di Pietro Baragiola
Il regista israeliano Dan Pe’er ha utilizzato i filmati ripresi da alcuni dei 3000 partecipanti del festival Supernova e dai terroristi di Hamas per creare #NOVA, il documentario sul massacro del 7 ottobre.
Un montaggio composto unicamente da testimonianze prese in tempo reale per raccontare minuto per minuto i tragici eventi dello “Shabbat nero” in cui 367 partecipanti del festival musicale sono stati assassinati brutalmente la vita e 40 sono stati rapiti e portati a Gaza.
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“Il mio obiettivo è che questo documentario venga visto da ogni persona di età superiore ai 18 anni” ha dichiarato Pe’er. “Perché chiunque lo vedrà non avrà più alcun dubbio sulle atrocità commesse da Hamas”.
#NOVA è andato in onda in anteprima mondiale sul canale israeliano Yes il 6 dicembre (in occasione dei due mesi dall’attacco al festival).
L’idea del progetto
Pe’er ha concepito l’idea del documentario durante le prime due settimane del conflitto in cui, come volontario, aveva il compito di scaricare le foto e i video dai diversi social media per ricreare i profili di ogni singola persona scomparsa e identificarla.
“Erano migliaia le persone disperse, il governo non funzionava e c’era caos ovunque” ha affermato Pe’er, raccontando come passava intere giornate sull’app Telegram dove si susseguivano i dettagli dell’attacco. “Per due settimane questi video sono diventati l’unica cosa che vedevo costantemente. Erano entrati nella mia mente e nella mia anima”.
La brutalità e il terrore di queste immagini lo hanno tenuto sveglio per diverse notti finché una sera il regista ha sognato minuto per minuto quello che sarebbe diventato il suo film. Dopo essersi svegliato e aver raccontato a suo marito la trama, si è messo subito al lavoro per realizzare il progetto, coinvolgendo persino cinque suoi amici (volontari nel conflitto, come lui) e trasformando il salotto di casa in una vera sala di produzione cinematografica.
Ci sono voluti cinque giorni prima che Pe’er e il suo team si rendessero conto che l’impresa era troppo grande per essere portata a termine in tempi brevi da un gruppo così piccolo: bisognava raccogliere centinaia di liberatorie, non solo quelle dei sopravvissuti ma anche delle numerose famiglie che ogni giorno scoprivano chi era stato rapito e chi ucciso. “Era imperativo che il mondo vedesse il nostro film il prima possibile e per questo motivo ci siamo rivolti al canale Yes. Non appena i responsabili di produzione hanno visto il materiale che avevamo raccolto non hanno esitato un solo istante a darci il loro supporto”.
“Tutti avevamo già guardato alcuni clip di questa tragica giornata, ma vederli montati in un’unica sequenza temporale lineare ha dato vita ad una narrazione davvero potente che permette agli spettatori di vivere da vicino il terrore di quelle ore” ha affermato Sharon Levi, amministratore delegato di Yes.
Anche con il sostegno del canale israeliano, portare a termine il documentario ha richiesto un grande sforzo emotivo da parte dei suoi creatori. Persino la psicologa di Pe’er ha pensato che il regista fosse pazzo a rivivere di sua spontanea volontà gli orrori osservati durante il suo volontariato. “Le ho detto che non avevo scelta. Sono una specie di soldato ed era mio compito raccontare questa storia. La mia anima è rimasta inevitabilmente ferita ma ne è valsa la pena” ha spiegato Pe’er, orgoglioso del risultato ottenuto.
In soli 52 minuti #NOVA copre un arco temporale di 19 ore a partire dalla sera di venerdì 6 ottobre, quando i partecipanti si preparavano per andare al festival musical, fino al pomeriggio del giorno dopo, quando il primo soldato israeliano è arrivato nella location devastata del rave.
“Ogni singolo minuto di questa linea temporale è stato verificato e ogni fonte è stata scelta perché rientrava, rigorosamente, nello scorrere del tempo che cercavo di ricomporre: i primi razzi (6:22), l’attacco dei terroristi (6:59) e l’arrivo del soldato israeliano (14:00)” ha spiegato Pe’er.
Il documentario inizia mostrando i partecipanti del festival mentre si scambiano messaggi su cosa indossare e portare con sé per l’evento. Subito dopo si entra nel vivo del party Supernova dove i 3000 giovani ballano felici al ritmo della musica suonata da DJ scatenati.
Questo tono goliardico però cambia completamente quando, alle 6:22, i primi razzi sorvolano il cielo di Israele. “Sono terrorizzato, sono totalmente fatto” dice un giovane mentre riprende il volo dei missili che sfrecciano da Gaza.
“La festa è finita!” annuncia uno degli organizzatori al megafono, avvertendo la folla che ha solamente 15 secondi per trovare un riparo o sdraiarsi a terra al suono della sirena.
Da questo momento in avanti le riprese oscillano tra partecipanti che fuggono verso i campi con i cellulari in mano, altri che chiudono gli occhi e pregano mentre i proiettili dei terroristi fischiano vicino alle loro teste e altri ancora che si nascondono per filmare sé stessi e dire addio ai propri cari.
Ovunque echeggiano le urla di terrore di chi, scappando, ha riconosciuto i propri amici tra i corpi stesi a terra o i cadaveri seduti nelle auto crivellate di colpi.
Alcuni partecipanti non si sono neanche accorti di avere la telecamera del telefono accesa, ma queste riprese terrificanti e quasi accidentali hanno reso possibile il film. “Molti di loro sentivano che questi erano i loro ultimi momenti e volevano documentarli” ha spiegato Pe’er. “Sono la generazione dei TikTok e sono abituati a filmarsi ovunque, sia nei momenti di festa che di tragedia”.
Il regista ha ammesso che anche i video ripresi dai terroristi di Hamas con le loro GoPro sono stati indispensabili per creare il contrasto tra chi celebrava la vita e chi l’omicidio. “Volevo che nel film si vedesse a pieno questa dicotomia: il popolo della luce e il popolo dell’oscurità” ha affermato Pe’er. “La danza e gli RPG”.
Nonostante questi filmati siano ricchi di terrore, il regista ha volutamente evitato di includere immagini di morti e feriti per non rischiare di allontanare gli spettatori dalla visione del film e per onorare il ricordo delle vittime.
Gli unici corpi che si intravedono, seppure oscurati, sono quelli che, verso la fine del documentario, vengono trovati dal primo soldato israeliano mentre si fa strada tra le macerie del festival, urlando: “C’è qualcuno? Qualcuno rimasto vivo? Qualsiasi segno di vita?” finché la voce non gli si spezza dal dolore.
Prima dei titoli di coda e dell’omaggio finale alle vittime, Pe’er ha concluso il documentario con una sorta di flashback in cui vengono mostrati i partecipanti che hanno perso la vita mentre ballano insieme un’ultima volta. “Volevo che il mondo sapesse che questi erano ragazzi che amavano la vita e che credevano nella pace e volevo che gli spettatori li ricordassero ancora con i volti sorridenti” ha concluso il regista. “La loro luce che trionfa sulle tenebre di Hamas”.