggi ebraici in Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale, Müller ricorda come, in poche ore, interi villaggi potessero essere annientati. Questa stessa brutalità, secondo la scrittrice, si è manifestata al festival musicale Nova e nei kibbutz, dove i terroristi di Hamas hanno esibito una «sete di sangue» insaziabile lanciando un attacco a sorpresa contro il territorio israeliano, uccidendo almeno 1194 persone tra civili e militari, e sequestrando circa 250 individui, portandoli come prigionieri nella Striscia di Gaza.

Di questi ostaggi ancora in mano di Hamas, un terzo è tragicamente deceduto in cattività, come confermato proprio in questi giorni da fonti governative israeliane riprese dai media internazionali.

«Il massacro del 7 ottobre perpetrato da Hamas rappresenta una totale devastazione della civiltà. Questa sete di sangue racchiude un orrore arcaico che pensavo fosse ormai relegato al passato – prosegue la scrittrice –. Lo Stato di Israele è stato creato per proteggersi da tali pogrom, e fino al 7 ottobre gli israeliani credevano di essere al sicuro. Ma Hamas, sin dalla sua fondazione nel 1987, ha sempre avuto come obiettivo lo sterminio degli ebrei».

Müller non esita a citare l’Iran, principale finanziatore di Hamas, sottolineando come l’antisemitismo sia una dottrina di Stato nella Repubblica Islamica: «In Iran c’è un detto: “Israele ha bisogno delle sue armi per proteggere il suo popolo. Hamas ha bisogno del suo popolo per proteggere le sue armi”». Di fatto, osserva la scrittrice, «Hamas ha instaurato una dittatura incrollabile nella Striscia di Gaza, costruendo una rete di tunnel anziché una rete di sicurezza sociale per la popolazione».

Michael Roth, presidente della Commissione per gli Affari Esteri del Bundestag tedesco, ha elogiato Müller su X (ex Twitter): «Ciò che la politica ovviamente non può raggiungere, la scrittrice Herta Müller riesce a fare in modo impressionante. Nella valutazione di Israele dopo il massacro di Hamas, troppe persone, compresi i progressisti, hanno perso la capacità di distinguere tra democrazia e dittatura».

Come fa notare sempre la Frankfurter Allgemeine, nella maggior parte dei resoconti sulla guerra a Gaza, il conflitto non viene descritto a partire dal suo vero inizio. Non è a Gaza che tutto è cominciato. La guerra ha avuto inizio il 7 ottobre, esattamente cinquant’anni dopo l’invasione di Israele da parte di Egitto e Siria. In quella data, i terroristi palestinesi di Hamas hanno perpetrato un massacro inimmaginabile in Israele. Si sono filmati come eroi mentre celebravano il loro bagno di sangue. I festeggiamenti per la loro vittoria sono proseguiti a Gaza, dove i terroristi hanno esibito ostaggi gravemente maltrattati come trofei di guerra davanti alla popolazione palestinese in festa. Questo macabro giubilo si è esteso fino a Berlino. Nel quartiere di Neukölln si è ballato per le strade e l’organizzazione palestinese Samidoun ha distribuito dolci. Internet era pieno di commenti entusiastici e trionfanti.

Di fatto, in un mondo che spesso fatica a distinguere tra la realtà dei fatti e le narrazioni distorte, le parole di Herta Müller ci ricordano l’importanza di non perdere mai di vista la verità storica e morale. La sua voce ci esorta a riflettere profondamente sulla fragilità della civiltà e sulla necessità di difendere con determinazione i valori della democrazia e dei diritti umani.

La natura delle dittature

«Cosa ho pensato il 7 ottobre quando ha avuto luogo l’attacco terroristico di Hamas contro Israele? Che non c’è mai fine. La guerra in Ucraina va avanti ormai da un anno e mezzo e in una parte completamente diversa del mondo si stanno verificando crimini militari di indescrivibile crudeltà. È stato un pogrom che ha colpito la popolazione israeliana. Mi dà fastidio che si parli così poco di Hamas nei dibattiti attuali. Hamas governa la Striscia di Gaza con una dittatura spietata. Hamas ha fatto propria quest’area e usa solo la popolazione per governare. La sua stessa popolazione viene saccheggiata». Così inizia l’intervista a Herta Müller, pubblicata sulla Neue Zürcher Zeitung (23/12/2023), dove la scrittrice riflette sulle dinamiche di potere che alimentano il terrorismo e la guerra.

Secondo Müller, l’attacco del 7 ottobre non è solo un atto di violenza, ma un chiaro esempio di come Hamas governi Gaza con una dittatura spietata, utilizzando la propria popolazione come strumento per mantenere il potere. «La povertà dei palestinesi è programmata» afferma Müller, sottolineando che Hamas sfrutta la povertà della popolazione per consolidare il suo dominio. Gaza è tenuta in uno stato di estrema povertà affinché Hamas possa giustificare la sua autorità e continuare a ricevere finanziamenti dall’esterno, specialmente dall’Iran.

Müller continua spiegando come le strutture militari di Hamas siano costruite con ingenti finanziamenti iraniani, creando un “Deep State” sotterraneo, a 50 metri di profondità. Questo sistema di potere rende impossibile migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, poiché ogni risorsa è destinata a perpetuare il controllo di Hamas.

Riguardo alle critiche rivolte a Israele e alla simpatia per le cause palestinesi tra gli intellettuali occidentali, Müller osserva che spesso viene trascurato il ruolo di Hamas e gli interessi dell’Iran. «Se c’è qualcuno da incolpare per il massacro del 7 ottobre, è Hamas», afferma con fermezza, definendo l’attacco un’orgia sanguinaria senza precedenti, con atti di puro terrore come l’assassinio di bambini e la mutilazione di donne.

Müller fa anche un parallelo con la guerra in Ucraina, sottolineando come Vladimir Putin utilizzi una retorica simile per giustificare la sua aggressione. «La Chiesa ortodossa russa svolge un ruolo indicibile nella costruzione ideologica della guerra in Ucraina», aggiunge, evidenziando l’uso del linguaggio religioso per manipolare le percezioni e giustificare i crimini.

Le riflessioni di Müller toccano soprattutto la natura delle dittature. Ricorda che il dittatore deve imporre il proprio potere in modo sempre più crudele per evitare che i suoi crimini passati lo possano raggiungere. Come potrebbe finire tutto questo? Riflette la scrittrice: «una grande utopia sarebbe che l’Islam si disarmasse e diventasse una religione pura. Non puoi parlare con un’ideologia distruttiva. Qualsiasi opinione dissenziente verrà schiacciata. I mullah lo dimostrano ogni giorno per le strade. A chi commette un omicidio in nome dell’Islam è assicurato il Regno dei Cieli. Quando la morte viene glorificata, l’umanità non esiste più».

 

Chi è Herta Müller

Nata nel 1953 in una famiglia di contadini nel villaggio di Nitchidorf, vicino a Timișoara nel Banato in Romania, la scrittrice apparteneva alla minoranza di lingua tedesca, la cui posizione vulnerabile durante il regime comunista influenzò profondamente la sua vita e le sue opere letterarie.

A casa, i Müller parlavano l’antico dialetto degli Svevi della regione del Banato. Fin da piccola, Herta aveva imparato il tedesco a scuola e il rumeno parlato dai suoi vicini, dalle autorità e dal regime totalitario.

La sua biografia racconta di come la sua famiglia perse quasi tutto ciò per cui suo nonno aveva lavorato, quando il regime filo-sovietico, salito al potere dopo la Seconda guerra mondiale, confiscò le sue proprietà in quanto importante proprietario terriero e simpatizzante nazista. Suo padre, un lavoratore nei campi e alcolizzato, era tra i tanti volontari locali delle Waffen-SS di Hitler. «È stato terribile trovare mio padre dalla parte degli assassini – ha affermato Herta Müller in un articolo del Guardian –. Era un uomo semplice e ostinato. Quando parlavo dei crimini dei nazisti, diceva sempre: “Bene, guarda cosa hanno fatto i russi”. Quando sputava sulle sue scarpe per lucidarle, dicevo: “Ah, questo è quello che fa un nazista”. Non gli ho reso la vita facile». Come non deve essere stato facile vivere in una realtà complessa e oscura, dove le deportazioni dei romeno-tedeschi si collocavano all’incrocio tra i crimini sovietici e quelli nazisti, e dove la mancanza di una chiara causalità tra crimine e punizione, e la sovrapposizione tra vittime e carnefici, rappresentavano una sfida difficile e potente per la narrativa dell’autrice.

Müller aveva 12 anni quando Ceausescu prese il potere nel 1965. Fin da ragazzina, era coinvolta in una continua ricerca per decifrare le parole e interpretare i silenzi. Studiò letteratura rumena e tedesca presso l’Università di Timișoara, dove entrò a far parte del collettivo di scrittori germanofoni anti-comunisti Aktionsgruppe Banat.

Nel 1979 venne licenziata dal suo lavoro di traduttrice dopo aver rifiutato di collaborare con la polizia segreta della Securitate, e fu minacciata e sottoposta a interrogatori umilianti per le sue idee scomode. In seguito, si guadagnò da vivere come maestra d’asilo e insegnante di lingua tedesca. La sua opera d’esordio, Niederungen (Nadirs), fu pubblicata in Romania in una versione censurata nel 1982, come avveniva per molte pubblicazioni dell’epoca. Copie non censurate vennero distribuite all’estero. Nel 1987, lasciò la Romania per andare a vivere in Germania insieme a Richard Wagner, allora suo marito.

In Italia i suoi libri sono stati pubblicati Bassure (Editori Riuniti 1987), Il paese delle prugne verdi (Keller 2008), Lo sguardo estraneo (Sellerio 2009), In viaggio su una gamba sola (Marsilio 1992, 2009), L’altalena del respiro (Feltrinelli 2010), L’uomo è un grande fagiano nel mondo (Feltrinelli 2014), La mia patria era un seme di mela (Feltrinelli 2015) e La volpe era già il cacciatore (Feltrinelli, 2020).

 

 

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